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Maurizio Codogno, meglio noto in rete come .mau., racconta come lui vede la matematica, con la scusa di non doverla insegnare né crearne di nuova. Oggi parla di due problemi che gli sono capitati in passato e delle loro risposte non standard.

Nel post precedente ho parlato della prova di matematica all’esame di maturità 2025. Essendo io un boomer, l’esame lo diedi nel lontano 1982: non sono così vecchio dall’avere problemi da risolvere sinteticamente (qualche volta durante il liceo ci riuscivo anche: ormai ho dimenticato tutto da decenni), ma c’erano quattro quesiti, con la sibillina consegna “Delle seguenti questioni il candidato risolva quelle che ritiene più adeguate alla sua preparazione”.

L’ultimo quesito consisteva di calcolare la somma della serie di Grandi, S = 1/(1∙2) + 1/(2∙3) + 1/(3∙4) + … + 1/((n–1)n) + … per n tendente all’infinito. Non avevo nessuna idea, ma avevo una calcolatrice programmabile – qualcosa di sconosciuto al ministero a quel tempo, e quindi non vietata: ho scritto al volo un programmino, notato che la somma convergeva a 1, e avuto l’idea di come poter dimostrare formalmente il risultato. Ma purtroppo commisi una dimenticanza nel secondo problema. Il testo diceva “Si determinino i coefficienti dell’equazione \(y = ax^2 + bx + c\) in modo che la parabola da essa rappresentata passi per i vertici A, B del triangolo e divida questo in due parti delle quali quella determinata dal lato AB sia metà dell’altra.” Io ho calcolato i coefficienti della parabola, che sono quelli mostrati nella foto di copertina: ma non mi sono accorto che c’erano due valori possibili e quindi due parabole da studiare.

Per me questo è stato uno smacco, e me la sono legata al dito: per fortuna, perché la cosa mi è servita nell’esame di ammissione alla Normale. Il giorno prima avevo fatto la prova di fisica, che era andata maluccio; non pensavo di avere speranze di passare la selezione, ma tanto ero a Pisa e mi sono detto che tanto valeva divertirmi un po’ con i problemi matematici nei quali sapevo sarei andato molto meglio. In uno dei problemi si aveva un triangolo con angoli α, β, γ che verificano la condizione cos 3α + cos 3β + cos 3γ = 1, e bisognava dimostrare che uno di quegli angoli valeva 2π/3. Non sono riuscito a risolvere quel problema, ma guardandolo attentamente e facendo qualche prova con valori estremi mi sono accorto che con un triangolo degenere succedeva qualcosa di strano. Scrissi così qualcosa tipo “Mi dispiace, ma il triangolo (degenere quanto volete ma comunque un triangolo) di angoli 0, 0 e 180 gradi rispetta l’ipotesi, ma non la tesi, quindi il problema è errato”, e terminai con un “(tiè!)”. Quando poi vinsi il concorso e mi trasferii a Pisa, seppi che avevo rischiato che mi annullassero la prova (che era anonima, in doppia busta) perché quel tiè poteva essere un segno distintivo per far riconoscere il mio elaborato. Alla fine lasciarono stare perché supposero che nessuno poteva essere così stupido da usare un segno distintivo di quel tipo: ovviamnte non mi conoscevano ancora. Però quando hanno pubblicato la soluzione nel libro che Franco Conti e Alessandro Profeti scrissero per Boringhieri sono stati costretti a mettere una nota che indicava che il triangolo non era degenere…

Qual è la morale di queste storielle? Semplice: la matematica non perdona. Proprio perché dobbiamo avere la certezza che la nostra dimostrazione funzioni in ogni caso, verificare cosa succede in casi estremi è un lavoro magari noioso, anche se in genere meno complicato di cosa succede nel caso generale, ma necessario: e comunque a volte anche i casi particolari possono dare qualche utile spunto per aiutarci a risolvere il caso generale. Pensate per esempio a un problema dove ci viene chiesto di scrivere una funzione parametrica, ma in realtà quello che abbiamo è un invariante, e quindi per qualunque valore del parametro il risultato è lo stesso. Vedere che in tre o quattro casi il valore trovato è sempre lo stesso ci porta a cercare di vedere se quel valore si ottiene davvero sempre. L’unica controindicazione è che bisogna sporcarsi le mani e fare i conti, o almeno farli fare al computer come nel caso della serie di Grandi: ma io, oltre a non essere praticante, sono un matematico un po’ fuori standard…

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Maurizio Codogno, noto online come .mau., è nato a Torino nel 1963, e si è laureato in matematica presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e successivamente in informatica a Torino. Autore di numerosi libri di divulgazione scientifica, tra cui “Matematica in pausa caffè” e “Chiamatemi Pi Greco”, ha il suo blog “Notiziole di .mau.” dall’inizio del millennio ed è stato curatore della collana di libri Matematica di Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera.

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