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Nel 2010, grazie ad un contatto procuratoci da Luigi Ambrosio, su MaddMaths! intervistammo Alessio Figalli. Allora aveva meno di 26 anni ed era già professore ad Austin in Texas. I presupposti di una carriera eccezionali c’erano tutti e per questo l’intervista fu lunga, molto accurata e molto amichevole (fu registrata via Skype e durava quasi un’ora e mezza). Ve la riproponiamo oggi in occasione del grande successo mondiale di Alessio. Buona lettura.

A soli 25 anni (e mezzo) Alessio Figalli ha già una carriera accademica di tutto rispetto. A 22 anni, nel 2006, si laurea in Matematica presso la scuola Normale di Pisa. L’anno dopo diventa Ricercatore del CNRS francese. Diventa poi professore all’École Polytechnique a Parigi e da settembre di quest’anno è Professore Associato presso l’University of Texas a Austin (USA). Ha pubblicato già una ventina di lavori e un’altra decina stanno per uscire. (intervista raccolta da Roberto Natalini il 23 novembre 2009 e apparsa sul sito il 5 febbraio 2010).

Q.: Ehm, speriamo che questa cosa di skype recording funzioni, mi sa che sono un po’ impedito. Come va? Tutto bene?
A.: Sì, sono reduce dalla cena di Thanksgiving di ieri.

Q.: Ti hanno fatto mangiare il tacchino?
A.: Sì un tacchino enorme, eravamo a casa di Caffarelli… tipo 40 persone.

Q.: Bene, dai cominciamo. Prima domanda, molto scontata: come ti senti ad essere professore a soli 25 anni in Texas?
A.: Beh, sicuramente è una soddisfazione, ma allo stesso tempo è anche una grande responsabilità. Perché se mi trovo qui è perché la gente ha creduto in me e pensa a quello che potrò fare nei prossimi anni. E questo ti mette della pressione. Ma insomma, una pressione costruttiva: ti dici “hanno avuto fiducia, ora cerchiamo di ricompensarla lavorando bene, nel modo giusto”. Insomma, è una soddisfazione, e anche un’esperienza di vita interessante quella di vivere adesso negli Stati Uniti. Ed è stata una scelta non facile. È un grande cambiamento rispetto a vivere in Europa. Però era un’ottima occasione lavorativa, specie per la presenza di Caffarelli, e mi sono detto che se non partivo ora non ci sarei poi più andato, quando uno ha famiglia e tutto il resto.

Q.: A livello umano come ti sei trovato negli Stati Uniti?
A.: Beh, a livello lavorativo molto bene. Qui nel dipartimento sono tutti molto simpatici, anche se di americani veri non ce ne sono molti… Diciamo che predomina la componente sud-americana. Anche la città è molto simpatica, verde, siamo in Texas, ma non è il deserto.

Q.: Beh, ma rispetto a Parigi c’è stato un certo salto.

A.: Mah, Parigi è una bellissima città, tutti ti invidiano, però ha anche i contro. È una città carissima con affitti stratosferici, muoversi è difficile, e anche con i trasporti pubblici eccellenti, io perdevo un paio d’ore al giorno sulla R.E.R.. Qui invece vivo a dieci minuti a piedi dal Dipartimento in una zona molto carina. E lo trovo molto più piacevole.

Q.: Ok, dai, passiamo a parlare di matematica. Quando hai cominciato a pensare di fare il matematico?

A.: Abbastanza tardi. Per esempio quando ho finito il Liceo, ho fatto il classico, ero ancora indeciso tra matematica, fisica e ingegneria per esempio. Non avevo nessuna motivazione particolare. Alla fine è stato un po’ un caso, molto legato al fatto di essere entrato in Normale, e mi sono detto “ah, però, fico!”. Insomma, la matematica mi divertiva, ma non sapevo se avrei potuto farne un lavoro. Avevo conosciuto le Olimpiadi della Matematica gli ultimi due anni di Liceo, insomma abbastanza tardi. E facendo le Olimpiadi mi divertivo. Era un mio sfizio, mi ci mettevo ogni tanto la domenica pomeriggio, ma mi ci dedicavo non più di due ore a settimana. Per il resto me ne andavo in palestra o uscivo. Mi riuscivano gli esercizi di matematica, ma nulla di particolare. Inoltre facevo il Classico e il programma era abbastanza facile. Con le Olimpiadi ho avuto uno stimolo a fare qualche cosa di più. Ma ancora non ero sicuro.

Q.: Però per il concorso di ammissione in Normale avrai studiato…

A.: Sì, quello si! Certo il fatto di essermi preparato alle Olimpiadi di Matematica mi ha aiutato molto. Ci tenevo a provare, ma non sapevo bene come sarebbe andata. Insomma, non sono stato il ragazzino prodigio che a dieci anni faceva chissà che cosa. A dieci anni andavo a giocare a pallone…

Q.: E quando hai scoperto la tua vocazione?

