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Si è laureata in Ingegneria e poi ha deciso di dedicarsi alla matematica. Lavora presso l’IMATI di Pavia ed è la più giovane dirigente di Ricerca del CNR (il 14 febbraio compirà 37 anni). Nel 2007 ha vinto l’ERC Starting Independent Research Grant. Oggi parliamo con Annalisa Buffa.

 

Q: Com’è che hai deciso di fare matematica?
A: Beh, io ho studiato ingegneria innanzitutto e ho fatto solo la tesi di Laurea in Matematica.

Q: E con chi l’hai fatta?
A: Con Franco Brezzi e Luigi Ambrosio. Ho studiato matematica perché era un po’ il mio pallino. In realtà ho studiato Ingegneria un po’ per il volere dei miei genitori e poi quando si è trattato di scegliere la tesi di Laurea sapevo che c’era Franco (n.d.r.: Brezzi) come relatore che mi conosceva perché avevo fatto varie domande per borse di studio e mi ha accettato in tesi nonostante abbia poi dovuto insegnarmi un sacco di cose. E a quel punto è diventato naturale continuare come matematico.

Q: Ho capito. Quindi ha fatto una tesi proprio in matematica.
A: Si, mi sono laureata con una tesi sui moti per curvatura media, esistenza e unicità, quindi proprio una tesi di Analisi Matematica (neanche analisi numerica).

Q: E quando hai capito che eri portata per la ricerca?
A: Beh, la matematica, ripeto, mi ha sempre incuriosito e prima di me aveva incuriosito mia madre e ho deciso di provare…

Q: E quando hai capito che le cose funzionavano?
A: Io direi ben tardi, perché ho cominciato il dottorato dicendo “vado in Francia ad imparare il francese, negli Stati Uniti ad imparare l’inglese e poi vedremo”. L’idea non era di rimanere nell’accademia, insomma. Poi ho cominciato ad avere dei riconoscimenti, il mio posto fisso e insomma ho deciso che forse era la mia strada e che non era il caso di andare a fare il programmatore in azienda.

Q: Ma hai deciso prima o dopo aver finito il dottorato?
A: Diciamo a metà ho deciso che ci avrei scommesso, che avrei lavorato in questa direzione per vedere cosa succedeva.

Q: Ok. Allora vediamo un po’. Di cosa ti occupi?
A: Mi occupo di interazione tra sistemi di analisi, quindi algoritmi per la risoluzione di sistemi alle derivate parziali e il CAD, il Computer Aided Design. Sono due mondi molto separati che devono interagire per  forza, ma che per ora lo fanno molto male. Per risolvere un’equazione differenziale devo prendere il dominio dal CAD. Si basano su concetti diversi. E noi cerchiamo di modificare la nostra impostazione analitica per avvicinarci alle specifiche del CAD e sfruttare le sue potenzialità sia come strumento per la rappresentazione della geometria che come strumento per la rappresentazione delle soluzioni.

Q: Che cosa fate esattamente con questo CAD?
A: Il CAD costruisce determinate geometrie di calcolo basate su spline e generalizzazioni. Gli oggetti che consideriamo sono quelli dell’industria manufatturiera e il loro design viene fatto sul CAD, siano essi automobili, motori, trasformatori. L’idea è di dire che il CAD dà una mesh, particolare, e noi vogliamo usare la sua, senza passare da un meshatore. Per cui diventa necessario modificare tutta l’analisi, invece di usare dei polinomi a pezzi su dei tetraedri, devo  partire dalla mesh del CAD, metterla a posto e farci i conti con gli stessi strumenti del CAD, ossia le spline, riscoprendo così la vecchia analisi numerica – ma forse, speriamo, in modo un po’ più flessibile.

