La recensione di un libro del 1976 di Don DeLillo inedito in Italia. Un libro denso pieno di riferimenti (pertinenti) alla matematica e che forse qualcuno dovrebbe decidersi a tradurre…
Quest’estate, seguendo il consiglio di un mio amico inglese, studioso di letteratura moderna, ho deciso di leggere un romanzo dello scrittore americano Don DeLillo (quello di “Underworld” e “Rumore bianco”, per intenderci), che si intitola “Ratner’s star”, la stella di Ratner, appunto1. Così ho scoperto, con un certo disappunto, che questo romanzo del 1976, a differenza di qualsiasi altra cosa sia stata scritta da DeLillo, non è mai stato tradotto in italiano. All’inizio ho pensato che fosse perché proprio non ne valeva la pena. Poi, incoraggiato da tante recensioni positive trovate sul web (addirittura, secondo il critico americano Tom LeClair, DeLillo stesso lo considerava il migliore dei suoi libri prima di “Rumore bianco”), mi sono deciso ad ordinarlo.
AVVENTURE
Campo Esperimento Numero uno
1 Substrato
Il piccolo Billy Twillig salì a bordo di un Sony 747 in partenza per una terra lontana. Tutto questo si sa con certezza. Montò sull’aereo. L’aereo era un Sony 747, così contrassegnato, ed era previsto che arrivasse in un punto designato esattamente un certo numero di ore dopo il decollo. Tutto questo è soggetto a verifica, scolpito su pietra (khalix, calculus), reale come il numero uno. Ma davanti c’era l’orizzonte sonnolento, tremolante di polvere e vapori, un’invenzione i cui limiti erano determinati dalla prospettiva personale, non diversamente da quelle quantità immaginarie (la radice quadrata di meno uno, per esempio) che ci guidano a nuove dimensioni.
Direi che dopo un simile inizio, bilanciato perfettamente tra precisione e indeterminatezza, non si poteva non continuare (Sony 747? la radice di meno uno? Khalix?). Billy ha 14 anni ed è un famoso matematico, anzi ha appena vinto il Premio Nobel, che eccezionalmente è stato assegnato alla matematica (sic!), per le sue ricerche sugli “zorg” e sul “twilligon stellato”2. Siamo in un prossimo futuro (rispetto all’anno di uscita del libro. In realtà la storia si svolge nel 19793), e il mondo è turbato da misteriose crisi politiche. Billy raggiunge un laboratorio, un edificio a cinque piani a forma di cicloide situato nell’Asia centrale, dove sono riuniti molti altri scienziati, ognuno specialista di una diversa disciplina. E così Billy scopre che tutti si aspettano da lui grandi cose, e più precisamente che decifri un messaggio arrivato dallo spazio, proveniente appunto dalle vicinanze della stella scoperta anni prima da un certo Ratner.
Il romanzo è diviso in due parti abbastanza distinte. La prima è caratterizzata da uno stile esoterico e allusivo, con una caratterizzazione dei personaggi volutamente fumettistica, e a sua volta si articola in 12 sottosezioni da nomi del tipo: substrato, flusso, forme espansione, dicotomia. In ognuna di queste sezioni, parzialmente ispirate nella struttura ad “Alice nel Paese delle Meraviglie”, Billy, come Alice, fa degli strani incontri con personaggi dai nomi improbabili, come U.F.O. Schartwz, che pesa 140 Kg. e rivela a Billy lo scopo della sua missione, o Othmar Poebbles, che cerca di riflettere sulla dicotomia discreto/continuo che in qualche modo si ritrova in tutto il romanzo4, e ancora il misterioso matematico Timur Nüt, scopritore delle superfici Nüteane, che cerca di mettere in difficoltà Billy con domande insidiose nella loro semplicità. A questi incontri si alternano brevi ricordi dell’infanzia di Billy, come la gita in metropolitana, dove lavora il padre, alla fine della quale hanno uno scontro contro un treno fermo. “Ci fu allora un momento di calma superlunare. In questo intervallo, appena prima di cominciare a piangere, capì che c’è sempre almeno un numero primo tra un numero dato e il suo doppio5.”
A un certo punto Billy incontra il più importante matematico vivente, Henrik Endor (And/Or), che indossa una catenina intorno al collo con appeso il pentragramma stellato dei pitagorici, e ha deciso di vivere in un buco scavato nel terreno, cibandosi di acqua piovana e vermi estratti da un secondo buco praticato all’interno del primo. Apparentemente, questa scelta è motivata dal suo fallimento nella decifrazione del codice ratneriano, ma la sua fede nella matematica rimane salda: “La matematica è la sola avanguardia rimanente nell’intera provincia delle arti. È arte pura, ragazzo. Arte e scienza. Arte, scienza e linguaggio. Arte allo stesso livello dell’arte che un tempo chiamavamo arte. Perse le sue ali dopo la scomparsa dei babilonesi. Ma emerse di nuovo con i greci. Andò giù nell’età oscura. Musulmani e indù la fecero andare avanti. E ora è tornata più luminosa che mai.”
