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South Front 4th Floor. University Library, West Road, Cambridge. La biblioteca centrale delle università e dei campus di Cambridge è un edificio che somiglia alla Tate Modern, e infatti è dello stesso architetto, Sir Giles Gilbert Scott.
Quando apro wikipedia per guardare in faccia Sir Giles leggo che ha anche disegnato le cabine del telefono rosse. Sir Giles è la Gran Bretagna quasi quanto Elisabetta II.

La biblioteca è quella del logo, qui in alto, e su ogni tessera di ingresso. Un badge con una foto e il prospetto frontale della biblioteca. Una torre centrale molto alta rispetto ai corpi laterali, simmetrici. Mattoni rossi e vetro, una porta girevole con le finiture di ottone. Sei piani per due corpi, nord e sud, cinque piani per due ali, nord e sud, una stanza dei libri rari, sale di lettura, otto milioni di libri.

Otto milioni di libri. Otto milioni di libri tutti a disposizione negli scaffali ad accesso libero, senza limitazioni di numero di volumi da poter tenere sul proprio tavolo, senza limitazioni di stanze e piani. Libri liberi di essere letti dovunque all’interno della biblioteca.

Quando entro cerco di non farmi intimorire, di non lasciarmi frastornare, e di capire dove cercare i libri che mi servono. I testi di matematica sono nel corpo sud al quarto piano. Le scale sono strette, i piani ribassati, la moquette è dovunque e l’unica nota di fondo sensoriale è il profumo dei fiori. Perché è aprile e a Cambridge è primavera.

Non ci sono rumori, pare che gli studiosi non respirino. Sono matematici, o storici, o studenti, o filosofi, non lo so bene e quando comincio a scorrere i titoli capisco perché. La matematica è così il linguaggio della tecnologia e del mondo e delle applicazione che anche un testo di analisi o di meccanica del 1980 sta qui, in mezzo ai testi del primo ventennio del Novecento. Anche tutta la matematica ancora valida, ma impaginata in qualche modo che sembra d’epoca, diventa d’epoca. Un po’sussulto e penso che la matematica degli ultimi trentenni è già storia della matematica. Poi decido che non devo lasciarmi distrarre né dai libri né dalle prove di geometria che un paio di studenti tengono sul tavolo. Mi piacerebbe aprirli, leggere, chiedere, ma sono tutti così composti e tutto è così silenzioso che già respirare mi sembra eccessivo. Quindi afferro il mio quaderno e comincio a cercare sugli scaffali le collocazioni che ho segnato già nella stanza dei cataloghi sia cartacei che digitali. Le collocazioni qui dentro sono codici anche a dieci cifre e non c’è altro da dire. Non è una semplice battaglia navale, è la guerra dei cento anni. Ma io non mi scoraggio e saltati i periodici trovo i libri. Comincio dal postulato delle parallele, un po’perché è il primo problema di natura sia letteraria che matematica che mi sono trovata davanti quando ho scavalcato l’ottocento, un po’ perché nelle biblioteche italiane c’è pochissima bibliografia e tutta tradotta due volte. Dall’ungherese all’inglese o al francese e da lì all’italiano. Io mi fido dei traduttori ma anche un po’ delle distorsioni del telefono senza fili. E così comincio.

Di Janos Bolyai non esistono immagini su cui gli studiosi concordino. Quindi non esistono immagini. Anche dal punto di vista dell’iconografia popolare, l’unica pagina di wikipedia che accenna alla questione è in ungherese. Quindi, in fondo, non esistono neppure cenni. Tuttavia su di lui spende qualche riga Cesare Lombroso che ne L’uomo di genio sotto la caratteristica dell’originalità scrive Bolyai, per la sua invenzione della quarta dimensione nella geometria non euclidea, è stato chiamato, il geometra della follia e paragonato a un mugnaio che cerchi di tirare fuori la farina dalla sabbia1. E, nel capitoloGenio e follia, aggiunge Tutti i matematici ammirano il grande geometra Bolyai, le cui eccentricità appartenevano a un carattere folle, una volta sfidò tredici ufficiali a duello, si battè con loro e tra un duello e l’altro suonava il violino, l’unico pezzo di arredamento di casa sua. Quando andò in pensione si stampò da solo il proprio manifesto funebre, lasciando in bianco la data, e si costruì la bara da solo. (…) impose ai suoi eredi di piantare un melo sulla sua tomba in ricordo di Eva, di Paride e di Newton. Costui era il grande riformatore di Euclide2. Cesare Lombroso prende queste notizie da Wilfrid de Fonvielle che però in Comment se font les miracles en dehors de l’Église3, per spiegare al lettore, senza annoiarlo, qual è il senso e chi è l’inventore della geometria non euclidea parte dalla corrispondenza di Farkas Bolyai e Gauss e finisce con le bizzarrie caratteriali di Janos Bolyai, senza differenziazione, come se padre e figlio, entrambi matematici, fossero una persona sola. Janos Bolyai muore nel 1860, appena diciannove anni prima del libro di de Fonvielle ed è peculiare non solo che oggi non esista una sua icona, ma pure che già allora non ci fosse una sua identità esatta. Costui era il grande riformatore di Euclide. Adesso c’è ancora da studiare. Fuori dalla University Library, ma grevi e lieti, dopo che il servizio fotocopie mi ha permesso di portarmi dietro quello di cui avevo bisogno. Dei libri c’è sempre bisogno, o no?

 

 

Chiara Valerio

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