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Questo mese incontriamo Gianluca Crippa, ricercatore di ruolo nel campo dell’analisi matematica a soli 26 anni.

 

Sei diventato ricercatore di ruolo a 26 anni, mentre la maggior parte dei ricercatori, in Italia, ha fra i 35 e i 39 anni. L’Università di Parma è un’isola felice per i suoi giovani?

Non direi, credo che la mia Università soffra degli stessi problemi che vediamo in varie scale in quasi tutte le università italiane. Credo piuttosto che nel mio dipartimento ci siano singole persone estremamente illuminate che stanno cercando (per quanto possibile) di condurre una politica orientata alla ricerca e di incentivo ai giovani. Devo inoltre riconoscere che in media la matematica è più “giovane” rispetto a molte altre discipline. Probabilmente questo è dovuto alla maggior “oggettività” delle nostre ricerche, che rende quasi inesistente la stratificazione gerarchica: se ottieni un ottimo risultato, viene riconosciuto da tutti, che tu sia un giovane dottorando o un ordinario affermato.

Oggi si parla tanto di “bamboccioni” che non riescono ad andare via di casa a trent’anni e passa. Come hanno visto i tuoi parenti, i tuoi amici, la tua autonomia conquistata così presto?

Trovo sempre molto irritante quando i nostri politici parlano per frasi fatte, dipingendo intere categorie di persone in maniera stereotipata, come “bamboccioni” piuttosto che come “fannulloni”. Mi pare che in queste categorizzazioni ci sia un intento provocatorio (oltre a molta demagogia, purtroppo…) ma ritengo che i politici siano pagati per risolvere dei problemi (o quantomeno per provarci in maniera seria), e non per lanciare delle provocazioni. Si è addirittura ipotizzata una legge che obbligasse i giovani ad uscire casa ad una certa età, salvo poi trincerarsi di nuovo dietro il “ma era solo una provocazione!”. Lo vedo su tanti miei amici e colleghi della mia età, o anche con qualche anno più di me: nella situazione di totale incertezza lavorativa in cui si trovano molti di loro, anche passati i trent’anni, è pura utopia che riescano ad uscire di casa e a mantenersi da soli, considerati per di più i costi degli affitti in Italia, e la forte mancanza di aiuti sociali in tale senso. Ci può certo essere un pizzico di attitudine italiana nel non voler uscire di casa da giovani, ma credo che molto sia da addebitare al precariato dilagante che sta davvero mettendo in crisi la mia generazione. Per quello che mi riguarda, mi ritengo molto fortunato ad essermi stabilizzato così in fretta. Gli stipendi nell’università italiana sono molto bassi, ma io non ho neanche trent’anni e devo mantenere solo me stesso. Mi spaventa invece pensare ai colleghi con uno stipendio simile al mio, ma con vari anni più di me ed una famiglia da mantenere… La mia uscita da casa, a dire il vero, risale a dieci anni fa: quando mi sono trasferito a Pisa per studiare. Questo primo passo è stato vissuto in maniera molto naturale da parenti e amici, anche perché da studente sei fuori casa ma un po’ “a metà”. E quindi anche il passaggio da dottorando a ricercatore è stato per la mia famiglia molto liscio, tanto più che (a parte qualche responsabilità in più, e i carichi didattici) la mia vita nel quotidiano non è poi cambiata molto.

Quanto conta in matematica la giovinezza? Serve per fare scoperte migliori?

Di certo in matematica la creatività conta moltissimo, e credo che sia per questo che frequentemente molti risultati davvero importanti sono raggiunti da matematici molto giovani. Ma d’altro canto anche la costanza e l’esperienza hanno una importanza molto grande: la matematica attuale è ormai molto specializzata, e ogni risultato si basa ormai su una letteratura molto vasta, e necessita di strumenti spesso complessi per essere dimostrato. Anche se a volte si corre il rischio, avendo “troppa” esperienza, di guardare istintivamente le cose sempre in un certo modo, trascurando alcune strade perché sono quelle meno usuali. Quindi forse l’ideale è un giusto mix di novità e creatività, e di esperienza e tecnica.

