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Quest’anno il premio Wolf è andato a Yakov Eliashberg e Simon Donaldson, lo abbiamo annunciato qui. Nicola Ciccoli ci racconta ora qualcosa in più su Yakov Eliashberg e il cammello simplettico.

Circola ancora l’opinione che un buon matematico ottenga i suoi risultati migliori prima dei 40 anni. Chissà cosa deve aver pensato Yakov Eliashberg, allora quarantaduenne, quando finalmente otteneva il permesso di lasciare l’Unione Sovietica, nel 1988 e riprendere, finalmente, le sue ricerche matematiche, quasi interrotte otto anni prima. Chissà se hai mai coltivato il dubbio di non farcela, di aver perso gli anni migliori; non lo conosco di persona ma è facile immaginare che quando a inizio anno ha ricevuto la notizia del premio Wolf 2020, dopo il premio Crafoord del 2016, debba essere tornato alla memoria a quei momenti.

Erano momenti difficili, allora. Al dottorato a Leningrado erano seguiti sette lunghi anni nella Università di Syktyvkar; dall’ambiente matematico più stimolante delll’Urss e forse del mondo a una sperduta università alle porte della Siberia, definita da qualcuno l’ultima tappa prima delle porte del gulag. E se nei 7 anni di Siberia, tra il 1972 e il 1979 Eliashberg deve aver mai pensato che la situazione fosse terribile cosa deve aver pensato poi, obbligato a lasciare una posizione matematica che non gli consentiva più di sfamare la famiglia e trasformato in direttore di una industria di software. Non lasciare la matematica, ma trasformarla in un doloroso secondo lavoro nei ritagli di tempo. Le colpe? Allievo di Rokhlin, professore già fin troppo in odore sulfureo di eresia ed ebreo a sua volta, studente in un Istituto che si vantava di essere riuscito a liberarsi di tutti i matematici ebrei spedendoli negli angoli più sperduti dell’Unione.

Eppure devono essere stati anni intensi, se in quegli anni si parla di Eliashberg come di un uomo dotato di coraggio e profonda umanità. E poi se ne parla come del matematico che contribuì a far nascere, proprio allora, una nuova disciplina: la topologia simplettica. L’uomo che dimostrò che non è possibile, per un cammello simplettico, passare per la cruna di un ago.

Che cosa è la topologia simplettica e cosa c’entrano i cammelli?

Una famosa illustrazione del problema del cammello simplettico.

Nella Meccanica Classica, quella introdotta da Newton per studiare il moto dei corpi, dei pianeti, dei fluidi, le trasformazioni di ogni sistema materiale avvengono secondo il principio di conservazione dell’energia. Questo principio può essere, sostanzialmente, riformulato dicendo che una certa stuttura geometrica, detta forma simplettica, non viene modificata durante l’evoluzione temporale del sistema. Si tratta della cosiddetta formulazione hamiltoniana della meccanica sullo spazio delle fasi: lo spazio delle coppie di posizione e velocità di ogni punto. Una delle conseguenze dirette del fatto che l’evoluzione temporale del sistema conserva la forma simplettica (in termini tecnici, è un gruppo a un parametro di simplettomorfismi) è che una qualunque porzione di spazio delle fasi evolve, nel tempo, mantenendo il suo volume costante. Immaginate un palloncino gonfio d’aria che, nel tempo, si può deformare stringendosi in alcune parti e allargandosi in altre ma sempre mantenendo costante il suo volume. Immaginate anche che questo palloncino abbia in partenza la divertente forma di un cammello. Non è impossibile, in linea di principio, pur mantenendone sempre il volume costante farlo passare attraverso la cruna di un ago. L’aria contenuta nelle gobbe al momento opportuno si riverserà tutta nella coda oppure nel muso dopo che questo ha attraversato la cruna. Sembrava dunque chiaro a tutti che un cammello simplettico potesse passare per la cruna di un ago (consentendo dunque a tutti i ricchi del mondo di sperare che, nel caso il Paradiso fosse simplettico, l’accesso sarebbe stato permesso pure a loro). La trasformazione che lo consente è quella che un matematico chiama un diffeomorfismo che conserva il volume. Ma non c’era la certezza che la cosa fosse possibile anche con i simplettomorfismi, le trasformazioni che regolano l’evoluzione nello spazio delle fasi.

Un altro studente di Rokhlin stava studiando lo stesso problema e attraversando le stesse difficoltà quotidiane. Finito il suo dottorato nel 1968, Mikhail Gromov lavorava alle proprietà dei simplettomorfismi in un esilio solo parzialmente più semplice: comandato all’istituto Idrometereologico di Leningrado con la prospettiva di studiare l’Inglese per andare a insegnare matematica in Sudan all’interno dei programmi dell’Internazionale Comunista. Destino non proprio ai primi posti nel pensiero di Mikhail che, prima di Eliashberg, riuscì ad andarsene dall’URSS e arrivare nella capitale del capitalismo: New York, Stony Brook.

