Siamo alle prese con le misure in arrivo per la seconda ondata di Covid-19. Largamente prevedibile già prima delle spericolate serate estive, ci troviamo ora sballottati tra restrizioni e contestazioni, mentre in Europa si diffondono rapidamente i lockdown prenatalizi. Tra le proteste di commercianti e ristoratori si insinua un’idea subdola e pericolosa: raggiungiamo l’immunità di gregge. Arriva da lontano, nel tempo e nello spazio, la speranza di risolvere tutto “contagiandosi”, almeno per i sani.
Ma siamo sicuri che convenga?
L’immunità di gregge si basa su un’idea in realtà ben fondata. Il contagio in media si propaga, a parità di fattori ambientali, in modo proporzionale alle persone suscettibili di essere contagiate. All’inizio ci sono pochissime persone già contagiate, e quindi ogni potenziale incontro offre una possibilità di trasmissione dell’infezione. In assenza di un vaccino o di misure di distanziamento o protezione, l’infezione si propaga nelle prima fase con una crescita puramente esponenziale. Dopo un po’ però le persone contagiate diventano numerose e quindi, a parità di comportamenti, la possibilità di contagiare qualcuno diminuisce. Se in un luogo chiuso di aggregazione, un classe scolastica, un ristorante o un negozio, ci sono per esempio dieci persone sane e ne arriva un’undicesima contagiosa, è molto probabile che molte delle persone sane si infettino. Ma se quattro o cinque persone delle persone presenti sono già state contagiate in precedenza e sono guarite rimanendo magari temporaneamente immuni, il numero dei nuovi contagiati diminuirà inevitabilmente. È quello che succede con le malattie per cui esiste un vaccino, come per il morbillo, in cui basta vaccinare una certa quota della popolazione per abbassare drasticamente la probabilità di contagio dei non vaccinati.
Per calcolare, almeno in modo approssimativo, la percentuale delle persone che devono contagiarsi perché entri in azione il meccaniscomo dell’immunità di gregge, si può fare ricorso a modelli matematici epidemiologici. Il più semplice di questi, un po’ il capostipite nel suo genere, è il cosiddetto modello SIR sviluppato quasi cento anni fa da Kermack e McKendrick. Si tratta di un sistema di equazioni differenziali ordinarie, non lineari, del primo ordine, che descrive in modo semplificato, ma efficace almeno in prima battuta, la dinamiche dell’epidemia, e che hanno come incognite il numero di persone Suscettibili, Infette e Rimosse (dalle cui iniziali deriva il nome). Dopo una prima fase di crescita esponenziale, in assenza di dovute misure, il numero dei contagiati cresce più lentamente fino al raggiungimento di un plateau, che si innesca in base a vari parametri come il tasso di infezione e il tasso di rimozione (o guarigione).
Associati a questi parametri vi è il numero di riproduzione di base \(R_0\), ossia il numero medio di infezioni provocate in media da un singolo individuo infetto. Nel caso del modello SIR, questo numero è dato dal rapporto tra il tasso di infezione e quello di guarigione, moltiplicato per il numero totale di individui suscettibili all’inizio. Si può dimostrare allora che, almeno nelle fasi iniziali dell’epidemia, il numero delle persone infette cresce in modo proporzionale a \(e^{c(R_0 \frac{S(t)}{N}-1)t}\). Per poter diminuire il contagio il fattore \(R_0\frac{S(t)}{N}\) deve diventare minore di 1. Se chiamiamo p la frazione della popolazione che è immunizzata (per un vaccino o per essere già stata contagiata), allora \(p=1-\frac{S(t)}{N}\) , da cui si deduce che per avere una diminuzione del contagio deve essere \(p> 1-\frac{1}{R_0}\). Tanto più intensamente si diffonde il virus, tanto più è ampia la frazione di popolazione da immunizzare.
Nel caso del Covid19, \(R_0\) è stimato in prima approssimazione, senza distanziamenti o misure di prevenzione, con un numero molto vicino a 2,5. Nell’ipotesi dell’immunità di gregge, va quindi immunizzata una frazione della popolazione vicina al 60%, ossia qualcosa come 36 milioni di italiani. Con una stima dei casi gravi per le fasce più giovani dell’0,1% circa, servirebbero circa 36 mila terapie intensive, eventualemente scaglionate nel tempo, e ci sarebbero almeno altri 35.000 morti (sempre ipotizzando di isolare le persone più fragili). Per non parlare del totale collasso dei posti letto per i casi di “solo” ricovero, che sono di solito 10 volte superiori alle terapie intensive.
Ma c’è di peggio: l’immunità rispetto ai Coronavirus è limitata nel tempo, per un periodo di solito inferiore all’anno. Completamente diverso sarebbe invece il caso di un vaccino, che immunizzerebbe le persone in sicurezza, e che finora è stata la sola forma di immunizzazione efficace per malattie gravi.
Insomma, un po’ di analisi quantitava, anche molto approssimativa come quella esposta in questa sede, ci permette di ragionare in modo lucido sulla presunta immunità di gregge. Altrimenti si corre il rischio seguire le orme di Boris Johnson, che però nel frattempo sembra aver cambiato idea pure lui.
[Illustrazione di Luca Manzo]
Ottima analisi biologico matematica.perfetta unione tra le due discipline,a dimostrazione che non si deve studiare per compartimenti stagni,ma programmare studi interconnessi
Se posso: cercare l’immunità di gregge significa voler trovare il numero primo più grande di tutti i numeri primi. I numeri primi sono infiniti, l’ha dimostrato Euclide nel 300 a.C. con 2*n+1, un primo definisce i multipli contenuti in una quantità ma sono gli stessi primi che generano i primi maggiori dei primi conosciuti (la produttoria 2*n). Non esiste l’immunità come non esiste il numero primo più grande di tutti i numeri primi.