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Esci al bar con amici e c’è qualcuno che non conosci, quindi ti presenti, Ciao, Come ti chiami, Piacere. Per intavolare una conversazione chiedi Cosa fai nella vita? Lavoro. Dove? Azienda di questo e quell’altro, oppure Istituzione che si occupa di questo settore. E poi cortesia vuole che la situazione si ribalti: E tu cosa fai? Prima risposta: Dottorato all’università. Quindi segue: In cosa? A meno che non siano del settore, “ricerca operativa” non gli dirà molto, io solitamente scelgo “matematica applicata”. A questo punto, nel 90% dei casi avranno colto soltanto “matematica” e l’avranno associata ai loro incubi scolastici, quindi la risposta sarà un bel “ohhhh”, occhi stralunati, e se sei una ragazza l’effetto è amplificato almeno del doppio, seguito da un “io di matematica non ci ho mai capito niente”.

I più attenti avranno però colto anche “applicata”, e chiederanno: “applicata a cosa?”. E inizia il difficile! Spiegare la ricerca operativa non è facile come la ricerca per combattere le malattie oppure l’astrofisica, anche se la ricerca operativa è presente nella quotidianità di tutti: probabilmente pochi si rendono conto che un GPS non ha in memoria tutti i percorsi del mondo ma li calcola velocemente quando servono. Forse la ricerca operativa avrebbe bisogno di un po’ di marketing.

Il dottorato all’università, poi, viene associato a studente e alla libertà che ne deriva, e per estensione nell’immaginario comune a nullafacente, o meglio persona che può gestire il proprio tempo e quindi che lavora solo quando gli pare, di fatto poco. Provi a spiegare che non funziona esattamente così, anzi che ti porti il lavoro a casa, in vacanza, i fine settimana, perché il funzionamento del nuovo algoritmo nella tua testa non si spegne mai. Anche se ti dicono che capiscono quanto sia dura, in realtà non sono convinti, e lo sguardo di superiorità dell’ingegnere/banchiere/esperto di finanza che lavora 18 ore al giorno non svanirà mai. In realtà però tutti abbiamo un po’ questa idea che quello che facciamo sia la cosa più importante, altrimenti probabilmente non l’avremmo scelta e non la faremmo con passione.

E se adesso, dopo due anni di dottorato, guardo indietro cosa vedo? Innanzitutto, come sono arrivata qui? Ogni percorso ha le sue peculiarità, ma penso buona parte dei dottorandi venga coinvolta nella ricerca a partire dalla tesi della laurea specialistica, perché si ritrova a sviluppare un progetto interessante e con un professore disponibile. Ma prima, cosa ne sapevo del dottorato? Personalmente, non tantissimo. Su questo punto penso che l’università potrebbe lavorare un po’ di più, dare maggiori informazioni e fare conoscere agli studenti cos’è davvero la ricerca.

E perché proprio ricerca operativa? La matematica mi ha sempre affascinato, ma non volevo neanche astrarmi troppo dalla realtà. Quindi cosa meglio di una disciplina che unisce il rigore matematico nei metodi risolutivi alla creatività necessaria per scrivere un modello, cercando di trasformare il più fedelmente possibile le situazioni reali in numeri ed equazioni? Le applicazioni della ricerca operativa sono tantissime e presenti in tutti gli aspetti della vita quotidiana, basti pensare che c’è un modello dietro agli orari dell’autobus, ai prezzi dei biglietti aerei, alla strada che segue nella rete l’e-mail all’amico lontano. Forse un giorno anche un mio modello verrà davvero usato per risolvere un problema reale su larga scala, e questa non è forse una motivazione sufficiente?

Però questo traguardo, come anche semplicemente la fine del dottorato e la redazione del mio progetto, individuale e originale, è ancora lontano e soprattutto ancora un po’ vago. Quindi, come andare avanti giorno per giorno, quando la dimostrazione non ti riesce o il codice non vuole proprio funzionare? Nemmeno il professore che ti segue conosce le risposte e i risultati precisi, perché, altrimenti, che ricerca sarebbe?

Sono fermamente convinta dell’importanza di almeno due aspetti: il gruppo di ricerca e il lavorare su due o tre cose allo stesso tempo. Lo spazio di lavoro all’università e il fatto di andarci regolarmente crea uno stimolo non indifferente, e permette di scambiare opinioni. Da una pausa caffè ne esce sempre qualcosa, sicuramente dieci minuti di distrazione per ricaricare le batterie, e a volte anche la soluzione al problema, un algoritmo o una nuova idea. Lavorare su più di un progetto o argomento invece permette di variare, di non perdere completamente la motivazione alla prima difficoltà. In questo caso l’aiuto del relatore è fondamentale, in quanto la sua esperienza potrà dire se vale la pena intestardirsi o meno su un certo problema o piuttosto esplorarne di nuovi.

Infine, il futuro, da sempre argomento di discussione. Sicuramente in questo momento l’incertezza sul futuro è presente in tutti i campi, e forse nell’università e nella ricerca ancora più pesantemente. Per quanto mi riguarda ho davanti altri due anni, e tante cose possono cambiare e cambieranno, sia nel mondo universitario che anche nella strada che io vorrò intraprendere. Non so se sarò disposta a girare il mondo per molto tempo per costruirmi un buon curriculum – sembra accattivante per un periodo, ma dover ricostruire il proprio spazio ogni volta può diventare impegnativo. Non voglio pensarci più di tanto: tre anni fa non avrei mai pensato di essere qui e, sembrerà banale, ora posso dire che non so quanti, come me, fanno un lavoro che apprezzano da tutti i punti di vista. Inoltre, senza entrare nei dettagli, la ricerca operativa ha moltissime applicazioni in campo aziendale, e già all’estero ma sempre di più anche in Italia, le aziende se ne stanno rendendo conto, quindi ritengo che, dopo il dottorato ci potrebbero essere molte strade percorribili e tutte interessanti.

Se siete arrivati a questo punto spero che vi siate ritrovati in almeno alcune delle mie considerazioni, che non vogliono essere regole o risposte, ma soltanto elementi che penso accomunino i dottorandi e tutti quelli che cercano la propria strada attraverso la ricerca ed in particolare, la ricerca operativa. Ci confrontiamo ogni giorno sia con il mondo universitario e che con quello “esterno”, e, secondo me, non sono poi così lontani.

 

Alessia Violin
dottoranda
Université Libre de Bruxelles (Belgio) e Università degli Studi di Trieste

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