Q: E quali sono I risultati più importanti che pensi di aver ottenuto finora nella tua carriera?  Quelli che vorresti raccontare ai tuoi nipotini?
A: Beh, per i nipotini ci penseremo. Come matematica credo che le cose che abbiano avuto più successo siano risultati di analisi, e non di analisi numerica. La teoria delle tracce in alcuni spazi funzionali di tipo Sobolev, in teoria dell’elettromagnetismo, in cui io ho sviluppato tutta una teoria matematica che ha poi consentito la soluzione di equazioni formulate sui domini esterni. Dunque per esempio le antenne dei cellulari posizionate sui tetti emettono dei campi elettromagnetici intorno a loro e il problema è di calcolarli in modo efficace. Per fare questo servono delle formulazioni sui bordi che richiedono una teoria di Sobolev abbastanza complessa. L’incipt è stato da un mio lavoro in collaborazione con Patrick Ciarlet su queste tracce, e poi ho lavorato a lungo sulle equazioni dell’elettromagnetismo in domini esterni.

Q: In pratica si tratta di decomposizioni di Hodge raffinate.
A: Si infatti utilizzavamo una decomposizione di Hodge , ma su bordi di domini non regolari, in cui magari già la definizione della tangente e di operatori differenziali su campi tangenti era un problema.

Q: Comunque sempre con una grande attenzione a problemi di natura applicativa.
A: Sì, il tutto è partito da problemi di analisi numerica che poi sono stati sviluppati sulla scia dei risultati ottenuti. Per esempio recentemente abbiamo proposto un precondizionatore estremamente efficace per la risoluzione di campi elettromagnetici esterni che è già molto utilizzato.

Q: Ma tu riesci a interagire con la parte industriale, o c’è qualcun altro che lo fa al posto tuo?
A: Putroppo c’è qualcun altro, ahimé, perché a me piacerebbe avere un’interazione diretta. Però per questo servirebbe avere molta forza lavoro, se non altro sul piano informatico, avere dei buoni “coder” ed essere in grado di fornire buoni risultati. Cosa che non sono in grado di fare. Ossia adesso ho un enorme progetto in corso  che mi sta aiutando, ma fino a poco tempo fa ero sostanzialmente da sola.

Q: Parliamo del progetto allora. So che sei stata finanziata da un ERC starting grant , quelli per i giovani. Come è andata? Come hai fatto ad ottenerlo?
A: Beh, ci sono state le call, e noi giovani abbiamo deciso di partecipare, vista la carenza strutturale di fondi del CNR, a volte abbiamo anche problemi a pagare il riscaldamento. Eravamo un gruppo di tre persone e abbiamo scritto un progetto comune. Poi io ho fatto da Principal investigator perché sono giovane, perché sono donna e perché ho un buon curriculum, diciamo… Queste era l’idea…

Q: non sono cattive ragioni però…
A: eh forse… Comunque abbiamo scritto questo progetto con grande attenzione e grande fatica e alla fine è andata molto bene. Le valutazioni sono state ottime e il progetto è stato finanziato subito. Ed è lì che sono cominciati i guai. Nel senso che i soldi sono arrivati a Pavia e ho dovuto cercare dei buoni Post-doc, e questo non è stato facile. E l’inizio della ricerca non è stato facile. A cui si sono sommati i soliti problemi italiani con una gran fatica nella gestione dei soldi e delle risorse.

Q: E come sta andando adesso il progetto sul piano dei risultati? Magari però intanto dicci bene quale sia l’argomento che in realtà non lo so…
A: L’argomento è la costruzione di schemi numerici stabili e compatibili per le spline. Insomma l’argomento di cui abbiamo parlato prima. Dal punto di vista applicativo stiamo producendo un grosso codice tridimensionale per la risoluzione di problemi elettromagnetici su certe famiglie di splines e poi, ultimamente, mi sono lanciata sui fluidi.

Q: e cosa fate?
A: Beh, visto che abbiamo degli oggetti che non sono più soltanto polinomi, ma molto più generali e flessibili, stiamo facendo nuovo algoritmi per la risoluzione di Stokes, Navier-Stokes, Boussinesque. Insomma ci piacerebbe avere un buon risolutore per Navier-Stokes per poi fare dell’ottimizzazione di forma. C’è adesso un nuovo post-doc con grande esperienza nel coding e nell’ottimizzazione di forma per cui credo che andremo in questa direzione.