Qual è il tuo campo di studi?

Mi occupo di analisi matematica, più in dettaglio di equazioni alle derivate parziali, in molti casi provenienti da problemi della fisica. Mi considero un matematico “puro”, anche se comunque trovo molto interessante capire le motivazioni fisiche o applicative che portano ai temi che sto studiando. E molte volte, capire il modello o il fenomeno fisico che sta dietro all’equazione ti può aiutare a trovare possibili strategie di attacco, anche a livello teorico. Uno dei punti di forza delle tecniche con cui stiamo (io e i numerosi amici con cui collaboro) andando “all’attacco” di queste equazioni alle derivate parziali è il forte utilizzo di tecniche di teoria geometrica della misura. Un aspetto importante di questi modelli fisici è la produzione di quantità matematiche “poco regolari”, che codificano precisi fenomeni fisici di interesse. Penso ad esempio alle onde di shock piuttosto che alla turbolenza nel moto di un fluido. La teoria della misura permette molto spesso di analizzare questi oggetti su delle scale molto fini, che sfuggono invece a una trattazione più di “analisi funzionale”. Credo che proprio la capacità di fare interagire questi due campi (equazioni alle derivate parziali e teoria della misura) a priori percepiti come un po’ distanti sia un grande punto di forza. E non posso che ringraziare innanzitutto i miei due relatori, Luigi Ambrosio e Camillo De Lellis, per avermi spinto in questo campo di ricerca, e per avermi insegnato strumenti e tecniche che ormai utilizzo quotidianamente.
C’è un risultato in particolare che, secondo te, è stato così apprezzato da permetterti questa tua veloce carriera?

Il risultato che mi ha dato più soddisfazione dimostrare l’ho ottenuto collaborando con due amici, Giovanni Alberti e Stefano Bianchini. Ci siamo interessati a studiare l’equazione del trasporto in dimensione due. Posso spiegarla in questo modo: supponiamo di mettere in ogni punto del piano una freccetta. Poi mettiamo una pallina in un certo punto, e cerchiamo di farla muovere in modo che, in ogni punto della sua traiettoria, la sua velocità sia data proprio dalla freccetta che avevamo messo in quel punto. Ora, se le freccette sono disposte “sufficientemente bene” nel piano (in maniera Lipschitziana, per i lettori più esperti), vi è un unico modo ammissibile di far muovere la pallina. Ma come dicevo prima, in tanti modelli fisici ci troviamo in mano quantità assai poco regolari: le freccette che ci ritroviamo sul piano sono messe in maniera molto molto cattiva, oscillano tantissimo e sembrano messe davvero a caso! Con Giovanni e Stefano abbiamo individuato una condizione molto debole di regolarità sulla distribuzione delle freccette (molto molto meno che Lipschitziana!) in modo che sia possibile trovare sostanzialmente una sola traiettoria ammissibile per ogni pallina. La cosa davvero carina del nostro teorema è che anche il viceversa vale: se chi ha messo le freccette sul piano è stato così cattivo da violare la nostra condizione, allora noi siamo sempre in grado di trovare molte palline “indecise”, che hanno cioè molte traiettorie possibili. Al di là del risultato in sé (che comunque risponde in maniera molto precisa a delle domande fatte anche da matematici molto prestigiosi), quello che mi piace molto del nostro teorema è il fatto che la dimostrazione richieda tecniche provenienti da aree molto distanti tra loro: equazioni alle derivate parziali, teoria geometrica della misura, topologia, teoria delle correnti, analisi reale… E proprio per questo, ho avuto modo di imparare tantissime cose lavorandoci!

C’è un risultato scientifico a cui stai puntando, in questo momento?

