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Parte oggi “Radici di Pop”, la rubrica che scava nel terreno della cultura pop per far sbocciare, tra fumetti, meme e serie TV, i fiori della matematica. Ormai è consuetudine trascorrere gran parte del tempo libero scrollando video su Instagram, Facebook o TikTok. Alcuni ci fanno ridere, altri ci insegnano qualcosa, altri ancora ci commuovono. Ma, al di là del contenuto, tutti questi video condividono una caratteristica: la potenzialità di diventare virali. E proprio leggendo questa parola (virali) qualcuno potrebbe domandarsi: “Ma i video sono davvero come virus?” 

A darci una risposta ci pensano Li e Shao, due ricercatori cinesi che, in un recente articolo scientifico, hanno provato ad adattare i modelli epidemiologici al mondo dei social network. Perché, forse, anche i meme si diffondono come le malattie infettive.

L’idea dei due ricercatori è ambiziosa: trovare un legame matematico tra pubblicità, condivisione e viralità dei video online. Per farlo, si ispirano ai modelli epidemiologici classici, quelli che si usano per studiare la diffusione delle malattie infettive, e li adattano al mondo dei social network.

Immaginiamo un modello chiamato SIR, acronimo di:

  • Suscettibili (S): persone che potrebbero interessarsi al video, ma non l’hanno ancora visto.
  • Infetti (I): utenti che hanno guardato il video e ora lo condividono attivamente.
  • Recuperati (R): spettatori che hanno perso interesse e non interagiscono più col contenuto.

Nel tempo, le persone si spostano da una categoria all’altra. E questa dinamica può essere descritta da un sistema di equazioni differenziali che tiene traccia delle variazioni di S(t), I(t) e R(t) nel tempo t. L’intera popolazione in gioco al tempo t è data da:

$$N(t)=S(t)+I(t)+R(t),$$

che risolvono un sistema di equazioni differenziali:

Il nostro sistema di equazioni differenziali

A rendere il modello interessante sono quattro parametri chiave:

  • β: quanto è facile che un utente “suscettibile” diventi “infetto” dopo il contatto con un utente che condivide.
  • β1: è il parametro che considera gli utenti che vengono infettati senza passare da un contatto con un utente “malato”. Questo coefficiente differenzia il nostro modello dai classici epidemiologici.
  • α: la velocità con cui gli infetti si “spengono”, cioè smettono di condividere e passano tra i recuperati.
  • γ: quest’ultimo quantifica la pubblicità che viene utilizzata per sponsorizzare un video.

Notiamo che il coefficiente γ compare in un termine con la funzione I al denominatore questo perché l’idea di Li e Shao è semplice: quando il numero di “infetti” (cioè utenti che condividono attivamente) è basso, la pubblicità gioca un ruolo dominante. In quei momenti iniziali, è lo “sponsor” a spingere il contenuto e farlo conoscere. Ma quando il numero di infetti cresce, la pubblicità cala progressivamente: a quel punto, sono le persone stesse a fare da cassa di risonanza, condividendo il video in modo organico.

Infine, i due ricercatori hanno messo alla prova il loro modello attraverso un approccio agent-based, ovvero un tipo di simulazione che segue il comportamento del sistema. Questo tipo di modello permette non solo di osservare l’evoluzione della diffusione nel tempo, ma anche di ricostruire un vero e proprio “albero genealogico” della viralità: da chi parte la catena? Chi ha influenzato chi?

Per verificare l’attendibilità del modello, Li e Shao l’hanno confrontato con dati reali provenienti da tre hit di YouTube molto conosciute: Caroline di Aminé, Cheap Thrills di Sia e All About That Bass di Meghan Trainor. Hanno analizzato l’andamento delle visualizzazioni giornaliere e cumulate di questi video e li hanno messi a confronto con le curve teoriche previste dal modello.

Il modello si è rivelato sorprendentemente accurato nel breve periodo, riuscendo a riprodurre l’ascesa iniziale delle visualizzazioni e a distinguere il lavoro fatto dalla pubblicità da quello della condivisione degli infetti. Tuttavia, mostra i suoi limiti. Non tenendo conto di fattori come: la saturazione dell’interesse, la concorrenza pubblicitaria, la noia degli utenti o altro ancora tende a sovrastimare la durata e l’intensità della viralità.

Quindi alla domanda “I meme sono come i virus” la risposta è: sotto molti aspetti, SI!

P.S. Naturalmente, quello che abbiamo visto oggi è solo uno dei tanti modelli possibili per descrivere la diffusione dei video virali su Internet. Il modello presentato qui mette l’accento in particolare sul ruolo della pubblicità nel processo di viralità. Se vi incuriosisce approfondire altri aspetti e approcci a questi modelli, vi invito a leggere anche l’articolo del nostro Marco Menale!

Massimo Martone

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