Q: Ma quanta gente lavora con te adesso? Quali sono le dimensioni del tuo gruppo?
A: Ci sono i due colleghi con cui ho fatto il progetto, che sono Giancarlo Sangalli e Alessandro Reali, e poi ci sono quattro post-docs e due dottorandi.

Q: Insomma un bel gruppo.
A: Beh, si sono molto contenta. Certo questo comporta un carico di lavoro su di me abbastanza grosso, però insomma è giusto così, è il momento di farlo.

Q: Va bene. E per il futuro cosa pensi di fare? Hai qualche progetto in mente? Cosa sogni di fare da grande?
A: Io sono già grande, no?

Q: beh, insomma :-D. Scusa quanti anni hai?
A: 36.

Q: Vedi? Sei nel fiore degli anni…
A: Cercare di mantenere il mio gruppo di ricerca, conservare la mia autonomia scientifica.

Q: Va bene, ma che problemi vorresti cercare di affrontare? Hai un dream problem?
A: No, direi di no. Lavoro in un settore in cui i “dream problem” sono un po’ strani. In analisi numerica devi vedere cosa succede, quali sono le necessità. E questo cambia molto rapidamente, rispetto per esempio all’analisi matematica. In questo momento spero nell’arco dei prossimi dieci anni di vedere un sistema CAD con un applet che faccia l’analisi come stiamo cercando di farla noi.

Q: Ma pensi che l’industria un giorno utilizzerà questi nuovi strumenti?
A: È possibile. Magari non io direttamente. Ma la ragione per cui l’Europa ha dieciso di finanziare questo progetto è che ci sono molte persone che stanno lavorando in questa direzione con grande successo. Alcuni gruppi negli Stati Uniti lo stanno già facendo. Il nostro vantaggio è di essere I primi in Europa a sviluppare queste tecniche e soprattutto I primi matematici a farlo. E quindi con la nostra di matematica possiamo arrivare a scrivere algoritmi interessanti che non verrebbero in mente ad un ingegnere.

Q: Che rapporto vedi tra matematica e applicazione? Ti piace veramente la matematica applicata? Che cosa è secondo te?
A: La matematica applicata è una cosa molto vasta. Io sono un’analista numerica e non proprio una matematica applicata. E quando ho cercato di avvicniarmi alla matematica applicata, anche solo nel senso di modelli differenziali, analisi asintotica etc…, ho avuto molta difficoltà, nel senso che io forse da ingegnere ho difficoltà a leggere libri di altre discipline. Per esempio tu mi dai un libro di meccanica statistica e io non ci capisco niente e mi scontro con questa incompresione che trovo molto frustrante. E per questo non mi sento un matematico applicato, che secondo me deve essere in grado di aprire un libro di biologia e di leggerlo. Io non sono in grado…
E invece molto più volentieri e maggior capacità riesco ad aprire un libro di matematica pura e leggerlo. Pur essendo un ingegnere di formazione, riesco a prendere un libro di geometria differenziale e a usarne veramente le idee anche sofisticate. Perché la matematica mi diverte di più. Però spero in futuro di riuscire ad interagire maggiormente, per esempio con gli ingegneri sperimentali.

Q: Ancora un’altra domanda di matematica. Chi sono I matematici che ti hanno più formato?
A: Io mi sono presentata come Ingegnere. Sicuramente Franco Brezzi è stato al tavolo con me ad insegnarmi tutto perché io potessi preparare un concorso di dottorato e insieme a lui Gianni Gilardi. Mi hanno aiutato tantissimo a formarmi delle basi solide su cui poi ho costruito tutto. E non finirò mai di ringraziarli entrambi. Dopodiché un’altra persona che mi ha influenzato molto è Jean-Claud Nédélec, è l’inventore degli elementi finiti che tutti usano per I problemi di elettromagnetismo. Ed è anche un vecchio saggio, un vieux sage. E lui ama aiutare le persone giovani a farsi un’idea, a farsi strada. Presenta problemi sempre complicati e aiuta le persone giovani a scomporli. E poi boh basta.

