Loading [MathJax]/jax/element/mml/optable/GeneralPunctuation.js

Pin It

La matematica non è solo una disciplina scientifica, ma anche un modo di guardare in modo diverso quello che è accanto a noi… compresa la matematica stessa, se serve. Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Oggi torniamo sui numeri reali, facendo vedere che potremmo averne di più se solo ci convenisse.

Mi sa che mi tocca tornare a parlare dell’inesistenza dei numeri reali. Ma prima di ripartire è forse meglio fare una precisazione molto importante. Anche se scrivo in modo scanzonato, quello che dico ha un suo senso ben preciso: voglio che ripensiate (o pensiate per la prima volta…) alle assunzioni implicite che vengono impartite a scuola. Queste assunzioni hanno una ragione precisa, ma se non ne tenete conto e le prendete come dogma rischiate di perdere qualcosa. La matematica ha questa caratteristica: ti permette di modellare (più o meno bene…) qualcosa, ti assicura che il modello è coerente (occhei, adesso qualcuno dirà che Gödel afferma che non è possibile dimostrarlo: ma le cose non stanno proprio così), ma non potrà mai dirti che è vero. Ma torniamo ai numeri reali.

Un’obiezione che può venire in mente è che il campo dei numeri complessi ℂ è chiuso rispetto alle operazioni algebriche (le quattro operazioni e l’estrazione di radici, ciò che ci richiede di ampliare il campo dei numeri reali). D’accordo, ℂ è un po’ più grande di ℝ, ma nemmeno poi troppo: diciamo che se abbiamo i reali abbiamo quasi automaticamente i complessi. Ma anche questa spiegazione non è davvero valida. Per definizione, l’insieme dei numeri che si possono ottenere con le operazioni algebriche è quello dei numeri algebrici: e i numeri algebrici sono un insieme numerabile e quindi mi vanno bene anche evitando di accettare tutti i numeri reali. Certo, così non abbiamo per esempio pi greco ed e. E allora? Gli algebristi sanno bene che possiamo costruire estensioni algebriche inserendo tutti i numeri trascendenti che riusciamo a definire. (Si, dobbiamo definirli esplicitamente, e torniamo al mio punto di partenza). Qual è la ragione di aver voluto definire i numeri reali, allora? Dobbiamo fare un passo indietro e tornare a chi li ha definiti per davvero: Richard Dedekind.

La definizione di numero reale di Dedekind nasce per una ragione specifica. Il taglio di Dedekind dice che in qualunque modo si faccia un taglio dei numeri razionali, cioè una loro suddivisione che non lasci fuori nessun numero razionale e dove ciascuno dei numeri del primo insieme è minore di tutti quelli del secondo, possiamo associare questo taglio a un singolo numero reale. I due sintagmi in grassetto sono quelli importanti. Il primo serve per evitare che ci siano dei buchi, e questa è stata la spinta di Dedekind: si parla infatti del “continuum”. Per farlo però si evita di specificare qual è questo modo, e questo non va bene: non potremo mai essere certi di non aver dimenticato qualcosa, ed è per questo che Dedekind ha dovuto definirlo e non poteva dimostrarlo. Ma perché gli serviva un continuum? Ora commetto un falso storico e do una risposta forse spiazzante: l’assioma di Pasch. Questo assioma afferma che se una retta taglia un lato di un triangolo in un suo punto interno e non passa per il vertice opposto a questo lato, allora deve per forza tagliare uno (e uno solo) degli altri due lati. Se non avessimo il continuum, la retta potrebbe passare per uno di questi buchi, o avere un buco dove avrebbe dovuto incontrare un lato. Parrebbe insomma che se vogliamo che la geometria euclidea funzioni occorre avere i numeri reali. Ma è proprio così? Lasciamo un momento da parte la domanda e passiamo alla seconda espressione in grassetto.

Come, mi direte. È ovvio che un taglio corrisponde al più a un singolo numero reale. Possiamo discutere se il numero reale esiste, ma se esiste è unico, no? Beh, non proprio. Consideriamo l’ordine di grandezza di una funzione, O(\;). Per esempio, 3x^2 – 5x + 42 è O(x^2) perché se il valore di x è molto grande possiamo tralasciare tutti gli altri membri e temere solo quello di secondo grado, e anche il suo coefficiente conta poco quando si cresce all’infinito. Abbiamo un ordinamento degli ordini di grandezza: f(x) ha ordine di grandezza maggiore di g(x) se f(x)/g(x) va all’infinito al crescere di x all’infinito (e naturalmente g(x) non è nulla, sennò non vale). È chiaro che x^2 ha un ordine di grandezza superiore a x, mentre \sqrt x cioè x^{1/2} o se preferite x^{0,\!5} ce l’ha minore. È anche chiaro che x^{–1} che all’infinito tende a zero avrà un ordine di grandezza ancora più piccolo, e x^{–0,\!5} (definito per x \gt 0) andrà sì a zero ma più lentamente di x^{–1}, e quindi avrà un ordine di grandezza più grande. Più in generale, possiamo dire che una qualunque funzione x^k ha ordine di grandezza maggiore di x^h se k \gt h. Possiamo allora per esempio definire un taglio mettendo da una parte tutti gli esponenti razionali negativi o nulli, che non fanno mandare x^k all’infinito, e dall’altra tutti gli esponenti razionali positivi, che invece la fanno andare. Il taglio corrisponde evidentemente al numero zero. Tutto ok. Ma a che numero corrisponde l’ordine di grandezza di \log(x)? Non può essere zero, perché \log(x) all’infinito ci arriva, anche se molto con calma. Ma non può nemmeno essere un reale maggiore di zero, perché per ogni ε \gt 0 abbiamo che \log(x) / x^ε tende a zero. Quindi abbiamo almeno due numeri, zero e quello corrispondente a \log(x), associati al taglio. E possiamo avere \log^2(x), oppure \log \log(x)… Insomma, è una palla che ce ne sia uno solo: e l’abbiamo visto con un esempio assolutamente naturale, senza tirare in ballo l’analisi non standard di Abraham Robinson con i suoi infinitesimi.

Dunque? I reali non esistono, come ho affermato l’altra volta? Esistono perché sennò non funziona la geometria? Esistono ma non sono quelli di Dedekind, come abbiamo visto con gli ordini di grandezza? La risposta è “fate vobis”. Abbiamo tre modelli diversi con caratteristiche diverse: funzionano tutti e tre, e ci conviene scegliere quello che ci può semplificare la vita, come nel caso dell’analisi matematica che è la ragione per cui Dedekind ha definito i reali. Ma nessuno mi toglierà dalla testa che questi modelli non abbiano nulla a che fare con la realtà.

Guarda la pagina di questa rubrica

Maurizio Codogno, noto online come .mau., è nato a Torino nel 1963, e si è laureato in matematica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e successivamente in informatica a Torino. Autore di numerosi libri di divulgazione scientifica, tra cui “Matematica in pausa caffè” e “Chiamatemi Pi Greco”, ha il suo blog “Notiziole di .mau.” dall’inizio del millennio ed è stato curatore della collana di libri Matematica di Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera.

Twitter 

Pin It
This website uses the awesome plugin.