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Matilde Marcolli ha deciso di editare e rendere disponibili alcuni racconti di ispirazione matematica scritti vent’anni fa. Ce ne propone un piccolo assaggio.

Matilde Marcolli, classe 1969, insegna al California Institute of Technology dopo essersi laureata all’Università di Milano.  Oltre ad essere una matematica di fama internazionale, è una persona dai molti interessi. L’abbiamo intervistata qualche tempo fa  (vedi qui) e ora ci informa che ha appena preparato una raccolta di racconti a sfondo matematico dal titolo “Racconti per il Lupo“, che potete acquistare direttamente qui. Proponiamo ai nostri lettori i due brevi brani iniziali della raccolta che possono fungere da introduzione. Buona lettura.

 

 

 

Canzone di notte N.1

Crescemmo in anni di cibernetica e bionica, di primi passi dellumaniatà nello spazio, anni di strutturalismo, semeiotica e grammatiche trasformazionali. Crescemmo portando bandiere in piazza ogni primo maggio, ascoltando musiche atonali suonate in fabbriche e cantieri. Con i misteri orfici dell’adolescenza vennero giorni trascorsi traducendo Archiloco e Lucrezio, leggendo Giordano Bruno e cercando alchimie nelpennello di Giorgione. Finimmo a comporre tutti quei frammenti in un mosaico di esistenza, combattendo il grigio torpore di un mondo di bizzarre dicotomie Crociane. Sognavamo ancora di divenire un collage surrealista ed improbabile di Trotsky, Oppenheimer e Max Ernst: un punto nodale in cui i sogni si infransero, un crocevia in cui i riti di passaggio della vita si trovarono per caso ad intrecciarsi con il subitaneo aprirsi e chiudersi delle grandi porte della storia.
Quando ci colse inaspettatamente la fine del “secolo breve” eravamo in un precario equilibrio di transizioni, dal mondo dell’adolescenza a quello dell’età adulta, da un mondo classico di miti e tragedie alla diversa poesia di orbitali, funzioni d’onda e particelle. In quel crocevia sulla strada di Tebe, dove fatalmente si uccidono i padri, seppellendo un passato a mala pena conosciuto per un futuro gravido di incerte profezie, scegliemmo la strada dell’esilio, lontano da un continente stanco di rivoluzioni tradite e abbandonate, come di tutti quei mosaici interrotti, composti di troppi frammenti disuguali.
Frammenti sono dunque quelli qui raccolti, una serie di racconti brevi scritti in quegli anni di passaggio, brandelli tesi tra il linguaggio della matematica e quello narrativo, piccole fiabe di un tempo moderno oramai trascorso e forse già dimenticato.
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Canzone di notte N.2
Sono racconti da ragazzini questi, ma non me ne vergogno, perché così eravamo allora. Sono una fotografia sbiadita del groviglio di pensieri di un’adolescente, un’istantanea immagine in cui per un momento si fissa quel turbine che ci travolse in anni di tempeste della storia. Della vita prima di quei giorni rimangono frammenti di memoria, persi in una diaspora di vent’anni attraverso i continenti: la morte di Pasolini, l’ultimo tragico discorso di Berlinguer, le bandiere del primo maggio.
Naufragarono così anche i miei amori slavi di quei giorni, di cui un’eco rimane in queste storie, amori strani da tarda adolescenza, consumati in quell’attimo di incertezza in cui le porte dell’epoca parvero aprirsi, ma persi anch’essi infine tra gli ultimi sussulti dell’agonia di un mondo che muore; e poi via verso altri luoghi, là dove nessuno ha mai sentito di noi e del nostro passato. La scienza fu una consolazione e un salvacondotto per abbandonare un paese che affonda, quel nostro “paese nel paese”, dal vangelo secondo Pasolini. La scienza, dunque: la sua ferrea disciplina mentale fu la droga per dimenticare; alla scuola del partito avevamo già imparato a soffrire e fu facile continuare. In realtà il partito era già morto: era morto in una sera piovosa di giugno, in quell’anno 1984 di orwelliana memoria, con le parole interrotte un discorso non finito. Siamo cresciuti così noi, con quegli eroi. La scienza è oggi l’ultimo fronte che possiamo ancora cercare di difendere, l’ultima speranza di progresso, di quella limpida razionalità ed onestà intellettuale che una volta avremmo voluto vedere applicata a tutto lo spettro della società civile.
Sono racconti leggeri questi, perché su uno sfondo di tragedia uno non può che dipingere trame sottili ed affidarsi al pennello lieve dell’umorismo per poter tracciare parole là dove la serietà ci costringerebbe al silenzio. La matematica era allora solo un gioco, che poi perse la sua innocenza e divenne una via di fuga e quindi infine una professione.
Mi trovai come per caso in quegli anni a scrivere questi racconti, ognuno costruito intorno ad un oggetto matematico, qualche volta elementare,qualche volta più sofisticato: un teorema, una costruzione geometrica, una proprietà di numeri e strutture. Non c’è coerenza organizzativa nelle scelte, solo quanto mi propose l’ispirazione del momento. Ogni racconto è accompagnato da una breve presentazione del corrispondente oggetto matematico, ma i racconti stessi possono leggersi del tutto indipendentemente. Le immagini sono un omaggio a Max Ernst, per nessun’altraragione se non in ricordo di quel “Surrealismo al servizio della Rivoluzione”  o forse anche solo perché surrealismo e matematica si combinano sempre felicemente.
Non sono racconti politici questi, sono solo storie brevi, storie di miti antichi e di eroi, di improbabili amori e fantasie, impressioni di viaggi, storie di teoremi e di pensieri, di numeri e geometrie. Il mondo di quegli anni vi filtra solo come un rumore lontano, che non si può ma forse si vorrebbe provare ad ignorare. Eppure ora, a vent’anni di distanza, è quasi tutto ciò che mi rimane per cercar di ricostruire la sensazione del vivere di allora.

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