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Cesenatico, dove ogni anno si svolgono le Olimpiadi della Matematica, è anche il paese di Marco Pantani. E uno come me, da sempre negato per i giochi matematici, non può non pensare che la matematica ‘vera’ sia un po’ come andare in montagna per sentieri inesplorati…

Sono sempre stato negato per i giochi matematici, come anche per gli scacchi o altre situazioni in cui si debba pensare intensamente, ma in modo facoltativo. La vocazione per la matematica, questa attività perversa che ti porta tuo malgrado a confrontarti con problemi più grandi di te, e dalla difficoltà spesso imprevedibile, e che alla fine capisci solo in minima parte, è nata per me molto dopo, con la fisica, la filosofia e altri sogni del genere. E non sono mai stato portato in modo particolare. Forse è per questo che mentre il treno mi porta verso Cesenatico, dove come tutti gli anni si svolgeranno le finali nazionali delle Olimpiadi di Matematica, organizzate dall’Unione Matematica Italiana, dove mi è stato chiesto di tenere una conferenza“culturale-didattico-divulgativa” per i ragazzi partecipanti e i loro insegnanti, provo un crescente disagio. Non è che mi faranno qualche domanda a cui non so rispondere? Ma sono proprio io la persona giusta per parlare a questi giovani geni della matematica?

Mi rilasso un po’ arrivando sul posto. Gli organizzatori li conosco quasi tutti, alcuni era giovani dottorandi qualche anno fa, altri sono colleghi che conosco da tempo, alcuni da oltre vent’anni. Gianni Gilardi è il mio mentore, è lui che organizza le conferenze “culturali etc…” per conto dell’UMI, e mi introduce con grande sicurezza, tra l’altro, ai misteri della fila del tavolo degli antipasti. Strettamente parlando non so bene cosa si aspettino esattamente da me. I ragazzi mi sembrano già stramotivati verso la matematica, capaci di risolvere problemi che potrebbero rivelarsi delle vere trappole se solo provassi ad affrontarli, cosa che mi guardo bene dal fare. E quindi, cosa gli posso raccontare che già non sappiano?

A questo punto devo forse aggiungere di essere sempre stato prevenuto verso i giochi matematici. La mia posizione, alimentata sicuramente dalla mia incapacità a risolverli, è stata finora, in grande sintesi: “Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore1”. Però questi ragazzi hanno dalla loro alcuni grandi matematici come Grigori Perelman o Terence Tao (le due ultime Fields medals. Tao è forse il più geniale matematico vivente, e ha vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi internazionali a soli 13 anni!) e che argomenti avrei contro queste evidenze?

Certo, quelli di loro che diventeranno dei veri matematici, e ce ne saranno, scopriranno presto la differenza tra un problema matematico per le olimpiadi e un vero problema. Un vero problema è infido e bastardo. Non sai mai come si risolve e nemmeno se è facile o difficile. A un certo punto diventa brutto e ingombrante e non vorresti più averci a che fare. È la differenza che c’è tra fare degli slalom tra i birilli sul campo della scuola calcio e provare a scartare un vero giocatore. Che non si muove come pensi tu, che non sai cosa farà, e contro il quale spesso finirai per schiantarti. Forse dovrei dire, nella mia conferenza, che la matematica vera è difficile, che tutti partiamo con grandi speranze e i pochi che riescono raccolgono forse un decimo di quello che avevano sperato, e a volte nemmeno la parte più interessante. Che una buona parte del tempo si passa a non saper risolvere i problemi e a sentirsi scemi. Anzi, quasi sempre ci si sente scemi, la prima volta fa male, ma poi ci si abitua…

A Cesenatico è nato il poeta Marino Moretti, che fu amico di Gozzano e Corazzini, ma che poi visse così a lungo da non ricordare più il suo passato crepuscolare. “Piove. È mercoledì. Sono a Cesena”, è proprio un bell’endecasillabo. Qui invece c’è il sole, è sabato e sono a Cesenatico, e la mia conferenza è appena finita. I ragazzi e i professori sembrano essersi divertiti, forse sono meno nerd di come me li immaginavo, e qualche cosa del mestiere del matematico applicato mi sembra di averlo trasmesso. Ho invece rinunciato ad istillare dubbi, quelli tanto verranno da sé. Subito prima di parlare ho assistito alla premiazione della gara a squadre e il tifo (e il senso di collettività) era a livello calcistico.

Cesenatico è anche il paese di Marco Pantani, che qui è sepolto a poca distanza dal poeta Moretti. Mentre sto per riprendere il treno, mi accorgo che c’è un piccolo museo Pantani vicino alla stazione. Accanto alle belle foto delle sue gare, vedo le pubblicità di gite di gruppo sulle strade del “Pirata”.

Mi sono sempre chiesto perché Cesenatico sia la sede delle finali nazionali delle Olimpiadi di matematica. La prima risposta, quella vera, è nell’organizzazione veramente eccellente, che raramente si trova in altri parti d’Italia: non è banale gestire, con tranquillità, più di mille persone tra studenti e gente al seguito, per quattro giorni e a costi ragionevoli. Però, a questa realtà mi piace aggiungerci un pizzico del fattore Pantani. La matematica è stata paragonata all’andare in montagna per sentieri inesplorati. Si vedono le cime in lontananza, e poi si va tutti insieme per le stradine di mezza costa, con qualcuno che ogni tanto cerca di staccare tutti. Come nel ciclismo, ci sono matematici di tutti i tipi: i leader, i gregari, quelli che fanno tanto rumore per nulla, i cannibali, quelli che gli piace andare in gruppo, quelli che sanno tutto della bicicletta e non sanno pedalare, quelli che pedalano male, sono sgraziati e vincono, quelli dallo scatto prodigioso che non finiscono le corse a tappe. E la matematica non è solo un gioco, ma anche sofferenza e solitudine e rischio del fallimento.

E mi accorgo di aver cambiato idea: queste olimpiadi servono e come, come serve la scuola calcio con i suoi birilli. E auguro un gran futuro da matematico al campione di questa edizione, Luca Ghidelli del liceo scientifico Amaldi di Alzano, e a tutte le altre medaglie d’oro. Ma penso anche che non si debba deprimere chi non ha vinto nulla o anche chi non ha nemmeno partecipato. Non siamo tutti uguali, nella vita succedono tante cose, ed è nelle salite che vengono fuori i grandi campioni.

« Marco, perché vai così forte in salita?» «Per abbreviare la mia agonia. » (Marco Pantani a Gianni Mura)2

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di Roberto Natalini

1 E che ovviamente “un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.

2 L’autopsia sul corpo di Pantani, dopo la morte per overdose di cocaina, ha escluso che avesse fatto uso in quantità significative di sostanze dopanti quali, ad esempio, l’Epo, durante la sua carriera.

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