Nicola Ciccoli ci guida nello strano mondo delle illusioni ottiche basate su effetti puramente geometrici. Seguiamolo per non perderci…
Molte illusioni ottiche si basano sul modo in cui il nostro cervello elabora le informazioni ricevute dal nervo ottico. Linee continue che sembrano spezzate, tratti di retta che si incurvano solo in apparenza, forme che riempiono uno spazio vuoto, immagini ferme in apparente perenne movimento.
Alcune illusioni, però, si basano su di un effetto puramente geometrico: non tanto ciò che accade nel nostro cervello nel decodificare il segnale del nervo ottico, ma ciò che accade ai raggi luminosi che colpiscono la nostra retina. L’atto del vedere è sempre il tentativo di ricostruire una immagine tridimensionale a partire da una sua proiezione bidimensionale sulla nostra retina (o, più esattamente, dalla combinazione di due distinte proiezioni bidimensionali). Questa operazione di ricostruzione porta con sè delle ambiguità ineliminabili, soprattutto quando la combinazione di una particolare figura con un particolare angolo di visuale finisce per creare delle sovrapposizioni singolari. Anche il colore svolge un ruolo in questa ricostruzione. Sono i giochi di luce e ombra e la nostra implicita assunzione che ciò che è più scuro sia più in ombra di ciò che è più chiaro a guidarci, spesso, nella nostra ricostruzione. Questi sono i trucchi a cui sempre più spesso fa ricorso la street-art 3D per creare improvvisi varchi dimensionali nei marciapiedi delle nostre città, in cui far cadere ignari passanti (come nell’immagine che ci fa da copertina).
Il cubo di Necker è forse la più nota di queste ambiguità geometriche. Ciò che vediamo è un cubo tridimensionale o una serie di poligoni accostati? E se è un cubo tridimensionale quale ne è la faccia anteriore? A dire il vero, se ci riflettiamo un secondo, sono infinite le figure dello spazio che sotto un opportuno angolo di osservazione danno luogo alla figura del cubo di Necker. Ogni vertice della figura potrebbe essere un punto in rilievo, diretto verso di noi, oppure un punto più distante da noi. Anche assumendo che tutti i vertici stiano su tre piani distinti, come è il caso di un cubo, la scelta di quali stiano più in alto o più in basso è totalmente arbitraria (non arbitraria, invece, la scelta di quali vertici corrispondano a incroci solo virtuali).
Potrebbe trattarsi di una piramide tronca avente per base un esagono non regolare se i quattro vertici centrali fossero tutti assunti essere nella direzione dell’osservatore. O si potrebbe trattare di una successione di bizzarra di lati inclinati alternativamente verso l’alto e verso il basso. A svelare l’ambiguità basterebbe un punto di vista leggermente diverso, basterebbe ruotare la testa leggermente di lato, ruotare leggermente l’oggetto. Paradossalmente se i lati da unidimensionali diventano tridimensionali ogni ambiguità sembrerebbe risolta. O almeno così sé facile pensare fino a che non ci capita di trovarci davanti a un cubo impossibile, una figura che sfrutta abilmente gli incroci virtuali per lasciarci perplessi, come capita all’imbronciato personaggio seduto sotto il belvedere di Escher. Ambiguità geometriche che, come l’esempio illustra, hanno sempre attratto la fantasia di artisti e disegnatori, che hanno trovato materiale fertile per la loro immaginazione.
Seguendo questa ispirazione il giapponese Kokichi Sugihara ha costruito alcuni oggetti fisici proprio con l’intento di evidenziare l’ambiguità intrinseca di alcune immagini (qui il suo sito con tanti esempi incredibili). Il principio dei due punti di vista viene sfruttato proprio per portare in evidenza due immagini apparentemente inconciliabili, totalmente incongruenti. Usando uno specchio per garantire all’occhio di chi guarda due visioni distinte (ma assolutamente non casuali) dello stesso oggetto, Sugihara riesce a costruire puzzle apparentemente insolubili. Cerchi che si specchiano in un quadrato o in una stella, stelle che si trasformano in una luna, fiori che sono anche farfalle, persino un tetto di cui un lato è concavo e l’altro convesso.
Solo lo svelamento della forma reale della figura tramite la sua rotazione nello spazio, capace di eliminare la particolarità del punto di osservazione, è capace di riconciliare l’apparente paradosso. Ma è una soddisfazione temporanea. Riportato l’oggetto nella posizione speciale l’occhio ricade nell’inganno. Anche le figure impossibili sono studiate da Sugihara con grande attenzione. Oltre alle tecniche per costruire triangoli di Penrose e altre simili “mostruosità spaziali” l’autore spiega come sia proprio la nostra facilità nell’ingannarci quando si tratta di decidere se uno spigolo rappresenti un oggetto concavo o convesso a farci cascare in pieno nella illusione della impossibilità. Divertente e curioso, certo. Non è impossibile da vedere, però, come la comprensione di simili meccanismi sia fondamentale in ogni progetto di riconoscimento automatico di una forma al computer.
Nicola Ciccoli