Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo di Daniele Gouthier contenente alcune riflessioni sulla comunicazione della matematica e il suo rapporto con la società. Risponde oggi Nicola Ciccoli.
Reagisco alla lettera di Daniele Gouthier non tanto come membro del comitato editoriale di MaddMaths!, ruolo che ha comunque formato gran parte della mia riflessione sulla comunicazione della matematica, quanto come membro di un gruppo di lavoro sulla Comunicazione della Scienza della mia Università (Perugia) che mi ha permesso di allargare un po’ lo sguardo e vedere queste attività in un quadro di più ampia prospettiva.
All’interno di questo gruppo di lavoro uno dei miei compiti era fare un censimento delle attività con cui il mio Ateneo mette in atto prassi di “comunicazione” della scienza verso l’esterno. Ho messo le virgolette non per caso ma per caos. Per sottolineare, cioè, il variegato caos di attività sottese da questa generica espressione. Orientamento, attività di PCTO con le scuole, seminari rivolti al grande pubblico (a volte in location inusuali), festival scientifici, orientamento scolastico, partecipazione a grandi stage nazionali o internazionali (come Sharper). A volte partorite dall’Ateneo, a volte prodotte in risposta a uno stimolo esterno, a volte nate dal basso, da un singolo docente, da un gruppo di ricerca, da un singolo Dipartimento. Accomunate nella maggior parte dei casi, purtroppo, da una riflessione molto fragile sui fini, sui mezzi utilizzati, sul pubblico a cui vengono mirati e raramente da una valutazione ex-post sull’adeguatezza e coerenza di fini, mezzi, pubblico.
Questo è il primo e più importante aspetto critico.
Troppo spesso divulgazione orientamento e altre attività di comunicazione vengono fuse in un unico pacchetto senza alcuna riflessione sulla opportunità di miscelare attività che hanno scopi differenti, dando per scontato che un professore che parla in un bar, in un’aula scolastica, su di un palco, tramite un libro o un blog, possa automaticamente realizzare tutti gli scopi, almeno un po’. In parte è inevitabile. La varietà delle iniziative è una forma di ricchezza, né si può pretendere di ingessare l’offerta in termini di comunicazione sempre e solo dentro forme predefinite; è, in fondo, una istanza di quell’imparar facendo che richiediamo anche ai nostri studenti. In parte è un problema. Il sovrapporsi di iniziative che riguardano piani diversi (e hanno codici comunicativi diversi) oltre a non essere efficace quando non se ne hanno chiari gli obiettivi può pure diventare controproducente. Due esempi: fare attività di orientamento tutte basate su attività laboratoriali mal si concilia con un primo anno di Corso di Laurea in cui gli studenti si trovano a dover calcolare valanghe di determinanti di matrici 3×3: se l’attività laboratoriale è effettivamente nelle corde didattiche del corso, evviva, altrimenti si creano solo aspettative deluse. E’ pericoloso, cioè, presentare solo gli aspetti più “sexy” della Matematica ai futuri studenti e poi passare il primo anno d’Università a convincerli che quella matematica sexy se la devono dimenticare. Così il rincorrere nella direzione della citizen science settori scientifici che l’hanno più nelle sue corde spesso produce esperienze in cui i cittadini sono chiamati semplicemente al ruolo di collettori di dati e questo a volte contrasta l’idea che la nostra disciplina sia fatta di molto pensiero creativo e pochi numeri. Nessuna delle cose è sbagliata in sè, ma a volte la corda viene tirata in direzioni contrastanti senza neanche fermarsi un secondo a pensarci su.
C’è poi, sul versante accademico, il problema di chi e come fa queste attività. Si tratta, in generale, di attività retribuite solo occasionalmente, di solito in maniera scarna, e che poco o nulla contribuiscono alla propria carriera (a volte vengono pure giudicate negativamente). Inevitabile che siano attività su base volontaria e che di conseguenza tutto faccia brodo, non ci siano selezioni o scelte e ci si basi solo ed unicamente su quel che si riesce a mettere in campo, spesso con preavvisi ridicoli. Anche per questo la riflessione sul come e perché resta ai margini. A caval donato… Ma d’altra parte questo contribuisce a creare una di quelle sottocaste la cui presenza a me non pare molto salutare, nei nostri Dipartimenti. Così come c’è l’esperto in compilazione della SUA, c’è l’esperto di PCTO e gli uni e gli altri finiscono per essere considerati persi alla ricerca. Non aiuta neanche la confusione tra il fare comunicazione della scienza e riflettere sulla comunicazione della scienza. Così come non tutti gli esperti di didattica sono efficaci come didatti, così conoscere la riflessione teorica sulla comunicazione scientifica non rende ipso facto bravi comunicatori (e viceversa). Né è pensabile che tutti i docenti universitari debbano o possano essere bravi a comunicare – in fondo non è questa la competenza principale su cui veniamo selezionati.
