Laurent Gosse ha 42 anni, si è formato in Francia e dal 1999 lavora in Italia, prima come Postdoc all’Università dell’Aquila, poi all’Università di Pavia e poi come ricercatore confermato, dal 2002, all’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr di Bari. Con i suoi articoli scientifici, è nel top 1% mondiale per le citazioni dei suoi lavori in campo matematico.
WARNING
Questa intervista è un po’ più lunga del solito, ma abbiamo deciso di non tagliarla perché… scopritelo da soli! 😉
Buona Lettura!
Raccontaci il tuo percorso scolastico. Ti piaceva la matematica sin da piccolo? Perché? Eri considerato un giovane particolarmente dotato?
Sono andato alla scuola francese negli anni Settanta-Ottanta, un’epoca durante la quale le classi medie sognavano ancora il Cursus Honorum: Baccalaureat C, Classes Préparatoires, Grandes Ecoles. Sto parlando di persone che non avevano potuto usufruire della “prima massificazione scolare” (quella che non aveva portato ad una svalutazione dei diplomi) e che, inconsapevolmente, alimentavano la “seconda massificazione”. Mi riferisco a ciò che meglio ha spiegato il sociologo Louis Chauvel su tali argomenti. Lo stesso Alain Connes, in un’intervista alla rivista “Pour la Science” descrive anche un Zeitgeist di questo tipo. Nel mio caso particolare, l’aspetto competitivo caratteristico del sistema scolastico francese e’ stato esacerbato durante il periodo 1983-87 trascorso al “Lycée Naval de Brest”, un collegio militare dove si accedeva tramite un concorso nazionale da affrontare a 14 anni, nella più pura tradizione napoleonica! Per rispondere alla tua ultima domanda, direi che l’unica dote che ho sempre saputo di avere era una memoria piuttosto acuta.
E all’università? Quali esami hai amato di più? In quali hai ottenuto risultati migliori? Dopo il disastro alle “Classes Preparatoires” del Collegio Militare (dovuto in parte all’organizzazione interna del collegio ma anche a delle scelte arbitrarie nei programmi: chi ha voglia di leggere St-John Perse e Yukio Mishima a 18 anni?), il piccolo campus Universitario di Valenciennes si è rivelato un mondo di grande libertà … fatto anche di ragazze! Il ritmo meno frenetico permetteva di sviluppare interessi personali senza che ne soffrissero le materie da studiare. E’ durante questo periodo che, lavorando come DJ, ho assistito all’esplosione della musica elettronica prodotta in modo del tutto amatoriale (penso ad esempio a Tim Simenon), mentre stavo frequentando il Dipartimento di Informatica per partecipare ad un progetto di Ray Tracing su un VAX 3000 con altri amici, tutti programmatori appassionati. In un certo senso sono giunto alla matematica seguendo la strada della programmazione scientifica (le“immagini di sintesi”) in un epoca privilegiata durante la quale le macchine 16/32 bits permettevano ancora di imparare l’Assembler 68000, il multi-tasking ed i coprocessori stando comodamente a casa, con dei libri americani fotocopiati. Così non ho mai frequentato un solo corso di informatica durante i miei 2 primi anni di università ma ottenevo sempre il voto massimo all’esame! Dunque per i primi anni, l’informatica è stata la mia prima passione (sebbene non mi sia mai chiesto se Dio fosse dentro Unix!) dopo la musica.
Quando il gruppo di amici si è diviso, mi sono orientato verso la matematica perché era la mia materia di predilezione in “classe preparatoire”: odiavo la termodinamica, gli amplificatori operazionali ed il fatto che Mizoguchi si masturbasse ogni sera ascoltando il campanello del cane accanto mi aveva sempre lasciato indifferente. Durante il periodo “licence/maitrise” all’Università di Lille, ho ritrovato un po’ dell’ambito competitivo perché stavamo in 400 all’entrata (era il periodo delle “allocazioni insegnamento” del ministro Lionel Jospin che offriva complessivamente 70000 franchi per passare il CAPES, la parola “seconda massificazione” prende allora tutto il suo senso!) ed uscimmo in meno di 40 con la “maitrise” (la vostra laurea) 2 anni dopo. Personalmente mi piaceva molto la Geometria Differenziale, in cui ho preso il migliore voto agli esami pur sapendo bene che non sarebbe stato possibile continuare su questa strada.
Qual è stato l’argomento della tua tesi?
