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Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come lui vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Il tema di oggi è il motivo per cui si usa l’algebra (nel senso di operazioni aritmetiche a scuola, non in quello teorico da Galois in poi): per evitare di doversi inventare ogni volta un procedimento nuovo.

Qualche giorno fa il mio amico Antonio Rinaldi, che insegna matematica alle superiori, mi ha proposto un problema sulle percentuali, generato da un chatbot. Il problema è questo:

Una squadra di calcio gioca un certo numero di partite, vincendone il 60%. Poi ne gioca altre 20, vincendone il 75%. Alla fine la sua percentuale di vittorie è del 65%. Quante partite ha giocato?

Il problema non è di per sé molto complicato: basta scrivere l’equazione implicita nel testo e risolverla. Da questo punto di vista il chatbot si era comportato bene. Ma c’era il trucco: il problema doveva essere dato in una prima liceo, dove i ragazzi non avevano ancora cominciato a fare algebra. Le equazioni insomma sono fuori discussione. Come fare, allora? Con problemi che si risolverebbero con un’equazione di primo grado si può spesso usare il metodo della falsa posizione, che ha qualche migliaio di anni di onorato servizio ed è stato sistematizzato già da Fibonacci; ma in questo caso il suo uso sarebbe piuttosto complicato. Voi come fareste, allora? Fermatevi un attimo a pensarci su prima di continuare a leggere.

Ce l’avete fatta? Ecco come io ho affrontato il problema. Ho cominciato a notare come nelle ultime 20 partite la squadra ne ha vinte 15 (appunto il 75%), e mi sono chiesto quanti gruppi di 20 partite ha giocato in tutto, sapendo che negli altri gruppi ne aveva vinte 12 (il 60%). Sappiamo anche che la media finale è di 13 partite vinte ogni 20 (il 65%). Ma allora possiamo togliere due partite vinte nell’ultima fase e distribuirne una a ciascuno dei gruppi precedenti, che devono essere pertanto due. In definitiva abbiamo tre gruppi di 20 partite, cioè in tutto 60; per controprova si possono fare i conti e vedere che nelle prime 40 ne hanno vinte 24; il risultato finale è di 39 partite vinte su 60, che sono proprio il 65%.

Antonio invece ha usato un approccio sostanzialmente diverso, pensando all’intervento del vecchio saggio del principio del cammello che nel nostro problema appare nella veste di inflessibile e cattivissimo giudice sportivo che per non si sa bene quale grave irregolarità toglie alla squadra il 60% delle vittorie. Ricalcolando i punteggi, si ha che nel primo gruppo di partite non rimane nemmeno una vittoria (60% – 60% = 0), mentre nel secondo delle 15 vittorie se ne tolgono 12 e ne rimangono 3. Dunque in tutto il torneo la squadra ora può vantare solo 3 vittorie, che rappresentano il 5% del totale (65% – 60%). Ma se il 5% vale 3, il 10% vale 6 e il 100% vale 60. A questo punto si scopre che in appello la sentenza è ribaltata perché in effetti non c’è stata nessuna irregolarità; si riassegnano tutte le vittorie, ma naturalmente il numero di partite giocate è lo stesso. Peccato che nel frattempo i tifosi hanno messo a ferro e fuoco la città, sfasciando tutto e distruggendo l’auto del giudice sportivo…

Bene. Cos’hanno in comune questi due metodi per risolvere il problema? Almeno due cose. La prima è che non sono per nulla generalizzabili. O meglio: è possibile generalizzarli nel senso che si possono cambiare i dati numerici delle partite vinte e delle percentuali di vittorie, ma non si può applicare la stessa regola a problemi sempre lineari ma di tipo diverso. La seconda è che proprio perché non sono generalizzabili richiedono una discreta inventiva. A me non sarebbe venuto in mente di usare l’approccio di Antonio, e vale anche il viceversa. Questa situazione capitava molto spesso nell’antichità: il papiro di Rhind, che tra l’altro applica anche il metodo della falsa posizione, vede appunto un certo numero di problemi ciascuno con la sua strategia di risoluzione, e i risultati di quadratura di Archimede sono anch’essi tarati per il singolo problema. Il significato di tutto questo è che o si era davvero portati per la matematica e ci si inventava una strategia per il problema che si aveva tra le mani, oppure non restava che sperare di avere nel proprio Manuale del Perfetto Matematico l’esempio che si poteva applicare direttamente al problema, semplicemente inserendo i valori corretti. Con l’algebra tutto questo non serve più: si scrive la formula corrispondente al testo del problema, si applicano pedissequamente le operazioni matematiche di semplificazione e si arriva al risultato. (Se non si sbaglia a copiare un segno, d’accordo: ma quelli sono meri dettagli pratici, e comunque oggi si può chiedere a un calcolatore di esplicitare tutti i passaggi formali necessari).

La risposta alla domanda “Perché l’algebra?” è proprio questa: per semplificare la vita e non richiedere più di avere ogni volta un’idea meravigliosa. Certo, c’è l’altro lato della medaglia: se automatizziamo il procedimento, ci assale la noia, come ben sa chiunque abbia dovuto fare decine e decine di esercizi algebrici come compito a casa. E non è un caso che io e Antonio ci siamo divertiti a trovare una soluzione meno ingessata. Ma non possiamo certo pretendere che tutti siano creativi, e quindi teniamoci stretti i metodi standardizzati… sempre sperando che non siate della scuola di SMBC.

kid: "Teacher! will be ever use any of this algebra?" - teacher: "You won't, but one of the smart kids might".

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Maurizio Codogno, noto online come .mau., è nato a Torino nel 1963, e si è laureato in matematica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e successivamente in informatica a Torino. Autore di numerosi libri di divulgazione scientifica, tra cui “Matematica in pausa caffè” e “Chiamatemi Pi Greco”, ha il suo blog “Notiziole di .mau.” dall’inizio del millennio ed è stato curatore della collana di libri Matematica di Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera.

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