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Anno milleseicentonovantasei: “Io, Johann Bernoulli, mi rivolgo ai più grandi matematici del mondo. Non c’è niente di più stimolante di un problema difficile, la cui soluzione regali gloria e fama duratura. Per questo motivo, propongo ai matematici più brillanti del nostro tempo un problema che metterà a dura prova i loro metodi e la forza del loro intelletto…”

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“Dichiarerò pubblicamente degno di lode chi mi comunicherà la soluzione a questo problema: fissata un punto di partenza A ed uno di arrivo B, qual è la curva da A a B che rende minimo il tempo di percorrenza di una massa, costretta a muoversi lungo tale curva, sottoposta alla sola forza di gravità?”

All’apparenza un rompicapo puramente intellettuale, da rivista di enigmistica di alto livello, ma trovare la forma della brachistocrona (“tempo minimo”, in greco) è qualcosa di più. Non perché la sua risoluzione sia inarrivabile (vari cervelli dell’epoca tra cui Newton, Leibniz, Jakob Bernoulli, il fratello-rivale di Johann, risposero all’appello nell’arco di poco tempo), ma perché si tratta di un prototipo talmente istruttivo da essere considerato l’antenato di una progenie sterminata: i problemi di minimo in dimensione infinita. Un vero e proprio cult.

Immaginate di poter creare il profilo di una montagna, plasmandone la pendenza, in ogni punto, a vostro gradimento come se fosse argilla. Immaginate poi che vi si chieda di realizzare il pendio in modo che un corpo sottoposto alla sola forza di gravità, come un bambino che si lasci scivolare sul suo slittino, impieghi il tempo minimo per arrivare dalla sommità del profilo alla sua base. Quale linea realizzare? La forma del vialetto di casa non va bene (come già notato da Galileo). La brachistocrona non ha un profilo con pendenza costante, ma variabile: conviene che la discesa sia inizialmente più ripida, in modo che lo slittino acquisisca maggiore velocità. Se si vuole determinare con precisione “quanto” più o meno ripido debba essere il pendio, il problema diviene impegnativo, tanto impegnativo che Isaac Newton passò una notte insonne per risolvere la questione.

La risposta è che la brachistocrona ha la forma di una cicloide: il disegno composto dalla valvola di una ruota di bicicletta in movimento (ma questo non indica che la bicicletta sia più rapida dello slittino!) A sapere che la brachistocrona sia un arco di cicloide direttamente non ci si fa molto. Anche il premio di una dichiarazione pubblica di lode, non è particolarmente irresistibile. Quello che è veramente rilevante è la scintilla generata dal metodo di risoluzione del problema (ed in particolare quella proposta da Jakob Bernoulli) che ha innescato la nascita e lo sviluppo del calcolo delle variazioni, grazie alle elucubrazioni di menti del livello di Eulero e Lagrange. L’idea di fondo, a parole, non è inaccessibile, è la tecnica matematica e la sua implementazione che richiedono pazienza, esperienza, competenza.

Ad ogni cammino dal punto di partenza a quello di arrivo, corrisponde un tempo di percorrenza; in concreto, una sorta di scatola nera che all’input di una forma di pendio restituisce un output di una durata di discesa. Quindi, si valutano le variazioni dell’output in risposta a piccole modifiche dell’input, come l’inserimento di un piccolo dosso o di una impercettibile cunetta. La configurazione che realizza il minimo richiesto è tale che una qualsiasi variazione effettuata determina un aumento del tempo corrispondente. E tutto ciò, scritto con crismi e sofismi della matematica, determina una relazione soddisfatta dal profilo cercato, la cosiddetta equazione di Eulero–Lagrange.

La relazione non si presenta mai come la si vorrebbe, cioè come una risposta ben confezionata; piuttosto, occorre decrittarla, un po’ come si risolve un anagramma, per arrivare alla fine, a determinare la forma della curva di tempo minimo. E anche qui, di nuovo, serve la competenza dello specialista per portare a termine il lavoro e veder apparire, in maniera vagamente misteriosa, il roteare di una camera d’aria di bicicletta.

Archiviata la faccenda della brachistocrona, non resta che usare la stessa strategia per affrontare e risolvere miriadi di altri problemi in cui si cerchi una configurazione che minimizza una quantità opportuna, come in geometria quando si desidera minimizzare le distanze, o nell’ottica geometrica che, a detta di Fermat, è caratterizzata dal fatto che i raggi luminosi scelgono percorsi di tempo minimo, o in aerodinamica, in cui si cercano forme che riducano il più possibile la resistenza dell’aria dei mezzi in movimento (automobili, aerei…). E compagnia bella…

Ecco, in gran sintesi, il problema della brachistocrona è un esempio ante-litteram degli ingredienti indispensabili per il settore Ricerca & Sviluppo: un buon problema, alcuni cervelli funzionanti, risorse e, più che altro, del tempo a disposizione. Perché ogni buona idea, per svilupparsi, ha bisogno di tempo, casomai minimo, ma tempo.

 

Corrado Mascia

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