Riprendiamo con le pubblicazioni regolari di “Storie che contano”, grazie a un racconto di Luigi Arcari su una delle formule matematiche più eleganti di sempre che combina diversi protagonisti già speciali ognuno per conto proprio…
Luigi Arcari, “L’identità di Eulero”
Che una squadra, un gruppo, sia più efficace di ogni singolo che ne fa parte è una realtà della quale credo pochi si permettano di dubitare. Non è sempre stato così, non nel senso che non sia stato sempre vero, ma che storicamente si è sempre dato più rilievo ai singoli, più onori e gloria agli individui che ai gruppi. Qualche eccezione di rilievo c’è stata, come i trecento delle Termopili o i tre moschettieri, che poi erano quattro, oppure i tredici della disfida di Barletta o i tre Orazi romani della sfida contro i tre Curiazi di Albalonga, ma la storia ha soprattutto enfatizzato Ulisse, Ercole, Ettore, Achille, Cesare, Ottaviano e così di seguito, fino a Napoleone, Churchill o Eisenhower. Per la verità, la storia non solo si è occupata poco delle squadre, ma anche delle moltitudini, forse soprattutto poco delle moltitudini, dei tanti sconosciuti che hanno vinto insieme, hanno agito insieme e sono morti insieme. Ma tant’è, la storia è storia, è passata. Pensiamo al presente. E alla nostra squadra. Siamo in tre. Confesso che così anche noi facciamo un torto ad almeno uno, ma forse due, altri personaggi. È vero, ci sono anche loro, non certo di importanza irrilevante, ma la loro è un’altra storia, merita un resoconto a parte, quindi ci limiteremo a noi tre, scusandoci con loro e con voi per la decisione, divisa in parti uguali tra ragioni sostanziali e narrative.
Come siamo finiti insieme è in fondo macchinoso, provenienti come siamo da tempi diversi, contesti diversi e percorsi diversi. Ma non è forse così anche per i supereroi di Avengers Infinity War? Mica le cose eccezionali accadono tutte insieme e hanno la stessa origine. Intanto, è bene premettere che non abbiamo tutti lo stesso genere. Lungi da noi avventurarci in diatribe biologico/sociali sul genere, non vogliamo certo sollevare un vespaio, ma non perché si disdegni la sfida dialettica oppure per pudore, per pigrizia o convenienza; il motivo è che sia il tema del sesso biologico sia il tema dei ruoli di genere all’interno del contesto comportamentale sociale esulano del tutto dall’accezione puramente grammaticale che qui si vuole sottolineare, accezione probabilmente riduttiva, ma che è la sola squisitamente rilevante in questo ambito. Quindi, siamo una squadra composta da due componenti di genere femminile e uno di genere maschile. Due a uno, niente male, altre che quote rosa: qui siamo in piena maggioranza femminile, il che naturalmente non deve essere né motivo di gloria per il genere femminile né ragione di rivalsa per il genere maschile, è una pure e semplice constatazione numerica, circostanza da rilevare ma non da enfatizzare o commentare. Forse è il caso che ognuno di noi si presenti direttamente, come è prassi nelle riunioni tra sconosciuti, nei brainstorming, nelle selezioni di gruppo del personale e nelle buone regole di comportamento sociale.
Il motivo per il quale vengo presentato è molto semplice: ho la capacità, direi unica, di dividere perfettamente la circonferenza di un cerchio e il suo diametro. […] Risultato precisissimo, ma un po’ strano per la verità. […] Una volta mi sono divertito a contare le prime sedici cifre, solo perché era il sedici ottobre, ed erano \(3,141592653589793\).
Io sono in effetti la somma di uno più il reciproco del fattoriale di uno, più il reciproco del fattoriale di due, più il reciproco del fattoriale di tre, più il reciproco del fattoriale di quattro, più il reciproco del fattoriale di cinque… e così via, fino all’infinito. […] Difficile però chiamarmi \(2,718281828459045\) ecc., quindi mi hanno affibbiato molti nomi […] addirittura e, come se io meritassi la quinta lettera dell’alfabeto, quasi una degradazione. […] Io opero sui numeri, agisco su di loro, li trasformo, li elevo a potenza, di cui io sono la base.