Q: Ok, basta con la matematica. Cosa fai quando non fai matematica?
A: Sto con Elia, che è mio figlio e che oggi compie due anni.

Q: Quindi se non c’è la matematica, c’è il figlio…
A: Eh si, occupa un sacco di tempo. Tra figlio e progetto europeo, che sono arrivati pure insieme… E poi ci sono attività collaterali.

Q: Per esempio?
A: Beh, io sono un navigatore. Vado in barca a vela da quando sono molto piccola. Amo navigare e andare sott’acqua e non ho mai perso l’occasione di farlo prima che nascesse Elia. Ancora non viene sott’acqua con me, ma lo farà presto. Ah, e partecipo a un gruppo di acquisto solidale.

Q: E I viaggi?
A: Tanti, ho sempre viaggiato molto. Sono stata quattro anni  a Parigi, due a Zurigo, un anno negli Stati Uniti. Sono stata in giro parecchi, adesso ancora mi muovo molto, ma insomma, toccata e fuga.

Q: Eh capisco…
A: Adesso per esempio sono in partenza per il Cile, ahimé…

Q: Brava! E il tuo compagno non si scoccia di rimanere solo con il bambino?
A: Eh, diciamo che abbiamo un’organizzazione familiare molto flessibile. Chiaramente è scontento, ma sa che se devo andare vado. Esattamente come lui. In realtà timbriamo il cartellino, lui è appena tornato dalla Cina e io parto per il Cile, siamo sempre con la valigia.

Q: È complicato mettere insieme famiglia e lavoro?
A: Beh, diciamo che basta sacrificare un po’ il lavoro?

Q: Ma, nella tua esperienza, è più complicato per una donna o per un uomo?
A: Beh, nella mia esperienza… Forse è uguale. Forse un po’ più difficile per la donna perché è più difficile stare lontane dalla famiglia. Ci si sente più in colpa. Insomma, io lascio mio figlio e mi sento che dovrei stare con lui, mentre per il mio compagno mi sembra che sia un sentimento meno forte. Quindi solo per quello.

Q: Beh, dipende anche dalla disponibilità del compagno.
A: Sì, ma nel mio caso è solo una questione mia intima.

Q: Ma allora qual è la vera difficoltà delle donne nella carriera scientifica? Perché ci sono poche donne nei posti chiave?
A: Probabilmente le cose stanno anche cambiando. Da una parte io sono molto avvantaggiata dal fatto di essere donna. CI sono tutti questi problemi di gender balance, di parità etc… che fanno sì che io vengo invitata ovunque, a convegni, panel di valutazione, committee, probabilmente perché non sono male, ma anche perché sono una donna e nella lista degli Invited speakers è bene che ci siano un po’ di donne. Quando sono tutti uomini si nota….

Q: Quindi mi dici che questa politica del gender balance funziona.
A: Sì un po’ funziona e direi che è giusto così. Certo, poi per quello che riguarda i ruoli chiave, quelli decisionali, quella è un’altra questione. A quel livello la politica del gender balance non funziona più molto.

Q: Ma nel concorso per scegliere il direttore del tuo Istituto eri nella terna finale.
A: Sì, anzi eravamo due donne e un uomo. Comunque in generale c’è una questione di disponibilità perché per esempio fare il Direttore di un istituto CNR richiede tantissima energia, e non è detto che una donna con famiglia voglia metterla sul lavoro. Perché forse in questo momento preferisco saltare sul lettone con mio figlio piuttosto che avere questa responsabilità, e questo è il sentimento di molte donne. Che alla fine si tirano indietro loro, perché avere dei ruoli chiave vuol dire comunque essere esposti. E non è detto che sia sempre la scelta ottimale per una donna.