Poi le cose si complicano e la seconda parte, circa un terzo del romanzo, ha una struttura molto meno organizzata e maggiormente soggettiva, quasi fossimo entrati in un romanzo di Virginia Woolf. Un gruppo di scienziati, tra cui Billy, guidati da Robet Softly, il suo mentore affetto da nanismo e dalla pelle innaturalmente bianca, decide di inoltrarsi nel sottosuolo, dove esiste una struttura interrata speculare al laboratorio e ancora a forma di cicloide. Vi sono grotte, tunnel e pipistrelli. C’è la ricerca di un linguaggio logico che permetterebbe di rispondere ai ratneriani. Come il twilligon stellato immaginato/scoperto da Billy, il romanzo prende una piega del tutto nuova e soprattutto scopriamo che l’approccio scientifico non sempre è infallibile, fino ad un finale di grande intensità che evito in tutti i modi di descrivirvi
DeLillo racconta in un’intervista che, dopo aver scritto i suoi primi tre libri, cominciò a studiare matematica: “Volevo avere un punto di vista nuovo sul mondo. Volevo immergermi in qualche cosa che fosse il più lontano possibile dai miei interessi e dal mio lavoro. E rimasi affascinato e finii per scrivere un romanzo e poi un lavoro teatrale sui matematici.” Alla fine viene fuori che il romanzo contiene un romanzo parallelo, in realtà soltanto adombrato sotto forma di allusioni, che ripercorre tutta la storia della matematica, come fosse la storia di una setta segreta capace di parlare un linguaggio misterioso, ma potente (e forse qualche cosa di vero c’è…). I matematici e le loro idee vengono solo evocati senza mai nominarli esplicitamente, ma queste idee sono usate per dare una forma propria al racconto. Alcune frasi assumono addirittura un significato diverso se lette come flusso di coscienza di Billy o invece come riflessioni matematiche. Per esempio, a un certo punto della seconda parte leggiamo (p. 370):
NON SONO SOLO QUESTO
C’è un vita all’interno di questa vita. Un riempirsi di interstizi. C’è qualcosa tra gli spazi. Sono diverso da questo. Non sono solo questo, ma di più. C’è qualcos’altro che appartiene al resto di me. Non so come chiamarlo o come raggiungerlo. Ma c’è. Sono di più di quello che sapete. Ma lo spazio è troppo strano da attraversare. Non posso arrivarci ma so che è lì che bisogna arrivare. Dall’altra parte è tutto libero. Se solo potessi ricordare com’era la luce nello spazio prima che avessi occhi per vederla. Quando avevo una poltiglia al posto degli occhi. Quando ero tessuto umido. C’è qualcosa nello spazio tra ciò che conosco e ciò che sono e quello che riempie questo spazio è qualcosa per cui io so che non ci sono parole.
È un brano bellissimo, quasi un poema in prosa indipendente dal resto, ma ci chiediamo se si sta parlando dei sentimenti di Billy, che non si sente solo come una macchina matematica, o della nostra percezione della realtà, o ancora di un’immagine che si riferisce in qualche modo al Teorema di incompletezza di Godel, richiamato due volte nelle pagine appena successive.
Alla fine, in questi strani anelli che caratterizzano tutto il romanzo, la matematica avveniristica, e accuratamente non descritta, di Billy, si incontra con il lontano passato. Se guardate meglio le Figure 1 e 2, scoprirete che il twilligon scoperto da Billy, è contenuto nel pentagramma pitagorico, ed è un fratello minore del triangolo aureo6, ma anche un boomerang che non si stanca di tornare indietro, per quanto lontano lo si voglia lanciare.
di Roberto Natalini
ADDENDUM: Questo articolo esce nell’ottobre 2010. A maggio 2011, forse ascoltando l’appello dell’autore, il libro è apparso per Einaudi, tradotto da Matteo Colombo. Vi rimandiamo a un post che descrive la presentazione tenuta da Chiara Valerio e Roberto Natalini, moderati da Diego Altobelli presso la libreria assaggi (contiene una clip divertente) e all’intervista di Rossella Panarese a Roberto Natalini per Radio3 Scienza.
NOTE
1 “Ratner’s Star” by Don DeLillo, Knopf, 1976, 438 pagine.
2 Sembrerebbe improbabile, ma dagli archivi del centro Ransom ad Austin (Texas), risulta che DeLillo si sia ispirato al vero matematico Charles Fefferman che scrisse il suo primo articolo a 15 anni, diventando poi Full Professor a 22, e vincendo la Medaglia Fields due anni dopo la pubblicazione del romanzo.
3 Non casualmente, esattamente 100 anni dopo la nascita di Einstein e la pubblicazione del saggio di Frege sui linguaggi formali.
4“È come se Weierstrass avesse voluto fare cose come la continuità e il limite basandosi sugli interi.”(p. 313) e ancora “Strano, pensò, come gli interi, che sono discreti, e il nostro tentativo di tracciare il tempo, che è continuo, possano combinarsi in modo opportuno per darci un’area comune di riferimento con gli extraterrestri.” (p. 318).
5 Che incidentalmente è vero, ma non si dimostra in modo banale. Qui e altrove DeLillo propone, di solito in modo non enfatico, riferimenti corretti a proprietà matematiche non immediate.
6 Il triangolo isoscele in cui il terzo lato è in rapporto aureo con gli altri due.