Viene spesso raccontata la storiella che l’impossibilità di risolvere l’equazione di secondo grado \(x^2+1=0\) portò, in un tempo indefinito e da persone imprecisate, a immaginare che ad essa potessero essere assegnate come soluzioni \(\pm \sqrt{-1}\), facendo la comparsa io, l’unità immaginaria. […] Il maledetto appellativo mi è rimasto addosso anche come simbolo.
Bene. Allora, eccoci qui: \(\pi\), e ed \(i\). La nostra squadra. Come anticipato, altrove è la storia di noi in quanto singoli, qui vogliamo fare una storia di gruppo, una storia collettiva. Come gruppo siamo nati nel 1748. Da un’idea. Bisogna riconoscerlo, non apparteniamo alla categoria dei gruppi che si sono formati per aggregazione spontanea, per amicizia, per comune condivisione di passioni o di obiettivi, come i Beatles o come Hardy e Littlewood, che poi divennero Hardy, Littlewood e Hardy-Littlewood. Se non ci avessero convinti dell’opportunità e della rilevanza a stare insieme, se non ci avessero messo insieme, non se ne sarebbe fatto niente. Siamo inoltre un gruppo certamente stabile, ma poi ognuno di noi conserva la sua individualità, libertà e indipendenza. E ci mancherebbe altro! Ognuno di noi ha tanti di quei ruoli come singolo e in altri gruppi che rinunciarvi sarebbe un cataclisma di dimensioni inimmaginabili. Crollerebbero intere discipline, interi rami del sapere sparirebbero, crollerebbero i ponti e le case, si schianterebbero a terra gli aerei, cesserebbero di funzionare le reti elettriche e di comunicazione, si fermerebbe Internet. L’idea è stata di Eulero. I modi per aggregarci potevano essere tanti, dando libero sfogo alla fantasia: sommarci, sottrarci, moltiplicarci, dividerci, elevarci a potenza, combinarci in funzioni goniometriche e trigonometriche, iperboliche ed esponenziali, e via dicendo, con diverse possibilità nei ruoli per ognuno di noi, e ovviamente obiettivi diversi e risultati diversi come gruppo. Eulero scelse come struttura organizzativa \(e^{i\pi}\), assegnando ad \(e\) il ruolo di base della potenza, ruolo storicamente svolto, mentre al prodotto tra \(i\) e \(\pi\) il ruolo di esponente. Che dire, decise lui. Ruoli chiari, definiti, non discutibili, stabili, ma chiaramente la leadership era affidata ad \(e\), inutile negarlo, ne eravamo consapevoli tutti e tre. Sarebbe come dire che la parte fondamentale di una casa sia il tetto o le finestre e non le fondamenta. Naturalmente, affinché una casa sia una casa, devono esserci fondamenta, tetto e finestre, ma tetto e finestre da sole non si reggono. All’inizio un po’ di turbolenze tra noi ci sono state, era inevitabile: conflitti, ribellioni, ostilità, rifiuti. Tutte primedonne, abituati tutte e tre a primeggiare, a comandare piuttosto che a servire, ad essere leader ognuno nei propri ambiti. Dobbiamo dare atto ad \(e\) di un ottimo stile relazionale e di leadership, di essere generoso, leale, trasparente, un buon motivatore e comunicatore. Immaginatevi cosa poteva succedere nel progetto Manhattan, un contenitore di geni e premi Nobel, senza la leadership di Oppenheimer! Ma poi ognuno di noi ha preso piena coscienza del suo ruolo, dell’interdipendenza, della necessaria coesione e armonia, della priorità funzionale e operativa dell’obiettivo. Che poi questo obiettivo non è che all’inizio fosse così chiaro a noi, non sapevamo che aspettarci, e a ragione ci sembrava. Cosa poteva mai venir fuori dal mettere insieme \(e\), dal valore \(2,718281828459045…\) irrazionale e trascendente, con \(\pi\), pari a \(3,141592653589793…\) irrazionale e trascendente anch’esso, e con \(i\), unità immaginaria, algebrica, corrispondente a \(\sqrt{-1}\)?! La miscelazione, il blending è un’arte sublime in tanti campi, dai colori al whisky, dal minestrone ai profumi e alla matematica. Il genio di Eulero trovò invece l’alchimia giusta: \(e^{i\pi}=-1\).