Per il terzo ciclo universitario, mi sono spostato a Parigi, che era soltanto a 220 km da casa mia. Ho avuto la fortuna di essere ammesso al DEA ANLA di Paris-IX Dauphine a settembre 1992 (avevo rinunciato a fare il prestigioso Magistère MMFAI all’ENS Ulm pochi anni prima) dove i professori erano eccezionali: P.-L. Lions insegnava le PDE’s, Y. Meyer le wavelets, J.P. Bourguignon l’analisi globale. Era il 1992-93 e Claude Kipnis era direttore del DEA (Diplome d’Etudes Approfondies, non esiste un equivalente in Italia) ma è venuto a mancare prima della fine dell’anno accademico, cosi ho perso la possibilità di lavorare al “laboratoire de météorologie dynamique“, che sarebbe stato un piacere per l’appassionato di windsurf che ero diventato, cosi abituato a decifrare le mappe per trovare il vento. Fortunatamente, ho incontrato Gregoire Allaire sul Forum X che mi ha subito fatto un’offerta per il “Laboratoire d’Etudes Thermiques des Réacteurs” del CEA Saclay. Il responsabile della mia tesi era Imad Toumi, ora passato ad Areva, che aveva proposto un argomento strettamente legato ai calcoli industriali ma considerato troppo semplice dall’ambito accademico. Si trattava di studiare un nuovo modo di risolvere numericamente le equazioni della fluidodinamica comprimibile, i gas per intenderci, tenendo conto dei cosiddetti termini di sorgente, quelli che nascono dalle reazioni all’interno del fluido (stavano pensando alla simulazione deitwo-phase flows liquid/vapor che accadono nei fluidi portatori di calore in regime incidentale in un impianto nucleare PWR). Chiaramente, ciò prende una risonanza totalmente diversa oggi dopo l’incidente di Fukushima sebbene i reattori lì fossero di tipo BWR, una tecnologia meno costosa. Ricordo ancora un Professore famoso dichiarare: “dopo tutto, i termini sorgenti non sono altro che una perturbazione di ordine zero della soluzione omogenea”… Un’opinione che si e’ rivelata cosi sbagliata nel corso del tempo!
Quando, e come, hai capito di voler fare della matematica il tuo mestiere? Non credo che, a parte per una piccola élite privilegiata, le cose procedano in questo modo: nella vita si fa ciò che si può fare e basta. Ho finito la tesi di dottorato a settembre 1997 dopo 35 mesi di finanziamento ed un’interruzione di 10 mesi per il Servizio Nazionale nel 1994-1995. Non si parlava allora di disoccupazione per questi alti diplomi, ma i danni delle privatizzazioni iniziavano a farsi sentire lentamente. La gente diventava più ansiosa per i concorsi di “Maitre de Conférences” (il vostro posto di ricercatore all’università) e nonostante le offerte di posizioni Postdoc TMR (Training and Mobility of Researchers) nell’Unione Europea, il desiderio di “sistemarsi” (una parola italiana che dobbiamo assolutamente includere nella nostra lingua!) cresceva sempre di più. Dopo la tesi, il mio Direttore mi ha consigliato di partire per questa struttura: dico, francamente, che non lo rifarei MAI! Queste strutture si sono rivelate macchine terribili volte alla fabbricazione di precari e mi ritengo molto fortunato di aver potuto, dopo 5 anni di precarietà (niente quotizzazioni alla pensione, a volte niente contratti di lavoro e pagamenti “mano a mano” …), entrare in un istituto pubblico nel 2002. Ciò detto, ancora una volta, bisogna assolutamente relativizzare il peso delle scelte personali con quello delle circostanze e del contesto socio-economico.
Descrivici il campo dei tuoi studi attuali: cosa studi attualmente e quali sono le sue ricadute pratiche? E’ difficilissimo risponderti: e’ un po’ (tenendo conto di tutte le proporzioni) come chiedere a Richard Wagner di spiegare la sua tetralogia in poche parole (certe lingue cattive dicono che Tolkien l’ha fatto in 3 volumi!). Ti posso dire che la mia ricerca adesso si concentra su 2 punti particolari:
-l’estensione delle tecniche numeriche sviluppate che sulle equazioni fluidodinamiche con sorgente, che prendono il nome di “schemi well-balanced” (ben bilanciati, perché bilanciano
perfettamente il contributo del trasporto con quello del termine di reazione), a una nuova classe di equazioni. Si tratta delle equazioni cinetiche collisionali con velocità continue, che includono tutti i modelli lineari o debolmente non-lineari del tipo Equazioni di Boltzmann. Ad esempio, l’equazione dei semi-conduttori, la dinamica delle cellule mosse da stimoli chimici, i modelli gravitazionali di gas stellari, o anche semplicemente il trasporto di massa o di calore.
