Barbara Fantechi e Gianluca Pacienza dialogano e ricordano, facendoci intravedere alcuni aspetti meno conosciuti della vita di Claire Voisin, geometra algebrica francese, che da poco ha ricevuto alcuni importanti riconoscimenti.
Pubblicato originariamente l’11 novembre 2016.
Il Collège de France, probabilmente l’istituzione più prestigiosa per un docente universitario francese, ospita quattro matematici; da quest’anno accademico c’è una nuova nomina, la geometra algebrica Claire Voisin. Per celebrare il suo arrivo è stato organizzato un convegno che si è tenuto qualche settimana fa, con la partecipazione di matematici famosi da tutto il mondo: fra questi tre italiani, Enrico Arbarello, Kieran O’Grady (sì, è italiano anche lui!) e Giulia Saccà, unica donna fra i dodici invited speakers.
Più o meno allo stesso tempo, a Claire Voisin è stata conferita la più alta onoreficenza scientifica francese: la medaglia d’oro del Centre national de la recherche scientifique, il sesto matematico dall’istituzione di questo premio a riceverlo (dopo Borel, Hadamard, Cartan, Serre e Connes), e la prima donna fra di loro. Una breve ricerca su Wikipedia rivela che questi riconoscimenti sono solo gli ultimi di una lunga serie, iniziata con la medaglia di bronzo del C.N.R.S nel 1988, poi seguita dal premio EMS nel 1992. Cosa, e soprattutto chi c’è dietro questi successi?
Nata nel 1962, Voisin ha studiato all’École Normale, è diventata ricercatrice al Centre national de la recherche scientifique nel 1986, ha ottenuto l’abilitazione nel 1989 ed è diventata Directeur de Recherche nel 1995; ha avuto finora dieci studenti di dottorato. Ha scritto decine di lavori che spaziano in vari ambiti della geometria algebrica, dalla teoria di Noether-Lefschetz ai gruppi di Chow, usando metodi algebrici ed analitici: alcuni dei risultati più noti sono nell’ambito della teoria di Hodge, a cui ha anche dedicato una bella monografia. La lista completa dei premi ricevuti e degli inviti prestigiosi potete trovarla nel suo curriculum.
Fin qui la biografia ufficiale; noi però in questo articolo vogliamo presentarvi Voisin vista da vicino, dall’interno della comunità matematica a cui appartiene. Vi proponiamo perciò un’intervista a due voci: da un lato Barbara Fantechi, geometra algebrica e coetanea di Voisin; dall’altro Gianluca Pacienza, anch’egli geometra algebrico, che con Voisin ha fatto la tesi di dottorato.
Barbara Come inizio, mi racconti come hai conosciuto Claire?
Gianluca L’ho conosciuta nel 1998 a Jussieu. Facevo un Erasmus a Parigi durante il mio ultimo anno di laurea romana e Angelo Lopez (il mio relatore di laurea) mi disse che, se potevo, sarebbe stata un’ottima idea avere Claire come direttrice di mémoire di D.E.A. (il vecchio master francese). Così andai a bussare alla sua porta, mi presentai, le dissi quello che ti ho appena detto e lei partì immediatamente alla lavagna a spiegarmi cose di matematica! Ovviamente per me allora, come sempre e come ancora oggi, andava alla velocità della luce e non capii assolutamente niente. Alla fine mi chiese il mio indirizzo di casa e dopo due giorni mi ritrovai un suo off-print nella mia buca delle lettere [NdR: L’articolo è su Acta Mathematica, una delle riviste più prestigiose a livello mondiale]. Pochi mesi dopo ottenni la borsa di dottorato a Parigi 6 e cominciai il dottorato con lei, ma in tutt’altra direzione!
E tu quando e in che circostanza hai incontrato Claire?
B Era il 1989, vicino a Trieste, per un convegno in cui io ero partecipante e lei relatrice. Credo parlasse proprio del lavoro che ha dato a te, in un francese velocissimo, e riempiendo tutti i buchi possibili della lavagna. Di quel convegno ho capito poco, e ricordo pochissimo; ma uno dei talk che non ho dimenticato è il suo. La combinazione “risultato evidentemente eccezionale” e “ma cosa ho fatto a fare dieci anni di francese se non capisco una parola” ha aiutato molto. Poi l’ho risentita ad una scuola di teoria di Hodge, in cui parlava inglese (diciamo così, Claire parla un ottimo inglese, ma la pronuncia suona molto francese), e da allora sono rimasta affascinata dalla sua chiarezza. Avevo sentito tanti seminari, ma lei dava l’impressione di aver capito tutto in modo talmente profondo che sembrava facile e naturale.
Ed essere suo dottorando com’è?
G Per me è stato assai duro, per via del fatto che era ed è infinitamente più brava di me. Oggi tuttavia ho l’impressione di riuscire ad interagire con lei con molta più efficacia; credo che allora la sua bravura mi terrorizzasse. Devo dire che Claire, con una fermezza che all’epoca non capii, ma che si rivelò invece per me decisiva, subito dopo il dottorato mi disse che avremmo dovuto interrompere le nostre interazioni matematiche e che avrei dovuto cercare il mio cammino da solo. Mi fu anche estremamente utile il fatto che mi avesse fatto lavorare su due problemi assai diversi nel corso del dottorato.
Quali sono i risultati di Claire che ti colpiscono di più?