Non ci sono parole. Quando ci siamo accorti del miracolo non riuscivamo a crederci, sembrava impossibile, assurdo, soprannaturale e troppo bello ed elegante per essere vero. Mettere insieme numeri così diversi tra di loro, così straordinari da dover pensare che la loro integrazione oltre che priva di senso potesse dare origine a qualcosa di incredibilmente complesso, di esplosivo, di contorto e diabolico… e ritrovarsi invece col numero intero \(-1\). Non che il numero \(1\) non sia importante, beninteso, l’elemento neutro della moltiplicazione, principio di milione, come ci insegna il detto popolare, ma al confronto di noi tre è in fondo così semplice, quasi banale: è reale, non è illimitato, non è irrazionale, non è trascendente. Ma il prodigio è proprio in questo. Quando abbiamo avuto piena consapevolezza della cosa è stato come raggiungere la pace, avere la conferma che valeva la metta esserci messi insieme, aver costituito la squadra. Naturalmente, \(e^{i\pi}=-1\) implica \(e^{i\pi}+1=0\). È comparso così anche lo zero, mitico numero anch’esso, l’elemento neutro dell’addizione. Ecco quindi, tutti insieme, cinque tra i numeri più importanti della matematica, a costituire una delle formule matematiche ritenute tra le più belle al mondo, tra le cose più belle del mondo. La bellezza dell’estetica, la bellezza dell’aggregazione, la bellezza della profondità, la bellezza della storia. Tutto vero, naturalmente, ma questa è soprattutto la bellezza dall’esterno, la bellezza che rileva chi non fa parte del gruppo. Noi tre del gruppo, ebbene sì, ci riteniamo la vera squadra, la vera aggregazione, gli altri due in fondo sono figuranti, noi tre rileviamo la bellezza dall’interno. È come studiare una grande battaglia e ammirarne le strategie. Della battaglia di Zama, nella piana di Naraggara, si ammira la strategia di Scipione, la novità dello schieramento romano per contrastare gli elefanti di Annibale, la solidità dei veterani romani e cartaginesi, l’impeto della cavalleria numida e l’efficacia dell’operazione di accerchiamento effettuata dai romani. Ma noi tre siamo dentro: siamo Annibale e siamo Scipione; conosciamo la sconfitta e la vittoria, la mischia e il sudore, il sangue e la morte, lo sgomento degli elefanti e il terrore dei veliti, l’euforia dei vincitori e il massacro dei fuggitivi. Noi tre percepiamo più la terribile potenza del nostro blending, la perfezione dell’incastro, l’armonia e il risultato dell’unione.
Ovviamente Eulero non sapeva, nel 1748, che \(e\) e \(\pi\) fossero trascendenti. La dimostrazione della trascendenza di \(e\) fu fornita da Hermite solo nel 1873. E quando Lindemann nel 1882 dimostrò che anche ogni potenza di \(e\) con esponente algebrico è trascendente, gli fu sufficiente ricordare che noi tre fusi insieme diamo semplicemente il numero algebrico \(-1\), per dedurre che l’esponente \(i\pi\) deve essere trascendente, ed essendo \(i\) naturalmente algebrico, ottenere la dimostrazione della trascendenza di \(\pi\). Basterebbe anche sola questa dimostrazione, se non altro a testimoniare la potenza del gruppo.
Luigi Arcari, pensionato, laureato in ingegneria nucleare, ha lavorato per quasi 30 anni nel settore informatica e telecomunicazioni. È stato poi per 5 anni insegnante liceale di Fisica e Matematica. Coniuga la formazione scientifica con interessi umanistici.
Il racconto è scaricabile qui nei formati PDF, ePub e AZW3.
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