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Nato a Piacenza meno di quarant’anni fa, è diventato professore ordinario a 34 anni. Questo mese parliamo con Andrea Malchiodi, che insegna Analisi Matematica alla Scuola Internazione Superiore di Studi Avanzati di Trieste.

 

Lo stereotipo del matematico lo dipinge come una specie di genio/pazzo, un ‘diverso’ che, molto probabilmente, già da piccolo affetto da autismo o manie varie. Tu a 34 anni eri già professore ordinario: sei stato un bambino prodigio?

Assolutamente no. Ero un bambino come tutti gli altri che amava giocare e divertirsi. Avevo sì una predilezione per la matematica, ma assolutamente nei limiti della normalità. E’ vero però che, addentrandosi nel mestiere, a volte serve una certa dose di concentrazione e ci sono momenti in cui si è un po’ “sulle nuvole”.

 

Quando hai scoperto, se c’è stato un momento o una fase della tua vita in particolare, di avere una passione per la matematica così forte da riuscire a farla diventare il tuo lavoro?

Più o meno mi è sempre piaciuta, ma se devo scegliere un momento particolare direi verso la fine del liceo. Ho cominciato ad appassionarmi, studiando una serie di problemi che erano fuori dagli standard dei programmi di studi (gli esercizi delle olimpiadi della matematica), e che richiedevano una certa inventiva. Lì bisognava “sbizzarrirsi” ed era bello perché c’erano a volte diversi modi per risolvere uno stesso problema. Le gare in sé non sono andate granché bene, perché avevo iniziato ad esercitarmi ormai tardi (e perché non sono Einstein), però i miei gusti si erano formati. Poi, all’università, mi sono concentrato esclusivamente sulle materie scientifiche e capivo che, studiando approfonditamente, potevo avere una padronanza piuttosto ampia dei programmi di studio.

 

In TV in questo momento ricominciato un (a mio avviso terribile) programma, La Pupa e il Secchione, e fra i ‘secchioni’ protagonisti quest’anno c’è anche un giovanissimo matematico. Se i matematici anziani bofonchiano cose incomprensibili o sono internati (nell’immaginario collettivo), un matematico giovane deve per forza essere completamente alienato dalla società incapace di comportarsi in pubblico (come quel programma vuol far credere)? La cultura matematica ‘rovina’ davvero coì tanto i suoi giovani virgulti?

Non entro nel merito del programma televisivo in questione, ma è vero che nell’immaginario collettivo questa è l’idea che ci si fa dei matematici. A volte ci può essere una certa tendenza all’isolamento di tipo caratteriale. Ma in fondo i matematici (come tutti gli scienziati, credo) cercano nel loro lavoro una gratificazione sociale: sia da parte di colleghi che apprezzino a fondo i loro risultati, sia da parte di familiari/amici/conoscenti, che ne hanno magari una conoscenza più vaga. Almeno nel mio caso poi, è stato fondamentale avere tante persone accanto nel mio percorso: è nei momenti in cui mi sento più sereno dal punto di vista personale che riesco ad avere più idee e a lavorare meglio. Sono a tutte loro davvero grato (anche per aver sopportato e sopportare certe mie “stranezze”).

 

In questo momento, i giovani trovano tardi (…) un lavoro stabile e, in generale, guadagnano una certa autonomia con difficoltà quando non sono più tanto ‘giovani’. Tu a 31 anni eri già professore associato. Come hai vissuto, come hai ‘gestito’, anche proprio nella tua vita, questa ‘precocità’, questa maturità arrivata così in fretta?

Devo dire che sono stato anche fortunato. Sono riuscito a vincere gli ultimi concorsi di una certa tornata prima che ci fosse un blocco di assunzioni per alcuni anni. In questo ho avuto il supporto di diversi colleghi (tanto per cominciare, il mio ex relatore) che hanno creduto in me, e che devo ringraziare. Come ci si può immaginare però aumentano anche le responsabilità: dalla supervisione degli studenti (il che mi dà spesso grandi soddisfazioni) agli incarichi amministrativi (riunioni, richieste e gestione di fondi, ecc..), i quali invece di soddisfazioni non me ne danno affatto.

 

I tuoi studi su cosa vertono? Quale argomento preferisci?