Sto iniziando a studiare in maniera più approfondita questioni legate alla dinamica dei fluidi. E’ un campo in cui ci sono tanti problemi aperti molto affascinanti. E soprattutto, a vari livelli di difficoltà: non solo la regolarità per Navier-Stokes, che è un Clay Millennium Prize Problem… Credo sia importante affrontare problemi significativi, ma a tutti i livelli di complessità, anche perché su ogni argomento è necessario un certo training, che puoi acquistare solo lavorando fattivamente sui problemi. Non mi vedrei assolutamente a chiudermi in casa per anni a pensare solo a un super-problemone, anche perché alla fine il problema non mi riuscirebbe e sarebbe assai triste! Ma credo sia bene avere, se non dei precisi problemi guida, quantomeno delle belle e importanti tematiche sullo sfondo della ricerca quotidiana, per non farti perdere nelle micro-variazioni di risultati già esistenti. Quello dell’estetica di un risultato matematico è un discorso molto importante: dobbiamo sforzarci di lavorare a temi belli e significativi!

Tu sei un giovane ma vivi già dal di dentro la realtà dell’Università italiana dal punto di vista dell’Istituzione. C’è qualcosa che vorresti cambiare, nel cosiddetto “sistema”?

Moltissimo: forse farei prima ad elencare quello che vorrei mantenere così come è. Innanzitutto, il sistema è assolutamente sottofinanziato, e le ultime mosse governative stanno a mio avviso rendendo ancora più critica la situazione. Non lo dico solo a livello di stipendi, ma anche e soprattutto per quello che riguarda i fondi di ricerca, che non sono un lusso di noi ricercatori, bensì lo strumento con cui possiamo effettuare il nostro lavoro. E’ come se si togliessero i locomotori ai convogli ferroviari, e poi ci si domandasse perché mai i treni non viaggiano! Se l’Italia vorrà rimanere fra i paesi competitivi ed avanzati, dovrà assolutamente invertire questa tendenza, altrimenti si incrementerà sempre più l’emigrazione verso l’estero dei ricercatori in ogni campo, anche di noi che attualmente un posto lo abbiamo, ma non abbiamo né reali prospettive di carriera, né possibilità di programmare a medio e lungo termine i nostri piani di lavoro, viste le carenze del sistema. Solo a titolo di esempio: i fondi di ricerca PRIN relativi al 2008, del nostro Ministero dell’Università, sono arrivati solo da qualche mese, e siamo a metà 2010… Ma vedo anche molti problemi interni all’università, e credo che molti di essi siano dovuti alla deresponsabilizzazione del sistema. Come accademico, non hai alcun reale vincolo o incentivo da parte del sistema a fare delle scelte virtuose, ad esempio per quanto riguarda le assunzioni. Ci si nasconde dietro a un sistema concorsuale formalmente ineccepibile: due compiti anonimi, ognuno in una busta sigillata, con all’interno una busta più piccola con le generalità del candidato, e il tutto contenuto in una busta ancor più grande. Sembra pensato dalla lobby dei produttori di buste… Sarebbe molto meglio se ogni gruppo di ricerca avesse la libertà di assumere chi vuole, magari contrattando anche condizioni e salario; dopodiché, dopo qualche anno, una agenzia di valutazione controlla come lavora il tuo gruppo, e in base a quello i tuoi finanziamenti aumentano oppure diminuiscono. Chi sarebbe così poco astuto da assumere il tizio scarso, solo perché lo conosce da vari anni, al posto che il bravo outsider? Ad esempio, negli Stati Uniti, se un tuo progetto viene finanziato dalla National Science Foundation, tu ricevi una certa quantità di denaro per le tue ricerche, e la tua università ne riceve una quantità comparabile che va ad incrementarne il bilancio complessivo. Questo chiaramente invoglierà le università a fare delle buone assunzioni: è un po’ come quando sei invogliato a chiedere la fattura al tuo dentista, perché sai che potrai detrarla a livello di dichiarazione dei redditi. Infine, non posso far finta di non vedere i molti episodi di malcostume che in università succedono: e questo mi scoraggia molto, assieme al fatalismo con cui sono quasi sempre percepiti dall’interno.