B Quelli che avrei voluto/dovuto dimostrare io! A suo tempo volevo dimostrare che superfici diffeomorfe hanno schemi di Hilbert di punti diffeomorfi. Claire risolse il problema estendendo la definizione a superfici con struttura quasi complessa; non solo lo risolse, ma anche in modo molto elegante. E poi il risultato sugli anelli di Chow di certe superfici di tipo generale; studiare la congettura di Bloch usando teoria delle deformazioni era il mio problema di tesi. Non ci sono mai riuscita, ma, ad un convegno a Trento, Miles Reid cancellò il suo talk dicendo “non importa cosa ho fatto io, dovete tutti sentire l’ultimo lavoro di Claire!” Nel mio caso sapere che c’era chi sapeva fare quello che a me non riusciva ha dato un senso di soddisfazione.
G E cosa caratterizza secondo te il suo modo di fare matematica?
B Secondo me una grande chiarezza. Lei capisce le cose molto bene, e quindi le usa nel modo migliore.
Avresti dovuto vedere le facce degli esperti a Trento: la congettura di Bloch è aperta da trent’anni, tutti ci avevano lavorato, e il metodo di Claire, una volta spiegato bene e dimostrati tutti i risultati necessari, era in un certo senso “ovvio”. Non ha dimostrato la congettura in generale, ma ha grandemente esteso i risultati precedenti.
E poi come avete ripreso i contatti?
G Nel 2007, 6 anni dopo la fine del mio dottorato, avevo terminato con altri colleghi (F. Flamini, A.L. Knutsen e E. Sernesi) un lavoro estremamente vicino a quel primo articolo che Claire mi spedì a casa e ritenevo che potesse interessarle. Mi feci coraggio e durante la pausa pranzo di un convegno (peraltro dedicato ai 60 anni di Arnaud Beauville, il direttore di dottorato di Claire) gliene diedi una copia. Un’ora dopo (come tutti sanno Claire a volte si dimentica di mangiare…) ricevetti una sua lunga email, molto incoraggiante, piena di osservazioni e domande sul preprint che le avevo dato. Da allora mi sentii progressivamente più a mio agio, capendo che anche dal mio livello (e per davvero non voglio sembrare falsamente modesto) potevo apportarle qualcosa.
Ritornando alle caratteristiche del suo modo di fare matematica, oltre alla “naturalezza”, che tu hai menzionato, è la “verticalità” ovvero la sua incredibile capacità a scendere in profondità, dritto per dritto, come in apnea, fino ad arrivare al centro del problema e, spesso, alla sua soluzione.
B Ti sembra che questo sia cambiato negli anni, o è sempre la stessa?
G Sono in difficoltà a rispondere, visto che forse i suoi risultati più spettacolari di questi ultimi anni (il controesempio al problema di Kodaira e lo studio della razionalità stabile) contengono forse una miscela di entrambe le cose. Da un lato c’è l’uso costante di nozioni (le strutture di Hodge) e tecniche (la decomposizione della diagonale) che da sempre compaiono nei suoi lavori.
D’altro canto in entrambi i casi riesce a scendere ancora più in profondità, dove i polmoni di noi umani sarebbero già implosi.
B È bello che tu da studente, e io da “collega” (nel senso che siamo quasi coetanee) abbiamo entrambi la stessa impressione: che lei sia in un certo senso come noi, ma molto più forte.
L’immagine del tuffatore mi sembra bellissima e molto, molto adatta.
G Volevo citare altre cose un po’ in ordine sparso, e ti inviterei a fare altrettanto.
B La mia immagine favorita di Claire risale a un convegno a Oberwolfach di uno o due decenni fa: lei seduta nella sala convegni che discute col conferenziere di turno, e le sue tre figlie maggiori (all’epoca di 8, 6 e 4 anni circa) come tre versioni più piccole di lei, stile matrioska, che giocavano fuori, sull’erba, ma sempre bene in vista attraverso le grandi finestre a tutta parete.
Ma come fa a gestire anche tutti i figli?
G Immagine simile, giorno di sciopero generale in Francia, lei in ufficio a lavorare e i 5 figli in un’auletta adiacente, in assoluto silenzio che si girano “in coro” al mio passaggio!
B Già, sciopero generale = asili e scuole chiusi!
G Certo! ma la matematica di Claire non chiude mai!
Altra immagine: la settimana scorsa, a Lione, piccolo workshop organizzato da 3 giovani ricercatori, una dozzina di partecipanti, e Claire lì a fare un mini-corso! Pochi giorni dopo la medaglia d’oro, tra un corso al Collège de France e l’altro: la sua disponibilità a contribuire alla qualità del suo ambiente matematico è stupefacente.
B È vero. La sua generosità è un’altra caratteristica costante nel tempo. Una sua dottoranda mi raccontò di essere dovuta andare a casa di Claire, a letto per le complicazioni di una gravidanza. Si appoggiò il bloc-notes sul pancione e le spiegò come portare avanti la tesi: neanche questo la fermava dal seguire gli studenti.
G Durante i 3 anni del dottorato io la vidi tutti i santi lunedì.
B E io che credevo di essere una relatrice molto presente.
G Detto fra noi, non era proprio il modo migliore di cominciare la settimana di lavoro…
B Comunque alla fine fai il matematico anche tu, e lavorate insieme, quindi direi che è andato tutto bene.
G Hai proprio ragione tu! Grazie per questa chiacchierata Barbara!
B Grazie a te!
Barbara Fantechi, SISSA, Trieste
Gianluca Pacienza, Institut Elie Cartan de Lorraine, Université de Lorraine