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Oggi, 15 ottobre 2013, Italo Calvino avrebbe avuto 90 anni e per celebrare il suo compleanno viene pubblicato il nuovo numero di Liberascienza, il magazine dell’omonima associazione, tutto dedicato alla “Consistenza”. È l’ultimo numero di un piano editoriale che si è sviluppato negli ultimi due anni a partire dalle “Lezioni Americane” di Italo Calvino. Dopo Leggerezza, Rapidità, Molteplicità, Esattezza, Visibilitàla sesta e ultima tappa del viaggio in America è arrivata. Finalmente c’è Consistenza (“Consistency” nell’originale di Calvino, ma vedrete la cosa non finisce qui). Proponiamo di seguito il testo di Roberto Natalini sulla consistenza in matematica.  L’intera pubblicazione è comunque scaricabile dal sito gratuitamente.

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COPERTINA Consistenza

Proseguendo il viaggio sulle orme di Calvino, su questo ultimo numero dedicato alle Lezioni Americane troverete, nell’ordine: Patrizia Piredda che ci parla concetto di coerenza in campo etico, tra Aristotele e Calvino, mentre Roberto Natalini affronta lo stesso tema nell’ambito matematico: da Gödel a Peano, passando per gli asini volanti.Fiorella Fiore ci accompagna invece alla scoperta dell’intrigante e spesso incompresa performance art, mentre Antonio Di Stefano ci spiega come sia possibile vedere la Cina, e riflettere sull’economia globalizzata, stando sotto un ombrellone. Luca Lanini, affronta poi la consistenza riflettendo su come si sia evoluto questo concetto nell’architettura mondiale. E poi gli ultimi due interventi: Giuseppe De Nittis e Patrizia Piredda che si sono brillantemente cimentati in un ipotetico dialogo tra Wittgenstein e Gödel, e Francesco D’Errico che ci fa scoprire con lui le connessioni che la consistenza ha perfino con la musica.

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Consistenza matematica, una storia abbastanza complicata

di Roberto Natalini

Certo non poteva mancare la matematica, parlando di consistenza. E mi sarebbe piaciuto proporre illuminanti connessioni tra matematica, filosofia e letteratura (e poi Calvino…). O ancora presentare una panoramica dei tanti significati che anche in ambito tecnico la parola “consistenza” prende in matematica, a partire dalla consistenza degli schemi di approssimazione numerica per le equazioni differenziali, che è forse l’unico argomento di cui potrei parlare con reale cognizione di causa. Oppure spiegare che in italiano la parola consistenza vuol dire “che ha sostanza”, mentre in ambito logico-matematico la parola consistenza è un solo un calco dell’inglese “consistency”, che dovrebbe in realtà essere tradotto con la parola “coerenza”(ma Calvino negli appunti in inglese scrive proprio consistency). E poi mi sono reso conto che tutti questi propositi sarebbero risultati futili o addirittura disorientanti rispetto al macigno che domina ancora oggi, a oltre ottant’anni di distanza, il panorama matematico quando la parola consistenza appare. Insomma, avremmo potuto conversare amabilmente del tempo sorseggiando la nostra tazza di tè, facendo finta di non vedere l’elefante seduto sul divano buono del salotto, ma alla fine l’unica cosa che avremmo ricordato del nostro incontro sarebbe stato l’elefante, appunto. Allora tanto vale parlare di lui, sperando che riusciate a digerirlo.

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Supponiamo di fissare un sistema di assiomi, ossia alcune proposizioni che pensiamo debbano servire da fondamento non dimostrato di una teoria. Usando le regole di inferenza logica possiamo combinare questi assiomi per dedurre dei teoremi, ossia delle proposizioni che si dimostrano vere proprio a partire dagli assiomi. Il sistema di assiomi è detto essere “consistente” se non è possibile dimostrare, a partire dagli assiomi, che una certa proposizione e la sua negazione sono vere allo stesso tempo, ossia se non esistono affermazioni contraddittorie. Questa definizione di consistenza può risultare strana e allo stesso tempo abbastanza ovvia. È ovvia se vogliamo che il nostro sistema abbia un senso, ossia sia razionalmente accettabile. Anzi forse questa richiesta potrebbe essere posta alla base di ciò che chiamiamo razionale: non possiamo accettare che siano vere allo stesso tempo una cosa e il suo contrario. E inoltre questo negherebbe la possibilità di argomentare logicamente, poiché si può far vedere che se in un sistema esiste un’affermazione che è vera e allo stesso tempo è anche vera la sua negazione, allora è possibile dedurre qualsiasi cosa all’interno del sistema stesso. Questo principio è chiamato ex falso sequitur quodlibet (ossia, dal falso segue qualsiasi cosa). Vediamo come funziona. Supponiamo per esempio che siano vere contemporaneamente “4 è diverso da 5” e “4 è uguale a 5” e vogliamo dedurre l’affermazione “tutti gli asini volano”. Dato che “4 è diverso da 5” è vera, allora è vera anche l’affermazione D=“almeno uno dei due tra “4 è diverso da 5”e “tutti gli asini volano” è vera”. Ora sappiamo anche che “4 è uguale a 5”, per cui, per essere ancora vera l’affermazione D dobbiamo concludere che “tutti gli asini volano” è vera. Insomma, un bel pasticcio, con tutti questi asini volanti…