A.: Beh, una volta entrato in Normale ho scoperto tante cose che prima non conoscevo: analisi, algebra… E sostanzialmente, non lo so, sapevo che mi divertivo, avevo piacere di imparare. Non era più come al liceo. Imparavo finalmente delle cose nuove che mi interessavano veramente. E poi le cose mi riuscivano, e quindi avevo delle soddisfazioni. La cosa che mi aveva più impressionato in positivo è che finalmente non stavo più a guardare l’orologio ogni tre secondi per sapere quando finiva la lezione.

Q.: Bene. Ora prova a dirmi di cosa ti occupi. Insomma, in generale…

A.: Ci sono vari problemi che mi interessano. Il mio dominio è l’analisi. Un problema su cui ho lavorato molto è il trasporto ottimale. Uno ha degli oggetti da trasportare, per esempio deve portare del pane dalla produzione alla distribuzione. Se uno ha più centri di produzione, allora può porsi il problema di come ottimizzare la distribuzione, ossia da quale sito partire per portarlo in un certo posto. Il problema è stato formulato all’inizio da Monge per trasportare dei detriti per costruire delle fortificazioni. E l’idea di fondo è che trasportare costa e uno vuole trovare il modo di minimizzare i costi. Il problema è di natura economica, e a livello matematico produce moltissime domande interessanti. Intanto ci si chiede se esiste un modo ottimale di fare le cose. Se poi questo trasporto ottimale esiste, allora uno ne studia le proprietà. E ci sono tanti problemi in cui questo problema riappare. In problemi di natura geometrica, ma anche in metereologia. Per esempio hanno scoperto che questo influenza l’evoluzione delle nuvole: se una nuvola deve spostarsi, le particelle che compongono la nuvola seguiranno nel tempo un trasporto ottimale.

Q.: Sono intelligenti!

A.: eh si, ottimizzano… :-D. Questo è stato il mio tema principale di ricerca nella  Tesi di dottorato. Poi per esempio ci sono i problemi isoperimetrici. Ossia quando ho un insieme di volume fissato e voglio sapere qual è la forma che minimizza la superficie esterna. Un problema che in due dimensioni è il classico problema di Didone: data una corda di lunghezza data, trovare l’area maggiore racchiusa dalla corda. Se non abbiamo ostacoli allora abbiamo un cerchio, ma il problema si può complicare in molti modi. Ci hanno lavorato molti matematici e c’è ancora tanto da fare.

 Q.: Qual è il lavoro singolo in cui credi di aver dato il tuo contributo più importante? Insomma, quello che ti ha dato più soddisfazione.

A.: Beh, almeno due. Uno con Francesco Maggi e Aldo Pratelli, in cui studiamo appunto questi problemi isoperimetrici e dimostriamo che se abbiamo una corda “quasi-ottimale”, allora questa corda è “quasi” un cerchio, e questo vale anche in dimensione più alta, dove diventa molto più complicato. E poi un altro problema che mi ha divertito molto di trasporto ottimale parziale. Ossia, ho dei detriti da una parte e li voglio portare da un’altra. Ma questa volta ho più detriti di quanti me ne servano. Esiste allora un modo ottimale di trasportare solo una parte dei detriti? Ci sono allora due scelte. Innanzitutto la solita scelta “chi va dove”, ma poi anche decidere “chi deve essere mosso”. E questo l’ho risolto circa un anno e mezzo fa.

Q.: E cosa ti piacerebbe dimostrare? Hai un tuo “dream problem”?

A.: Non è facile. Ho sempre in testa dei problemi che secondo me sono molto belli e che sarebbero interessante capire. Per problemi da un milione di dollari come Navier-Stokes non penso di avere ancora abbastanza “feeling” per fare una cosa del genere. O la regolarità di correnti minime, o le singolarità di superfici minime in alte dimensioni. Ecco, mi piace avere questi problemi sempre in background. Non mi sento in grado di stare come Andrew Wiles per 8 anni su un problema. Preferisco dei problemi difficili, ma fattibili, che mi permettono di imparare nuove cose. E poi c’è anche un fattore fortuna in certe cose: trovarsi al momento giusto con una buona idea. Insomma ci sono tanti problemi che mi interessano, che vanno dalla teoria geometrica della misura, oppure adesso, stando qui, ai problemi di frontiera libera…

Q.: eh, sei nel paradiso della frontiera libera!

A.: Esatto, sto lavorando con Luis (n.d.r.: Caffarelli) e bisogna approfittarne. E ci sono tanti problemi poco chiari, difficili, ma fattibili. Insomma, per ora non ho “un” problema. Li scelgo spesso solo perché mi divertono, però devono anche essere non banali… Insomma, tengo presente tante cose, cerco di imparare nuove cose, e se poi mi viene l’idea…

Q.: Come lo vedi il rapporto tra matematica e applicazioni? Ti senti “puro” o “applicato”?