Proprio per questo mi lascia perplesso l’idea di proporre corsi di formazione in comunicazione per tutti. E mi lascia perplesso in due direzioni distinte. Ma prima una premessa. Guardo con molto favore alle tante esperienze di corsi specialistici, master, lauree ibride e simili che stanno nascendo in varie università italiane attorno all’idea del comunicare la scienza; in tutta sincerità spero che breve riusciremo ad attivare qualcosa del genere anche a Perugia. E allora? Bene; da un lato penso che quella alla comunicazione sia una direzione che vada perseguita da chi la sceglie in maniera consapevole, non da tutti. Certo; utile per i nostri dottorandi un corso su come si scrive un articolo scientifico oppure un progetto di ricerca, ma non penso avesse in mente questo, Daniele. Meno utile, penso io, all’interno della Laurea Magistrale un corso obbligatorio in “Comunicazione della Scienza” o della Matematica nel nostro caso. Riflettiamo sul fatto che ancora ad oggi fatichiamo a proporre in tutte le sedi dei corsi decenti di “Didattica della Matematica” pur consapevoli del fatto che uno studente su due si dedicherà all’insegnamento; d’altra parte sappiamo che solo una frazione minuscola dei nostri studenti finirà per fare esperienze attive di comunicazione – mi sembra difficle vederla come una priorità; e questa è la prima perplessità.
La seconda riguarda i contenuti e qui dirò qualcosa di urticante. Nelle mie esperienze di interazione con chi si occupa professionalmente di comunicazione della scienza sono stato probabilmente un po’ sfortunato; mi hanno ricordato molto da vicine alcune cattive esperienze che ho avuto con chi si occupa sul piano teorico di pedagogia. Da un lato conoscenze teoriche molto slegate dai contesti specifici e quindi assai poco applicabili nella pratica effettiva, dall’altro l’enfasi su alcuni aspetti tecnici della comunicazione presentati come certificati efficaci sulla base di uno studio fatto in un festival scientifico del Yorkshire quindici anni fa e presentato sotto la formula del “è scientificamente dimostrato che”. Un po’ come quando certi pseudo esperti di pedagogia tentano di convincere che l’efficacia della “classe capovolta” come tecnica didattica è ammantata da un bollino di qualità che ne attesta la convenienza indipendentemente dai contenuti e dal contesto: grazie, no. Ho già assistito a un corso in cui un esperto di comunicazione cercava di convincermi del fatto che stare davanti alla cattedra invece che dietro diminuiva la mia distanza dagli studenti e quindi mi rendeva più comunicativo, incurante del fatto che non ho un braccio di quattro metri e la lavagna sta dietro la cattedra, o che mi elargiva perle di saggezza per spiegarmi che una battuta ogni cinque-dieci minuti stempera la tensione. Credo, detto in maniera meno polemica, che nel campo della comunicazione ci si scordi di un fatto fondamentale: ascoltare è una parte importante della comunicazione. Siamo ai primi passi. Non ci serve qualcuno che ci spieghi come fare, ci serve parlare tra di noi di cosa abbiamo fatto, di cosa ha funzionato, di cosa ha fallito, delle emozioni che abbiamo suscitato. Ci serve confrontare esperienze, metterci in ascolto di chi alle iniziative di comunicazione ha partecipato come uditore, sederci nel pubblico e poi dibatterne. Nella mia esperienza non c’è nessuna linea di demarcazione preconcetta, non ho nessuna accademicità che mi trattiene dal sedere e ascoltare cosa ha da dirmi della sua esperienza un professore di scuola secondaria inferiore che tiene un canale YouTube, o uno studente di magistrale che nel tempo libero registra podcast. Basta che non mi vengano propinate certezze universali basate sull’aver trasformato una singola esperienza in teoria onnicomprensiva. Ben venga, quindi, una riflessione sulla comunicazione della matematica che si faccia ricerca. Purché ricerchi veramente e non pensi di dover solo produrre teoremi, ed è paradossale, forse, che sia un matematico a dirlo. Tenendo a mente, anche, che valutare un’attività di comunicazione è difficilissimo e non si può limitare ai parametri numerici che vanno tanto di moda (quante persone c’erano, quante copie hai venduto, quanti secondi di applausi hai ricevuto); difficile capire oggi se ciò che hai fatto contribuirà a produrre un cittadino consapevole in più domani.
Intendiamoci; il grosso delle considerazioni di Daniele Gouthier le condivido e faccio mie: l’importanza di questa comunicazione (e le resistenze che a volte trova), la necessità di aumentare la consapevolezza di quel che si fa, quella di coltivare una riflessione teorica. Mi preoccupa un po’ l’enfasi sul “formare” sulla base di esperienze che alla prova dei fatti si sono dimostrate diseducative (o, detto in altri termini, credo che la riflessione teorica vada fatta a valle e non già a monte della pratica comunicativa). Concordo sulla necessità di avere un luogo dove parlare di questo. Esperienze come ComunicaMat di Camerino e i Carnevali della Matematica dal vivo questo sono stati, per me, momenti di riflessione sul come e perché non disgiunti dalla pratica. Penso che in certa misura MaddMaths! sia stato e sia uno dei luoghi virtuali in cui questo interscambio è possibile e mi metto, appunto, in ascolto delle altre voci che si vorranno aggiungere.
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