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Il dubbio sull’esistenza o meno delle civiltà aliene rimane, ma non ci occupiamo ora di questo, però…sapevate che nel 1974 un team di scienziati ha mandato un messaggio nello spazio indirizzato proprio a dei possibili extraterrestri? Ora abbiamo anche qualche decodifica di una loro eventuale risposta, che chissà se arriverà mai! Ce ne parla Stefano Pisani.

Alieni, c’è posta per voi. Quanto si rimane male quando si invia un messaggio ma non si riceve risposta? Magari nemmeno viene visualizzato? Ecco. Immaginate allora come si debbano sentire gli scienziati che, dal 1974, aspettano che gli alieni rispondano al messaggio che hanno mandato nello spazio tramite il radiotelescopio di Arecibo. Finora, non c’è stata risposta – e secondo qualcuno potrebbe dipendere (anche) dal fatto che il messaggio non è dei più accattivanti, dato che si tratta di una stringa di 1679 bit.

Più precisamente: eventuali alieni che si trovassero a visualizzarlo dovrebbero decodificare i bit e, qualora ci riuscissero (ehi, ma sono alieni o no??) dovrebbero capire che si tratta di un’immagine di 23 x 73 pixel che raffigura, tra le altre cose, la doppia elica del Dna, una persona, il sistema solare e il telescopio stesso. L’antenna ha codificato i 1679 bit alternando due frequenze diverse, che dovrebbero fungere da 0 e da 1. Se però i bit si allineano in modo diverso, la figura che ne risulta potrebbe anche sembrare solo un pasticcio casuale. Insomma, non solo cerchiamo di comunicare con intelligenza extraterrestre, ma con intelligenza extraterrestre abbastanza alta – gli alieni stupidi non ci interessano.

La domanda però, a questo punto, sorge spontanea. Se gli alieni si degnassero di risponderci ma, un po’ sadicamente, ci inviassero anche loro un bel messaggio cifrato, codificato in modi che non riusciamo nemmeno a immaginare? Come la metteremmo? Un gruppo di matematici propone oggi una soluzione. Partiamo dal fatto che il messaggio spedito da Arecibo non è completamente incomprensibile, no. C’è anche un aiutino allegato: i numeri 23 e 73, numeri primi, forniscono infatti ai nostri distanti amici un indizio per decifrarlo – sempre che, ovviamente, anche gli alieni, come noi, trovino così interessanti i numeri primi. Un’eventuale replica aliena potrebbe allora, per esempio, basarsi sui numeri primi, cosa che mostrerebbe, da parte loro, una parvenza di desiderio di farsi comprendere (perfino) da noi.
Ma se gli esserini verdi (boh?) non fossero così gentili? Ci ha pensato Hector Zenil, scienziato informatico dell’Università di Cambridge e fondatore di Oxford Immune Algorithmics, che ha elaborato un nuovo metodo di decodifica che promette di essere a prova di qualunque dispettoso enigma alieno.

Il sistema prende una stringa di bit (di un ipotetico messaggio in entrata) ed esamina ogni possibile combinazione di numero di dimensione e dimensione. Per esempio un messagio di 100 bit potrebbe essere inteso svilupparsi in due dimensioni (1×100 o 10×10) o tre (4x5x5) oppure quattro (2x2x5x5) e così via. Questo metodo, spiega chi lo ha sviluppato, potrebbe addirittura riuscire a ripulire il messaggio dall’eventuale rumore di fondo che un viaggio interstellare può produrre (cosa probabilissima).

“Una delle cose eccitanti che abbiamo capito – aggiunge Zenil – è che il messaggio, se non è completamente casuale, ti dà informazioni anche sul luogo da cui proviene, ci racconta com’è la loro geometria, il loro spazio”. Nel romanzo fantascientifico Contact, di Carl Sagan, i personaggio impiegano molto tempo prima di capire che un messaggio ricevuto dagli alieni è in 3 dimensioni. “Con i nostri strumenti, avrebbero risolto il problema in pochi secondi”.

Il metodo funzionerebbe anche se gli alieni inviassero un segnale continuo, piuttosto che in bit. Si troverebbe la giusta frequenza di campionamento per digitalizzarlo, et voilà. Il nuovo approccio è stato salutato con soddisfazione anche dal ricercatore SETI Douglas Vakoch, che ha fatto notare che il metodo valorizza ancor di più i numeri primi, che vengono usati non per scoprire il formato del messaggio ma per confermare che i decodificatori hanno trovato la soluzione corretta.

Letture consigliate: “Ehi, voi, traducete la stella di Ratner!”, sul romanzo di Don DeLillo (non dovrete decodificarlo, tranquilli, è scritto in modo immediatamente comprensibile).

 

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