Mi occupo di equazioni a derivate parziali (soprattutto con struttura variazionale) con motivazioni dalla geometria differenziale o dalla fisica/chimica. In particolare, di problemi in geometria conforme e di fenomeni di concentrazione per equazioni singolarmente perturbate. La cosa che mi piace di questi problemi è che si trovano a cavallo tra due branche diverse della matematica, l’analisi e la geometria: è bello usare idee da un ambito che posso essere utili anche in un altro.

 

C’è un risultato matematico (fra quelli ottenuti da te) di cui sei più soddisfatto?

Tra i risultati di cui sono più soddisfatto sceglierei lo studio di fenomeni di concentrazione su insiemi di dimensione positiva, e un teorema di “uniformizzazione” per la Q-curvatura, una estensione della classica curvatura Gaussiana delle superfici alla dimensione quattro. I miei collaboratori ed io, per ottenere questi risultati, ci siamo dovuti scervellare parecchio: per fortuna in quei casi è andata bene, ma non sempre va così purtroppo. Ora, tra le altre cose, mi piacerebbe studiare un certo flusso geometrico (per il cosiddetto tensore di Bach) di natura non conforme. Non sono riuscito a dedicarci il tempo che avrei voluto per il momento, ma vorrò farlo, e sembra un problema decisamente ostico: non so se riuscirò a cavarci fuori qualcosa.

 

La medaglia Fields viene assegnata a matematici che non abbiano compiuto ancora 40 anni. Una sorta di leggenda metropolitana vuole che i matematici producano i risultati migliori proprio prima dei 40 anni (o comunque in giovane età). Tu cosa ne pensi?

Beh, ci sono eccezioni ma in generale direi che e’ vero. Una mente giovane ha maggiori capacità di concentrazione, è meglio disposta alle innovazioni e a vedere cose note sotto una prospettiva diversa. Inoltre più si è giovani meno si hanno impegni di altro tipo, come quelli amministrativi o familiari. E’ un vero peccato che in Italia la condizione dei giovani ricercatori sia così insoddisfacente, e che debbano lavorare nel loro periodo più produttivo con la preoccupazione della precarietà e/o di avere uno stipendio inadeguato.

 

Parliamo agli studenti universitari di matematica che magari sono scoraggiati Perché intravedono tempi lunghissimi prima di riuscire ad avere una cattedra. Esiste una ‘formula’ per riuscire a bruciare le tappe come te?

Una formula generale non ce l’ho, e come ho detto nel mio caso c’è stata anche una buona dose di fortuna. Però il fatto di aver risolto i problemi di cui ho parlato prima ha sicuramente aiutato. In quei casi abbiamo dovuto escogitare tecniche di tipo nuovo per risolvere problemi che erano aperti da un certo numero di anni. Non erano problemi aperti da pià di un secolo (al livello dell’ipotesi di Riemann), sia chiaro, ma un certo numero di esperti nel campo ci si era messo a pensare prima di noi. Il fatto di aver trovato nuovi metodi può aver reso il mio lavoro “riconoscibile”, e questo credo mi abbia aiutato a superare i concorsi.

 

Quale potrebbe essere, secondo te, una chiave vincente nell’ottica della diffusione della matematica?

Credo che usare la matematica applicata possa essere un buon metodo per attirare persone possibilmente interessate alla materia. Io sono un fisico di formazione, e credo che i problemi che sorgono dalle applicazioni concrete siano tra quelli più interessanti (a discapito di problemi che a volte possono esagerare nell’astrazione). L’interazione della matematica con le applicazioni può avere un duplice vantaggio: da un lato la risoluzione teorica di un problema concreto (che è lo scopo iniziale). Da un altro un intuito che viene dal mondo reale (come ad esempio un’intuizione basata su idee fisiche), può dare la chiave per risolvere problemi astratti. Nel mio caso, è successo così più volte. Per la diffusione della matematica, oltre a citare esempi in cui la sua applicazione ha avuto successo, sottolineerei che quello del matematico è un mestiere avvincente che porta a seguire le proprie passioni. E’ vero che si possono passare serate o fine settimana a pensare alle questioni di lavoro, ma si hanno tantissime occasioni per affrontare nuove sfide, trarre ispirazione da scambi di idee con i colleghi e anche per viaggiare e vedere posti nuovi.

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