A.: Beh, personalmente mi sento “puro”. So che i problemi su cui lavoro, come il trasporto ottimale o quelli di frontiera libera, hanno un’origine fisica, economica, non saltano fuori dal nulla. Però la scelta del problema in sé, per me e forse per la maggior parte dei matematici, è piuttosto un problema estetico. Conta che il problema sia bello, divertente. È interessante sapere che c’è una motivazione applicativa e che ci sia qualcuno che faccia da  tramite con le vere applicazioni. Però non credo che, almeno per il momento, sia il mio ruolo. Di solito quando arrivo l’equazione è già là.

Q.: Ok, passiamo a domande più leggere. Cosa fai quando non fai matematica? Leggi? Dormi?

A.: Beh, dormire è fondamentale, sono un gran dormiglione! Per il resto, quello che ha caratterizzato la mia vita negli ultimi anni è che ho cambiato sempre luogo e dunque ho viaggiato tantissimo. Quindi le mie attività extra, che essenzialmente si concentrano sul week-end, dipendono da dove sto. Quando ero a Los Angeles mi piaceva andava al mare e fare un po’ di sport. Qui in Texas non ho ancora avuto molto tempo, ma è ottimo per fare escursioni, il clima è buono, si può giocare a pallone e poi vorrei approfittarne da gennaio per imparare lo spagnolo. Quando stavo a Parigi mi piaceva farmi una passeggiata a Boulevard Saint Michel o un Brunch con gli amici.

Q.: Ma dimmi, hai problemi a mantenere le tue amicizie, viaggiando, cambiando sempre di paese?

A.: Sono sempre stato in contatto con le persone che ho incontrato. Più che difficoltà a fare amicizie, per me è un po’ triste quando me ne vado, che mi tocca sempre ricominciare da capo. La parte negativa è più nel non poter contare su rapporti stabili.  A Roma però ci sono sempre i miei amici del tempo del liceo e li vedo sempre quando torno per le vacanze.

Q.: E come vivete la differenza delle vostre vite?

A.: Beh, fa un po’ strano. Ho una vita molto diversa dalla loro. Loro vivono a casa, con i loro genitori. Per il resto, alla fine si ricomincia a parlare del più e del meno, le solite chiacchiere, e poi le partitine a poker, specie sotto Natale, che è una vecchia tradizione dal liceo.

Q.: Per finire due domande difficili. La prima. Che faresti se fossi il Ministro dell’Università e della ricerca in Italia? Che provvedimenti prenderesti?

A.: Intanto c’è da capire perché in Italia le cose non funzionano. La prima cosa che salta agli occhi è l’instabilità. In Italia non si sa mai cosa succederà: quando ci saranno i fondi per i progetti o quando ci sarà un nuovo posto. Questo crea una situazione deprimente. Per esempio in Francia la situazione è molto più stabile e si sa bene quando e come sono assegnate le risorse. Poi c’è un problema di mentalità. Per esempio negli Stati Uniti, tutti controllano tutti. Un sistema di equilibrio di poteri in cui se sbagli e qualche cosa va male non hai una seconda possibilità. Però questo sistema difficilmente potrebbe funzionare in Italia, perché difficilmente accettiamo di essere troppo controllati e giudicati dai colleghi anche nel merito del nostro lavoro. Il sistema francese è più simile al nostro, e però funziona meglio. Forse, ma potrei sbagliarmi, questo dipende da una maggiore centralizzazione del potere nella gestione dei soldi e delle risorse. I laboratori che non si comportano bene sono rimessi in riga  dall’alto.  Forse in Italia si dovrebbe tornare un po’ indietro sull’autonomia. Magari anche con delle commissioni scientifiche di alto livello a rappresentanza maggioritaria straniera che valutino la produzione dei vari Dipartimenti nei vari settori.

Q.: Allora per finire: uno spot per invitare i giovani a iscriversi a Matematica.

A.: Intanto penso che c’è già tanta gente a cui la matematica non piace. Per cui, più che convincere la gente, bisognerebbe fare in modo che la gente a cui piace non scappi. C’è gente che si chiede: “Che possibilità di lavoro ho? A cosa serve? Poi finisco ad insegnare al liceo?”. E questo è un peccato. Penso che se una cosa piace è giusto essere incoraggiati e avere la possibilità di provare. Per esempio succede che  ci siano persone a cui piace la matematica ma decidano di iscriversi a Ingegneria pensando di trovare lavoro più facilmente. Ecco, io la penso diversamente. La vita è una, se abbiamo una cosa che ci piace, ci diverte, non dobbiamo scoraggiarci nel cercare di farla. Certo, ci sarà anche un fattore di fortuna, ma questo c’è sempre in ogni attività umana. In realtà poi attualmente i matematici sono  molto richiesti, per cui alla fine, anche a livello pratico, è un buon momento per fare matematica. Insomma, io inviterei quelli a cui piace, e che non sono pochi, a non esitare a provarci. Sapendo sempre che le soddisfazioni verranno non tanto a livello sociale, dato che se incontri delle persone puoi parlare per cinque minuti che fai matematica ma poi a nessuno gliene frega niente, quanto dal divertimento nelle cose che fai e dal riconoscimento dei colleghi.

 

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