Q: Ma in matematica si sente più o meno questa differenza tra uomini e donne, rispetto ad altre discipline?
A: In Italia mi pare che non si senta molto questa differenza. O forse sono io che ho i paraocchi e non m accorgo di nulla. In altri paesi, tipo la Germania, la differenza è grandissima. Non ci sono donne che fanno matematica. Mi sono trovata ad una conferenza a Oberwolfach dove ero l’unica donna. C’era da aver paura….

Q: E secondo te la matematica fa paura alle donne?
A: Noooo, non di più che agli uomini. La matematica fa paura a quasi tutti tranne che ai matematici.

Q: Allora ancora un paio di domande e poi ti lascio lavorare. Altre attività che ti piace fare nel tempo libero, libri, film, musica…
A: Leggo tantissimi fumetti, sono una fan di Hugo Pratt e anche di Dylan Dog. In realtà è il mio compagno che mi ha passato questa passione: i Dylan Dog li abbiamo dal numero uno. Sono una pessima cuoca, e in casa cucina l’uomo. E poi leggo molto. È  una passione che mi è venuta come reazione alla troppa matematica. Da giovane facevo solo sport e leggevo solo fumetti. Invece oggi leggo tanto.

Q: E chi sono i tuoi autori preferiti?
A: Evolvono nel tempo. Posso solo dirti che l’ultima passione è Fred Vargas. E sono un’orfana di Varga, perché scrive solo un libro all’anno e dovrebbe scriverne dieci. Tra l’altro Fred Vargas è lo pseudonimo di una ricercatrice di storia  del CNRS francese che scrive romanzi nei suoi 53 giorni annuali di ferie.

Q: Come vedi la situazine della ricerca in Italia. È così grave? Cosa faresti per cambiare le cose?
A: Beh, io sono una pessimista. Forse vivo in un ambiente che è stato molto penalizzato negli ultimi anni. Sono entrata nel CNR nel 2000 pensando di trovare un ambiente stimolante per fare ricerca e l’ho visto precipitare. L’ottimismo non è tanto. Ma ahimé non la vedo molto positiva per il futuro. Sono in Italia solo perché abbiamo deciso di tornare. È stata una decisione sofferta, e adesso sarebbe anche peggio gettare la spugna e andarsene. Però la tentazione è tanta e le proposte anche.

Q: ma perché le cose non funzionano? Mancano i soldi o la struttura non funziona?
A: Credo che il problema sia che le persone sono poche. C’è poco personale permanente e nemmeno tutti lavorano come dovrebbero. Non ci sono veri controlli e non si capisce nemmeno perché bisognerebbe lavorare. Le persone come me lavorano solo per una specie di missione, non perché ci sia uno stimolo. Mancano stimoli ai ricercatori. E mancano anche agli amministrativi, che fanno motla fatica per tenersi aggiornati e la loro carriera è l’ultimo dei pensieri di chiunque. E di fatto perdono stimoli, con il risultato che il ricercatore non ha più il supporot che deve avere e questo complica l’esistenza.

Q: E se fossi il ministro cosa faresti?
A. Sono contenta di non esserlo…

Q: Beh, ha l’età tua.
A: Certo, ha proprio la mia età. Che farei? Forse cercherei di mettere insieme un meccanismo virtuoso, ispirandomi a esperienze vicine. Per esempio la Francia che è un contesto scientifico che funziona incomparabilmente meglio del nostro, e forse a pari risorse. Anche se hanno più risorse umane, hanno pochissime risorse finanziarie dal Ministero. Però non sono solo le risorse umane. È anche il modo di utilizzarle. Hanno più mobilità tra CNRS e università, più flessibilità. I laboratori fanno le valutazioni e ci tengono a farla. E servono a distribuire le risorse. Da noi tutto questo manca. Si fanno le call per i progetti e non si capisce bene come vengano fatte le valutazioni. Ecco, sarebbe ora di distribuire i pochi soldi con maggior criterio.

 

 

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