Carlo ne è sicuro: ogni fenomeno in natura avviene a causa della presenza di un gradiente. Un gradiente topografico genera un fiume ed un gradiente di energia elastica, accumulata poco a poco all’interno della crosta terrestre, è responsabile di un terremoto. Carlo ne è convinto ed io, a modo mio, gli vado dietro. Entro al supermercato, reparto frutta e verdura, e mi congelo: tutta colpa di un gradiente di temperatura. Ne esco, e mi pare di morire dal caldo. Nuova imprecazione contro il gradiente, unico responsabile di questa sgradevole variazione termica.
Ci sono tante maniere di misurare il cambiamento delle cose e, nel caso del gradiente, la questione è relativa. Lo shock termico di cui sono stato vittima facendo la spesa è dovuto al fatto che fuori dall’ingresso del supermercato ci sono trenta gradi all’ombra e, non appena superata la porta, si passa repentinamente a quindici. Un salto di quindici gradi nell’arco di una manciata di metri. Cambiamento si, ma cambiamento rapido. O, per meglio dire, ripido. Quello che qui si misura non è il passaggio da un valore ad un altro in senso assoluto, ma relativamente a quanto spazio si deve percorrere per effettuare la transizione. Si tratta di un rapporto di grandezze: salto di temperatura diviso spazio percorso.
Chi dovesse trovare affinità con il concetto di derivata è assolutamente sulla buona strada: il gradiente è, in sostanza, una derivata. Ma con una differenza. Mentre con la derivata si determina una pendenza di una curva e quindi ci si costringe ad un percorso claustrofobicamente unidimensionale, quando si parla di gradiente la libertà di spostamento è ben maggiore.
Torniamo all’esempio della temperatura. Immaginiamo una stanza e, per comodità, fermiamo lo scorrere del tempo. Ad ogni punto della stanza può essere associato il suo valore di temperatura. Zone in prossimità dei termosifoni (accesi assumendo sia inverno) sono a temperatura elevata, zone in vicinanza delle finestre (aperte… anche se è inverno!) sono a bassa temperatura. Considerato un punto di partenza, possono essere individuate tante direzioni di spostamento (alto, basso, destra, sinistra, diagonale, trasversale…) e per ciascuna di esse è possibile determinare il corrispondente rapporto tra la variazione di temperatura e la distanza percorsa. Così e passando al limite nella lunghezze delle distanze a denominatore, si associa a ogni punto un misterioso oggetto che codifica la ripidità dei cambiamenti termici a seconda della direzione di spostamento.
Tutto più o meno bene, salvo l’indigesto aggettivo “misterioso”: quando gli arnesi si vogliono usare, meno zone d’ombra ci sono e meglio è. L’oggetto matematico ha un nome preciso, si chiama “differenziale” e vive nel beato mondo dell’Algebra Lineare. Per un miracolo del mondo che ci circonda, avviene però che questo fantomatico differenziale possa essere descritto da una quantità ben più maneggevole: il gradiente. In ogni punto della stanza-prototipo, il gradiente (di temperatura) è individuato da una singola specifica direzione, che corrisponde a quella in cui la variazione è massima, e da un valore di lunghezza, che ne descrive la ripidità di variazione. La nostra stanza risulta quindi popolarsi di vettori che, punto per punto, indicano in quale direzione spostarsi se si va cercando una zona di calore più alto.
Una volta definito l’oggetto – il cui simbolo è un triangolo isoscele con la testa all’ingiù, detto “nabla”, per via di una somiglianza con un tipo di arpa dell’antichità greca – e familiarizzato con il concetto, il divertimento è garantito. Lasciando libertà al tempo di riprendere a scorrere, e dando fiducia a Jean Baptiste Joseph Fourier, si può assumere che il calore si sposti all’interno secondo la direzione opposta a quella individuata dal gradiente, cioè nella direzione di massima variazione di temperatura e dal caldo verso il freddo. Completando con carta e penna il ragionevole bilancio delle quantità in gioco, si finisce per incappare nella famigerata “equazione del calore” la quale descrive (auspicabilmente) l’evoluzione delle condizioni termiche della nostra stanza da ora al Giorno del Giudizio.
Alla stessa maniera, si propongono numerosi altri modelli in cui le variazioni temporali di una quantità sotto osservazione sono guidate da un gradiente. Con un unico vocabolo ed un unico strumento, ci si trova a suonare musiche apparentemente diverse tra loro: lo spostamento delle cariche elettriche (legge di Ohm), l’idraulica e la progettazione delle fontane di Digione (legge di Darcy), il trasporto di massa (legge di Fick) e così via… Cambia l’ambito, la problematica ed il significato fisico, ma, in definitiva, si tratta sempre della melodia del gradiente. Con gran soddisfazione di Carlo.
Corrado Mascia