E’ così che all’incirca negli stessi anni, con tecniche diverse, nella frenetica New York e nella gelida Syktyvkar, Gromov ed Eliashberg arrivano allo stesso risultato: i simplettomorfismi sono un sottoinsieme chiuso del gruppo dei diffeomorfismi. Il che è un modo complicato di dire che nel nostro cammello gonfiabile c’è una misteriosa resistenza interna che impedisce di restringerne il diametro in maniera arbitraria e le gobbe, per quanto le si spremano, non saranno mai arbitrariamente comprimibili. Il cammello simplettico è insospettatamente rigido e, dunque, non può passare per la cruna dell’ago.

Il risultato era per certi versi sorprendente e si inseriva in un dibattito in corso. Da un lato le proprietà degli spazi simplettici sembravano essere estremamente flessibili. Dopo tutto, per un famoso risultato di Darboux, ogni piccola porzione del nostro cammello simplettico non può essere distinta da quella di ogni altra superficie simplettica. Guardando il cammello con una lente di ingradimento ci sembra flessibile all’infinito dunque. Una caratteristica completamente opposta alle proprietà delle  superfici Riemanniane, cioè dotate di una misura di lunghezza e per le quali la curvatura di Gauss è un invariante capace di distinguerne porzioni arbitrariamente piccole. Esisteva però un risultato che sembrava puntare in un altra direzione. Se la evoluzione temporale hamiltoniana di una superficie nello spazio delle fasi la porta, dopo un certo tempo, di nuovo esattamente sopra se stessa, quanti punti della superficie vengono riportati esattamente sopra se stessi? Quanti sono i punti fissi di un simplettomorfismo? Il loro numero, aveva congetturato Arnol’d anni prima, sembrava essere un po’ più grande del previsto. Una forma di rigidità delle trasformazioni simplettiche. Ma allora nel mondo della geometria simplettica prevalevano le proprietà rigide o quelle flessibili, hard or soft? I primi risultati di Gromov, legati al cosiddetto h-principle, sembravano puntare direttamente verso la flessibilità, il lavoro di Arnold verso la rigidità: Eliashberg sembrava indeciso tra i due estremi.

Ora il teorema di “non-squeezing” assieme ai lavori di Eliashberg andavano decisamente nella direzione della rigidità. Ma mentre Gromov era libero di comunicare le sue idee al mondo i lavori di Eliashberg, pubblicati in preprint in russo di una sperduta università di provincia, circolavano ancora unicamente per passa-parola. Un passa parola sufficiente a fargli ottenere l’invito per il Congresso Mondiale di Matematica di Berkeley nel 1986. Anni difficili. Così come per le discipline sportive, con i rispettivi boicottaggi delle olimpiadi di Mosca e Los Angeles, anche nella matematica il boicottaggio era arma diplomatica. Nel 1986 Drinfel’d non potà ritirare di persona la sua medaglia Fields ed Eliashberg, al lavoro sui software, non potè parlare di matematica; entrambono riuscirono solo a inviare note scritte che furono lette da altri. Gromov, uno degli speaker principali a quel congresso, impostò tutta la sua comunicazione sulle proprietà di flessibilità e rigidità in geometria, parlando anche del lavoro di Eliashberg che aveva risolto la congettura di Arnol’d sui punti fissi nel caso delle superfici.

Di lì a poco Eliashberg avrebbe computo 40 anni. Forse, dopo tutte quelle difficoltà, poter ripartire in un nuovo contesto sembrava impossibile. Quando Eliashberg lasciò l’URSS per Stanford si deve essere chiesto se non fosse troppo tardi, se non avesse perso troppo tempo.

Non è stato così. Con regolarità impressionante Eliashberg ha iniziato a inanellare risultati su risultati. Lo studio delle proprietà di rigidità e flessibilità della geometria di contatto. Il chiarimento del h-principle e la sua applicazione a un insieme molto diverso di problemi geometrici, lo studio delle immersioni Lagrangiane e dei fronti d’onda. Nel 1998 sarà lui, invitato e finalmente presente al Congresso Internazionale di Matematica di Berlino a parlare anche del lavoro di Gromov. Arriva negli anni successivi una ricchezza di risultati difficili da divulgare anche a matematici esperti, guidati dalla consapevolezza che laddove si manifesta un principio “simplettico” si è davanti alla punta dell’iceberg di un insieme di oggetti matematici in cui complessità e bellezza sono intrinsecamente abbracciati. La rigidità del cammello, essendo la meccanica hamiltoniana la costruzione geometrica più direttamente legata alla meccanica quantistica, viene oggi interpretata come l’aspetto geometrico del principio di indeterminazione di Heisenberg. La topologia simplettica è diventato uno dei settori di ricerca matematica in più rapida evoluzione. La teoria simplettica dei campi, l’ultima avventura in cui si è lanciato Eliashberg, una delle frontiere in cui matematici e fisici teorici avanzano spalla a spalla.

Possiamo dirlo noi per lui, non è stato troppo tardi.

Nicola Ciccoli

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