– dare un piccolo contributo al settore del Compressed Sensing (acquisizione compressa di dati), sfruttando il fatto che non risulta così difficile dimostrare la proprietà isometrica ristretta di certe matrici di dati,le cui colonne contengono le componenti di certe basi ortogonali (si parla di structured sensing matrices). Le funzioni Prolate ne costituiscono che un caso particolare; Holger Rauhut e Rachel Ward hanno dato bei contributi in questo campo.
Per quanto riguarda le applicazioni concrete, penso per esempio a una bellissima estensione di uno schema well-balancedoriginalmente fatto per il sistema detto di Cattaneo, reali
zzato in collaborazione con Giuseppe Toscani quando ero TMR postdoc a Pavia. Questa estensione multi-dimensionale, fatta dai colleghi Buet, Despres e Franck in questo articolo, potrebbe un giorno risultare utile nell’impianto ITER, il progetto di impianto per la fusione nucleare attualmente in costruzione nel sud della Francia.
Ricordi qual è stato il primo lavoro scientifico che hai affrontato quando sei diventato “professionista”della matematica e quanti anni avevi?
E’ quasi impossibile risponderti a meno di avere più precisioni sul termine “professionista”. Ero sotto contratto a durata determinata al CEA quando facevo il dottorato: ero
già matematico professionista ? Probabilmente no. Quando ero TMR Postdoc (capire “precario”), non mi sarebbe passato per la testa di considerarmi professionista perché potevo uscire del circuito (come è capitato a tanti altri) dal giorno all’indomani. Mi sono sentito professionista a 33 anni quando ho avuto il posto permanente, nel 2002, 5 anni dopo aver avuto il dottorato di ricerca, ma li, avevo già pubblicato una decina di articoli su rivistepeer-reviewed.
Sei diventato ricercatore CNR a 33 anni e sei nel top 1% mondiale delle citazioni. Esistono consigli che puoi dare a un giovane, oggi, per raggiungere risultati simili, e così velocemente? Allora, la risposta a questa domanda è facile, perché David Donoho l’ha già data: ogni giovane ricercatore deve leggere la sua opinione che si trova a questo link. Questo ricercatore eccezionale dimostra una grande umiltà quando spiega il suo how to. Io non posso che provare a imitare il suo talento nello spiegare la mia esperienza. Le mie citazioni provengono soprattutto da pochi articoli, quei 2 o 3 che trattano daglischemiwell-balanced per le equazioni con sorgente ed un paio di altri dedicati all’ottica geometrica.
La ricetta è piuttosto semplice: si deve beccare un argomento molto fertile, provare a essere in situazione di“monopolio” e sempre mantenere un margine di anticipo sugli altri. Più facile dirsi che farsi! Chiaramente, i datori di lavoro hanno un ruolo di prima importanza (ritornerò a questo punto con la tua domanda sulla Medaglia Fields) perché tocca a loro dare il soggetto di ricerca. Io ho avuto la “fortuna” (metto le virgolette e dirò perché dopo) di poter realizzare questo programma al meno due volte di seguito. Una bellissima fonte di problemi fertili è l’ambito industriale, nel mio caso il CEA Saclay. L’altra fonte è stata il gruppo di professori al IACM di Heraklion che mi ha portato verso l’ottica geometrica per i miei 2 primi anni di postdoc TMR (tra l’altro non ero stato capace di concludere niente quando sono andato via).
Ho messo quelle virgolette perché quando uno lavora su un soggetto cosi fuori dal mainstream, può capitare di veder passare un lungo tempo senza che nessuno ci si soffermi. Ho già raccontato che diversi professori dicevano pubblicamente che l’argomento dei “termini sorgenti” non aveva nessun interesse matematico! Evidentemente, essendo più maturo oggi, mi godo questi periodi durante i quali posso sviluppare i miei algoritmi senza nessun rischio di concorrenza esterna, pero può risultare una difficoltà quando si devono trovare contratti a tempo determinato anno dopo anno. Certi referees possono essere particolarmente aggressivi nei confronti di un paper sottomesso su un argomento considerato cosi borderline.
Voglio finire con un messaggio rivolto ai giovani lettori: su alcuni dei miei papers più citati, ho ricevuto referee’s reports spaventosi, e alcuni sono stati rifiutati da diversi editori. E’ importante tenere in mente che ilrefereeing process può a volte esprimere la voce delladoxa la più conformista e che il nome di un co-autore famoso può aiutare molto: dettagli si possono ricavare da questo articolo.
