Dell’incontro fra Roberto Natalini e Leonardo Colombati su l’infinito matematico e David Foster Wallace, posso dire solo che a un certo punto, mentre moderavo il matematico pertinente e il letterato frattale, mi sono resa conto qual è il grande dilemma che la matematica pone davanti agli occhi di chi la inquadra.
Perché misurare certe volte è raccontare. Devo prenderla un po’ alla larga.
Da bambina ero bravissima a risolvere problemi di geometria solida. Mi è tornato in mente la scorsa estate quando mi sono ritrovata in mano il mio sussidiario di quinta elementare. C’erano ics o pallini traballanti e grossolani sui problemi di geometria solida e, accanto ai problemi, annotazioni a matita, altrettanto traballanti e grossolane, che dovevano essere la soluzione, o il procedimento per giungervi. Ho domandato alle mie sorelle, che sono più piccole di qualche anno, se ricordavano di aver svolto problemi di geometria solida alle scuole elementari. Non se lo ricordavano né siamo riuscite a riesumare i loro sussidiari. Così ho chiesto a due miei cuginetti che frequentano la quarta e la quinta elementare, e nessuno dei due associava le parole geometria solida alle tazze cilindriche nelle quali bevono, alle sveglie cubiche e ai coni gelato che tengono in mano. E sono bambini arguti e curiosi. Conoscono i nomi Cono Cilindro Cubo Parallelepipedo ma non sanno cos’è un volume o una superficie laterale o cosa vuol dire fare una sezione. Eppure certe volte dividono un cornetto in due metà perfette. Geometriche.
Ho sempre pensato di aver studiato matematica perché dovevo imparare la grammatica, capire quale fosse l’essenziale in una pagina o in un discorso, ho ripetuto spesso di averla studiata per esercizio di realtà, per ricavarne ontologia, perché le soluzioni ai problemi di matematica non potevo inventarle, erano le stesse per tutti. E non mi sono mai soffermata sul pensiero che forse l’ho studiata perché, dalla geometria solida in poi, mi ha descritto e misurato il mondo intorno molto prima delle parole. Perché certe volte quando la scienza cerca le soluzioni i problemi non hanno ancora neppure un nome. Descrivere e misurare le distanze tra il sé e le cose, tra il sé e gli altri, e tra il sé e il cono gelato, e cercare di colmarle, è raccontare le cose, gli altri, l’io e il cono gelato.
E raccontare significa possedere, e possedere significa modificare. E quindi inventare. Non sto dicendo che per scrivere un racconto di epica calcistica sia necessario sapere che il pallone è una sfera. Sto dicendo che sapere che il pallone è una sfera significa lasciare che la letteratura racconti qualcosa di scienza, di matematica. Che torni a farcela passare tra le mani, avvenente, capace di trasformare un goal in un concetto balistico aggiungendo magia alla vittoria.
Gli incontri di scienza e letteratura di quest’anno hanno qualcosa di nuovo. Forse sono più protervi e addirittura orgogliosi. E sono zeppi di matematica. Perché la scienza, e la matematica in particolare, raccontano il mondo dove camminiamo e ci fanno arrivare fino a Itaca e ritorno in paesaggi che sono prima pattern, poi modelli, poi linguaggio. D’altro canto, come scriveva, su Le Monde del 28 dicembre 1948, il padre domenicano Dubarle in una recensione de “L’uso umano degli essere umani” di Wiener, in ogni caso le realtà umane sono tali da non consentire una determinazione esatta e rigorosa come quella dei risultati numerici del calcolo. Esse ammettono soltanto le determinazioni dei loro valori probabili. Dove la matematica si arresta, smette di misurare, arriva la letteratura con i suoi valori probabili. O improbabili. O azzardati. E i quattro incontri stanno proprio qua. Sulla linea di cambio di questa staffetta. Io, in testa ne ho due. Di quello di Roberto Natalini e Leonardo Colombati su l’infinito matematico e David Foster Wallace, posso dire solo che a un certo punto, mentre moderavo il matematico pertinente e il letterato frattale, mi sono resa conto qual è il grande dilemma che la matematica pone davanti agli occhi di chi la inquadra. Roberto Natalini aveva appena finito di spiegare perché la struttura di Infinite Jest di David Foster Wallace assomigliasse a un triangolo di Serpinski e come lo avesse notato, appena dopo l’uscita del libro, un brillante commentatore radiofonico. Così mentre guardavo le facce attonite dei presenti che si chiedevano se fosse vero un libro a forma di formula matematica e figura geometrica, ho capito che ci sono scrittori che dicono di essere una donna che vive con un marito e lo tradisce e si fa stordire dagli intrugli di Homais, che ce ne sono altri che raccontano di essere scesi all’inferno e di essere quasi riusciti a riportare alla vita la donna che amavano, altri che giurano di aver visto cose che noi umani non possiamo neppure immaginare, tipo i raggi B baluginare oltre le porte di Tannhäuser, altri ancora che ricostruiscono tutta la nostalgia dei coloni dell’impero britannico da uno spezzatino di cervo in un centro commerciale di Gallarate, e nessuno si chiede se è vero. Invece alla matematica, si domanda la verità sulla vita, sulla realtà, su uomini e topi. Si chiede esattezza. Del mio incontro con Mirko degli Esposti, su che cos’è lo stile di un autore, se è possibile definirlo o riconoscerlo (e se sì come e in che modo) dirò solo che mi ha emozionato e che ho lasciato che parlasse con i suoi modi asciutti e corretti del plagio nella scrittura, e dei metodi sviluppati per riconoscere gli scritti gramsciani e degli esperimenti sui testi di Senofonte e Tucidide riscontrando indicazioni che concordavano con una congettura di Luciano Canfora (NdA: Il Mistero di Tucidide, Adelphi, 1999), secondo la quale il primo libro e parte del secondo delle Elleniche di Senofonte sarebbe invero la parte finale de Le guerre del Peloponneso di Tucidide… e tutto s’è tinto di giallo per un plausibile omicidio di Tucidide, … per mano di Senofonte. Oltre ai metodi matematici per riconoscere lo stile di un autore, degli Esposti e il suo gruppo studiano pure il concetto e la definizione di falso e plagio dei testi, concetti che in internet assumono una loro pericolosa specificità. Tra plagiarism detection, entropia del linguaggio e lo stile che, come la matematica, non è un’opinione, l’enorme numero di persone che hanno seguito gli eventi di letteratura e matematica hanno provato, con il loro tempo e le loro domande, che raccontare la matematica è un po’raccontare la realtà, e certe volte capirla meglio.
di Chiara Valerio