Allo stesso tempo la consistenza è strana. Per la filosofia classica, per Aristotele, non esiste proprio il problema, non ci possono essere proposizioni vere e false allo stesso tempo e basta, o una cosa è vera o è vero il suo contrario, e non ci sono altre possibilità. Ma allora, a cosa serve parlare di consistenza, quando questa dovrebbe essere una cosa accettata da tutti?

Il problema nasce dal fatto che mentre per i greci gli assiomi erano affermazioni considerate come evidenti, da non dimostrare, ma nemmeno da discutere, ossia una base di partenza da cui dedurre tutte le affermazioni “vere”, per noi moderni la cosa è leggermente più complicata. L’idea nuova, che risale alla fine del XIX secolo, è che la matematica si sarebbe dovuta sganciare da ogni considerazione esterna. Il programma di David Hilbert, uno dei grandi matematici vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo, proponeva di auto-fondare la matematica, partendo da una scelta opportuna di assiomi, senza far riferimento ad alcuna evidenza empirica. È un po’ il programma di Euclide per la geometria, ma per Euclide le basi di partenza erano prese come evidenti, mentre per Hilbert è solo la matematica che deve decidere se un dato sistema di assiomi è legittimo o meno. Il secondo problema di Hilbert, proposto nel 1900, chiedeva proprio di dimostrare che l’aritmetica è basata su un sistema di assiomi che possiede queste tre proprietà, che sono quelle che lo rendono appunto legittimo:

a) Minimalità (o indipendenza): nessuno degli assiomi può essere dedotto dagli altri.

b) Consistenza: non esistono contraddizioni interne al sistema, ossia ogni teorema dedotto dagli assiomi non può essere vero e falso allo stesso tempo.

c) Completezza: si può determinare per ogni affermazione se essa o la sua negazione possono essere dimostrate a partire dagli assiomi.

Insomma, dato che adesso gli assiomi possono essere messi insieme in modo arbitrario (e in alcuni sistemi gli assiomi potranno apparire assolutamente non evidenti), la consistenza diventa una proprietà da richiedere e dimostrare, per evitare di costruire un inutile castello di carte.

Come sistema di assiomi per l’aritmetica, venne considerato allora il sistema proposto nel 1899 dal matematico italiano Giuseppe Peano per descrivere i numeri naturali, che può essere scritto informalmente in questa maniera (non strettamente simbolica):

  1. Esiste un numero naturale che chiamiamo 0 (zero).

  2. Ogni numero naturale n possiede un successore, che chiamiamo succ(n).

  3. Se due numeri hanno lo stesso successore, allora sono uguali.

  4. Lo 0 non è il successore di alcun numero.

  5. (Principio di induzione) Preso un qualunque sottoinsieme A dell’insieme dei numeri naturali tale che lo 0 appartiene ad A e per ogni numero n, se n appartiene ad A, allora anche succ(n) appartiene ad A, allora A coincide con tutto l’insieme dei numeri naturali.

Immaginate di non sapere cosa siano i numeri (naturali) e provate ad usare solo gli assiomi per ritrovare tutte le loro proprietà conosciute (questo è un po’ il succo degli assiomi, caratterizzare una certa parte della matematica con un numero limitato di affermazioni facili da accettare o rifiutare). Per esempio, partendo dagli assiomi, si può definire l’operazione di addizione in modo ricorsivo mediante queste due proprietà:

a) n+0=n;

b) n+succ(m)=succ(n+m).