A che età ti sei accorto di amare la matematica? Sei stato precoce anche in quello? E come te ne sei accorto?

Sin da quando ero ragazzo mi interessavano molto le materie scientifiche, ma in una accezione molto vasta: matematica, ma anche scienze naturali, biologia, chimica… Poi, i miei interessi più specifici sulla matematica sono nati nei primi anni del liceo, credo anche grazie ad una professoressa di matematica molto capace e stimolante. Credo ci siano state due cose che mi hanno spinto verso la scelta della matematica: innanzitutto, il fatto che mi è sempre riuscito di fare matematica in maniera molto naturale e piacevole, il che è estremamente importante per qualcosa che vuoi scegliere come occupazione principale per tutta la tua vita. Ma soprattutto, quello che mi piace della matematica è il suo essere una sorta di arte, in cui tutti gli aspetti devono essere ben calibrati e fra loro consistenti, e in cui il giudizio di valore è molto spesso anche estetico, legato alla bellezza del problema e del risultato. In un certo senso, è anche una astrazione dalla realtà, che richiede molta concentrazione e costanza. Devo confessare che la mia scelta alternativa a matematica sarebbe stata fisica, il che è abbastanza comune fra i matematici, ma nel mio caso sarei stato molto attratto dalla fisica sperimentale (invece, questa è più tipicamente malvista dai matematici…). Mi affascinano le grandi apparecchiature sperimentali, e una visita al CERN durante il liceo mi colpì molto. Ma forse è andata meglio con la matematica, non ho davvero un grande spirito pratico, me ne accorgo quando provo con fatica a fare dei piccoli lavori in casa: le poche volte che riesco nel mio scopo senza rompere nulla è una grande soddisfazione. Ok, sto esagerando un po’…

I corsi di laurea in matematica, in media, si confrontano ogni anno con la crisi delle iscrizioni. Cosa può trovare un giovane di interessante nella matematica? Con quali iniziative si potrebbe procedere, a tuo avviso, per avvicinare i giovani alla matematica?

Credo che molto debba cominciare dalle scuole: servono insegnanti capaci, motivati e motivanti, che abbiano studiato per bene quello che devono insegnare, ma che soprattutto non siano tutti i giorni appiattiti sul quadrato del binomio e il resto del formulame… Quello che manca nelle scuole è, a mio avviso, l’aspetto di creatività della matematica: si insegnano moltissime regole, se il discriminante è positivo si fa una cosa, se è negativo un’altra, un po’ come se fosse una legge divina. Lo vedo molto sui miei studenti della Facoltà di Agraria, in cui tengo dei corsi di servizio di matematica di base: la difficoltà più grande che mi trovo ad affrontare è far loro capire che c’è una ragione dietro alle cose, che loro possono essere in grado di capire e di ricostruire. Alcune buone iniziative vengono anche dalle università, che provano a realizzare attività di vario tipo nelle scuole superiori: anche alcuni miei colleghi di dipartimento sono molti attivi in tale senso. Tra qualche giorno comincerà uno stage di orientamento per gli studenti che hanno appena terminato il quarto anno delle scuole superiori, grazie al quale più di un centinaio di ragazzi potranno visitare il nostro dipartimento ed assistere a conferenze e tavole rotonde, di matematica ed informatica. E’ sempre molto complesso raccontare davvero cosa è la matematica, senza banalizzarla ma anche senza nascondersi dietro a tecnicismi: in questo senso siamo svantaggiati rispetto alle altre scienze, di cui si possono sempre raccontare le applicazioni, più comprensibili anche per il pubblico.

 

 

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