Ci racconti qual è il risultato scientifico che hai conseguito di cui sei più fiero?
La maggioranza delle persone potrebbe rispondere “quello che non ho ancora scritto”. Ma ti darò una risposta più personale: a me importa soprattutto “l’istante di comprensione”, questo “AHA!” che segnala che la difficoltà e’ stata superata. Senza paragonarmi ad una persona del suo calibro, Henri Poincaré ne parla molto bene quando racconta come ha visto, tutto di un colpo, le funzioni “fushiane” mentre saliva sul tram… E’ vero ciò che Laurent Schwartz chiama la “percolazione” del mestiere della ricerca: si pensa tantissimo a certe cose, c’è il pericolo della disperazione perché non si fa mai un bel passo in avanti, ci sono le false speranze che si rivelano dei veri errori, e poi c’è l’illuminazione imprevedibile, con la scarica di adrenalina concomitante ed il sudore che ti bagna la camicia quando “vedi” il trucco magico. La disperazione può anche tornare perché a volte si pensa pure: “ma e’ cosi semplice, come mai non ci ho pensato prima ?”. Alla fine, facciamo un mestiere di maniaco-depressivi!
Di esempi te ne potrei dare diversi: durante la mia tesi, stavo sul treno RER che portava a Saclay quando ho capito come si doveva regolarizzare un termine ambiguo che bloccava completamente la comprensione di un sistema di equazioni alle derivate parziali. Quando abbiamo lavorato con Peter Markowich sull’approssimazione semi-classica dell’equazione di Schrodinger nei cristalli, si doveva fare uno schema numerico per un sistema iperbolico per il quale la funzione di flusso era sconosciuta! Ho capito come fare facendo la spesa di Natale in mezzo al supermercato.
Molto spesso a scuola, a volte viene data un’idea della matematica come di una disciplina “vecchia”, ammuffita, in sostanza morta. Tu che sei un matematico che la matematica la “fa” ci spieghi se la matematica è in viva e in salute? Si, la matematica può anche essere in piena salute, ma non è cosi ovvio. Se vai a paragonare i lavori pubblicati nei anni 1960/70 (sto pensando ai papers di Slepian, Pollak, Case, Zweifel, Cercignani, Siewert, per prendere degli esempi concreti sui quali ho lavorato personalmente), puoi percepire a quale punto una deriva eccessivamente teorica e tecnica c’è stata negli anni 1990/2000. I vecchi articoli sono stati scritti con lo scopo di far passare un’idea al lettore, per convincerlo che un modo molto concreto per risolvere problema che via via affrontavano esiste perché è stato scoperto dagli autori stessi. E’ molto interessante anche rileggere oggi ilpaper di John Nash dentro il quale introduce il metodo, ormai banale, delle “stime a priori”. Invece adesso, ti ritrovi a volte con dei testi illeggibili che mirano unicamente a fare un curriculum da presentare al concorso di avanzamento di carriera. Li ancora, non si può fare a meno del contesto socio-economico.
Ma c’è anche un’altra dimensione al problema della disciplina percepita come “vecchia”, ed in un certo senso, quell’aggettivo e’ anche giusto. La matematica e’ un’arte difficile, un po’ come il violino (pensiamo alle ore dedicate da una solista di altissimo livello come Hillary Hahn) o le arti marziali, che richiedono tantissime ore di sforzi per impadronirsene. Invece viviamo ormai nella società del “tutto e subito” ben descritta dallo scrittore Philippe Muray (col suo homo festivus) ma anche dalle finzioni hollywoodiane come “Genio ribelle”. Sempre più grande e’ la parte di gente che diventa allergica allo sforzo intellettuale e alle mediazioni di qualsiasi tipo: da questo Zeitgeist un po’ decadente proviene anche il fascino per i reality televisivi, che rappresentano oggi un circuito parallelo (e nettamente meno impegnativo delle lezioni di trigonometria, per riprendere una battuta di Story of my life di Jay McInerney) e di rapido successo sociale. Dunque, in questo senso, la percezione della “vecchiaia” della matematica non e’ del tutto sbagliata … Invece e’ sbagliato pensare che quest’opinione negativa valga esclusivamente per la nostra scienza: quante persone possono immaginare le ore di lavoro che ci vogliono per raggiungere la maestrìa di un Giorgio Armani o di un Domenico Dolce? A volte chiamo questo stato di mente infantile la “sindrome Amadeus-Forman”, perché il Mozart di questo film e’ ben lontano del vero genio musicista, che soffriva probabilmente della sindrome di Asperger. Prenderò un altro esempio hollywoodiano: una parte del personale del film Black Swan ha avuto tante difficoltà a far passare il messaggio che non si può “fabbricare una vera ballerina in un anno e mezzo” e che Natalie Portman doveva assolutamente essere sostituita (da Sarah Lane, una vera professionista dell’American Ballet Theater) per certe scene. Tra l’altro, non vi consiglio di andare a vedere quel film!