[Voi che state dormicchiando in penultima fila, sveglia! Per esercizio, provate a dimostrare che 2+2=4 usando gli assiomi e questa definizione (è semplice, ma non così semplice)]. I primi quattro assiomi sono abbastanza evidenti, se pensiamo a come sono fatti i numeri. Si parte da 0, e poi si va avanti con la funzione successore generando tutti i numeri. Tuttavia, se usassimo solo i primi quattro assiomi, non avremmo ancora il sistema dei numeri naturali, perché non riusciremmo a dimostrare tante proprietà che ci aspettiamo siano vere. Dobbiamo aggiungere un nuovo assioma, e Peano propose appunto il principio di induzione. Purtroppo questo principio non è un solo assioma, ma piuttosto equivale ad avere un numero infinito di assiomi, diciamo uno per ogni sottoinsieme dei numeri naturali. Ed è questo principio di induzione (anche se riproposto in alcune formulazioni più deboli) che porterà le maggiori complicazioni. Tuttavia, gli assiomi di Peano sembravano (e sembrano ancora) un buon punto di partenza per dare una descrizione sensata dell’aritmetica. Anzi Hilbert aveva dimostrato che praticamente tutta la matematica, analisi, geometria, algebra, poteva essere dimostrata consistente se lo era l’aritmetica data dagli assiomi di Peano. E Hilbert e tanti altri matematici erano abbastanza sicuri di poter dimostrare quest’ultimo passo appunto della consistenza dell’aritmetica di Peano. Invece, nel 1931, l’allora 25enne Kurt Gödel, uno studioso austriaco che frequentava il Circolo di Vienna, pubblicò un lavoro destinato a sconvolgere i piani del grande Hilbert. Gödel dimostrò infatti un primo risultato molto sorprendente, ossia che in qualsiasi sistema assiomatico consistente che sia sufficientemente potente da poter esprimere l’aritmetica, è possibile trovare delle proposizioni aritmetiche vere che non possono essere dimostrate a partire dagli assiomi. Ossia, supponendone la consistenza, l’aritmetica di Peano, e anche qualsiasi sua possibile estensione assiomatica, formano dei sistemi incompleti. Questo può sembrare molto strano, cosa vuol dire infatti che di una proposizione è vera e non è dimostrabile? L’idea di Gödel non può essere spiegata in poche righe, ma dovendolo fare, basti accettare la possibilità di associare in modo unico a ogni successione finita di simboli, un numero intero. Questo permette di tradurre in operazioni numeriche qualsiasi affermazione e anche qualsiasi dimostrazione, ossia permette di parlare dei teoremi del sistema usando gli stessi numeri. Attraverso varie manipolazioni Gödel riuscì a scrivere una proposizione con questo enunciato: “Questa proposizione non è dimostrabile in questo sistema di assiomi”. Se la proposizione fosse falsa, allora sarebbe dimostrabile, ossia una contraddizione che porterebbe all’inconsistenza del sistema, e per questo motivo deve essere vera (e non dimostrabile).

Purtroppo non era finita. Con gli stessi metodi Gödel dimostrò che se un sistema assiomatico è consistente e abbastanza potente da esprimere l’aritmetica, allora è impossibile provare la sua consistenza all’interno del sistema stesso. Ossia non è possibile basare la nostra convinzione nella consistenza dell’aritmetica sull’aritmetica stessa, ma dobbiamo basarci su un altro sistema di assiomi (più forte) per fondarla in modo non contraddittorio (e così via, anche per i nuovi sistemi, ovviamente…). La matematica, che da oltre mezzo secolo cercava di rendersi autonoma da qualsiasi considerazione esterna, risultava in ultima analisi legata ad un filo, quello della nostra intuizione sulla ragionevolezza delle ipotesi di base.

È una cosa grave? I matematici di oggi pensano di no. Il programma di Hilbert ci appare come una delle tante possibili direzioni di ricerca, ma non come l’unica alternativa possibile. La matematica vive della sua plausibilità, tutti accettano gli assiomi di Peano e in particolare il principio di induzione, sono stati dimostrati alcuni teoremi finora ritenuti incredibili (il Teorema di Fermat, la congettura di Poincaré, il teorema di quattro colori, la congettura di Goldbach debole), e viviamo in un’epoca in cui la scienza e la tecnologia sono sempre più imbevute di matematica. Una matematica che si basa proprio sulle idee usate e inventate da Gödel. Se non ci fosse stato Gödel con i suoi teoremi, non avremmo probabilmente gli algoritmi di Google, il bancomat, la compressione dati dei telefoni cellulari, gli algoritmi di trattamento delle immagini mediche.

Tuttavia, certo, un piccolo dubbio rimane. Perché, se è impossibile dimostrare la consistenza dell’aritmetica, fondandosi solo sull’aritmetica stessa, ossia non si può sapere a priori che non ci saranno contraddizioni nel sistema generato dagli assiomi di Peano, rimane sempre la possibilità dell’inconsistenza. Il teorema di Gödel non la esclude, e anzi ogni tanto spunta qualche matematico convinto di aver trovato una dimostrazione di questa inconsistenza (ma finora si sono tutti sbagliati…). Basterebbe trovare una esempio, un solo esempio per far cadere tutto il castello di carte della matematica. Cambierebbe molto? In teoria sì, tutto sarebbe vero e falso allo stesso tempo, ossia tutte le affermazioni sarebbero vere, e molte nostre certezze andrebbero in fumo. Oppure no, e scopriremmo che avevamo capito male qualche cosa di veramente importante. Ma questo è il bello della ricerca matematica.

Viareggio, 17-23 agosto 2013. [Ringrazio Giuseppe “Pino” Rosolini per l’attenta rilettura e gli amichevoli consigli. Tutte le imprecisioni sono tuttavia solo farina del mio sacco].

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths!, Archimede e Comics&Science.

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