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Un articolo di Rosetta Zan, del Dipartimento di matematica dell’Università di Pisa e presidente della CIIM-UMI, sulla diagnosi dell’ “atteggiamento negativo” nei confronti della matematica, che può costituire un punto di partenza per un intervento mirato, invece che la rinuncia a intervenire.

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Scena 1:

Azzurra, terza media, deve trovare il perimetro di un rettangolo che ha i lati di 12 cm e 8 cm. Moltiplica 12 per 8. L’insegnante le dice: “Ma perché moltiplichi? Devi trovare il perimetro…” E Azzurra: “…Divido?”

Scena 2:

Nicola, terza liceo scientifico, deve risolvere la disequazione:

\(-7x^2<\sqrt{7}\)

Prima scrive:

\(x^2>-\frac{\sqrt{7}}{7}\)

Quindi:

\(7x^2+\sqrt{7}>0\)

A questo punto si ferma, e rifiuta di continuare nonostante l’incoraggiamento dell’insegnante.

Questi episodi descrivono due tipi di comportamenti molto frequenti nelle nostre classi: Azzurra sembra rispondere a caso, Nicola addirittura non risponde. Di fronte a tali comportamenti l’insegnante (il ‘bravo’ insegnante) agisce come sempre: corregge, rispiega, fa vedere come si risponde correttamente. Ma lo fa con un certo disagio, avendo la netta percezione che il suo intervento sarà assolutamente inutile. La verità è che il problema, diciamocelo francamente, sta nello studente! È lo studente che ha un atteggiamento negativo verso la matematica, e di fronte a questo non c’è intervento che tenga! La diagnosi di ‘atteggiamento negativo’ in altre parole rappresenta in genere per l’insegnante la presa d’atto del fallimento della sua azione didattica, una dichiarazione d’impotenza, piuttosto che una diagnosi in grado di suggerire una direzione da seguire per mettere in atto un intervento adeguato ai bisogni dell’allievo.

Ma è necessariamente così? Oppure la diagnosi di ‘atteggiamento negativo’ può costituire un punto di partenza per un intervento mirato, piuttosto che la rinuncia a intervenire?

In realtà di Azzurra e Nicola sappiamo qualcosa di più delle poche informazioni che si possono trarre dalla scarna descrizione data all’inizio. Azzurra è una dei 1600 studenti di cui abbiamo raccolto il tema autobiografico ‘Io e la matematica: il mio rapporto con la matematica, dalle elementari ad oggi’ (Di Martino & Zan, 2010). Racconta così la propria esperienza:

Alle elementari non ero una grossa cima in matematica, quindi in 3a elementare vidi che non ero brava e chiusi così la mia testa, dicendo che questa non faceva per me.”

Anche nel caso di Nicola abbiamo altre informazioni: l’episodio che abbiamo descritto avveniva all’interno di un’interazione individuale condotta da una studentessa di un corso di Didattica della Matematica. Ecco uno stralcio di tale interazione, che segue alla rinuncia di procedere da parte di Nicola:

I.: Perché invece di ricordarti cosa devi fare, non provi a risolverla da solo?

N.: La matematica è fatta di regole ben precise che vanno seguite, non ci si può inventare nulla. I problemi si risolvono seguendo quelle regole e io, ora, non mi ricordo come si risolvono le disequazioni.

Queste informazioni supplementari ci permettono di comprendere meglio i comportamenti apparentemente irrazionali di Nicola e di Azzurra. Dalle parole di Azzurra emerge la convinzione di non potercela fare, cioè uno scarso senso di auto-efficacia. Tale convinzione giustifica, nel senso che la rende una scelta ‘razionale’, la rinuncia a priori a pensare, e quindi il rispondere a caso. Nicola invece esplicita chiaramente le convinzioni che sono alla base del suo comportamento: “Per risolvere disequazioni bisogna applicare delle formule”, e “Io non conosco tali formule”. E’ proprio l’interazione fra queste due convinzioni che da un lato giustifica la rinuncia a provare, dall’altro spiega i primi tentativi di risoluzione, condotti apparentemente a caso. Possiamo dire che Nicola ha una visione della matematica come disciplina fatta da regole fisse da memorizzare e applicare: quella che il ricercatore Skemp (1976) definisce una visione strumentale della disciplina, contrapposta ad una visione relazionale, secondo la quale la matematica è caratterizzata da relazioni, e l’applicazione di formule prevede la comprensione del perché tali regole funzionano. Anche il comportamento rinunciatario di Nicola ci appare razionale alla luce di questa sua visione, dato che da un lato ritiene di dover ricordare tante regole (una per ogni caso che gli si presenta), dall’altro non si ricorda quella ‘giusta’ per il caso in questione.

Come abbiamo visto, le informazioni supplementari che ci permettono di comprendere meglio Azzurra e Nicola sono state ottenute grazie a ulteriori osservazioni, condotte con strumenti inusuali nella pratica scolastica: il tema autobiografico e l’intervista. E proprio dai 1600 temi autobiografici che abbiamo raccolto (Di Martino & Zan, 2010) emerge che l’atteggiamento verso la matematica che uno studente costruisce nel suo percorso scolastico viene descritto utilizzando 3 dimensioni:

  • la dimensione emozionale (che nei casi negativi va dal semplice ‘non mi piace’ a ‘la odio’)

  • il senso di auto efficacia

  • la visione della disciplina

Questa multidimensionalità dell’atteggiamento fa apparire riduttiva la dicotomia positivo/negativo, e suggerisce piuttosto di considerare ‘profili’ diversi di atteggiamento negativo, a seconda delle dimensioni maggiormente implicate. Ad esempio possiamo dire che il profilo di Azzurra è caratterizzato da un basso senso di autoefficacia, mentre quello di Nicola da una visione distorta della matematica. Alla luce di queste ulteriori osservazioni la diagnosi di atteggiamento negativo comincia ad assumere una connotazione più costruttiva: non più una generica diagnosi che chiude ogni possibilità di recupero, ma un’interpretazione che ci indica una direzione da seguire.

Nel caso di Azzurra, l’obiettivo di un intervento di recupero coerente con la diagnosi data sarà quello di sradicare il basso senso di auto-efficacia dell’allieva (che viene da ripetute esperienze percepite come fallimentari), convincerla che è in grado di fare matematica. Nel caso di Nicola, bisognerà cercare di sradicare la visione distorta della matematica che ha costruito nel suo percorso scolastico.

Naturalmente a questo punto si apre il problema non banale di individuare strategie didattiche adeguate a questi obiettivi: ma questa, come si dice, è un’altra ‘storia’.

Rosetta Zan, Dipartimento di Matematica, Pisa

Riferimenti

  1. Di Martino, P., Zan, R. (2010). ‘Me and maths’: towards a definition of attitude grounded on students’ narratives. Journal of Mathematics Teacher Education, 13 (1), 27-48.

  2. Skemp, R. (1976). Relational understanding and instrumental understanding. Mathematics Teaching, 77, 20–26.

Se vuoi leggerlo in pdf:

https://maddmaths.simai.eu/wp-content/uploads/2013/11/Zan.pdf

 

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