Tu sei un caso di cervello ‘in entrata’: dalla Francia sei arrivato qui in Italia. Puoi fare un confronto fra il sistema universitario italiano e quello francese, circa le politiche tenute con i giovani matematici, e darci una tua opinione? Io sono espatriato perché una persona potente ha distrutto la mia carriera in Francia per delle ragioni che non si spiegano ancora adesso. Ho già detto che sono caduto nella trappola dei “postdocs TMR” dell’UE, che significava una lenta deriva verso la precarietà (con dei contratti a durata sempre più breve) del lavoro ad alto livello di qualificazione (generalmente quelli che ne parlano bene non ne hanno grande esperienza sul campo!) ben sfruttata da certi professori senza scrupoli che ti affittano un loro appartamento subito dopo averti fatto firmare il contratto. Dopo 2 anni ad Heraklion, mi sono trasferito all’Aquila, poi a Roma, poi a Pavia, per alla fine vincere il concorso al CNR a Bari. Alla tua domanda ho già quasi risposto precedentemente; mi permetto soltanto un piccolo commento sul sistema francese ripetendo una bella citazione “Gli Anglo-Americani hanno capito che un piccolo studente di storia dell’Arte può a volte diventare Lawrence d’Arabia, invece i Francesi non lo capiranno mai“. Ora in Francia, abbiamo un sistema super-elitario che considera gli innumerevoli danni collaterali (tra i quali mi sono trovato anni fa!) come un “costo ragionevole” (e’ un tema ricorrente nella nostra cultura, che si ritrova ben illustrato ad esempio in “Citadelle” di A. Di St-Exupery). Ciò ci permette di fare un brain drain dei giovani più dotati scientificamente esattamente come gli USA lo facevano grazie a degli stipendi più elevati. Noi siamo in grado di proporre il prestigio delle nostre “Grandes Ecoles” dove i cugini dall’altra parte dell’oceano propongono la fiat money con lo scopo di portarsi a casa il futuro potenziale di una nazione meno ben preparata. Una tale competizione aperta e globale (del tipo che difende Georges Soros alla fine del suo libro “l’Alchimia della Finanza” e con le sue fondazioni) non farà che esacerbare le disuguaglianze tra diverse aree del mondo (esattamente come il free tradedistrugge inevitabilmente le possibilità di mantenere un welfare state).
La medaglia Fields viene assegnata a giovani matematici particolarmente brillanti che abbiano meno di quarant’anni. Molto spesso si pensa che un matematico esprima tutte le sue migliori energie creative e intellettuali entro i 40 anni. Condividi questa visione?
Basta dire che Andrew Wiles e’ stato escluso per ragione di età per intuire che un problema probabilmente esiste. Io penso che forse c’è una confusione sulla Medaglia Fields: in sintonia con la società aperta e competitiva di oggi del tipo di quella di G. Soros, percepisco la medaglia come una competizione, un po’ come un boardercross di snowboard quando butti 4 concorrenti nel pipe e vince il primo arrivato. C’è una bella battaglia, un bello spettacolo, ma alla fine le regole fanno sì che, sebbene il nome del vincitore non si può conoscere in anticipo, delle caratteristiche del suo profilo si possono già indovinare. Per vincere un boardercross, non puoi che essere un po’ massiccio, sennò sarai eliminato dagli altri concorrenti al passaggio delle porte strette dove occorre spesso un po’ di rissa. Lo stesso, per vincere la Medaglia Fields con la barriera dei 40 anni, devi aver seguito ilCursus Honorum, aver lavorato sempre con i migliori nei posti più all’avanguardia. Questo significa che non c’è posto per dei profili un po’ atipici …
Detto questo, non intendo negare il grande merito dei vincitori: miro unicamente a sottolineare che questo tipo di regola ha come conseguenza di confinare statisticamente i potenziali vincitori all’interno di una certa sotto-classe ben identificata di popolazione dove un certo tipo di percorso professionale risulta più probabile. Ogni competitore sa bene che cambiando le regole, si cambia generalmente il risultato finale. Le opportune naturalizzazioni di ultimo minuto per assicurarsi di una bella classifica nazionale entrano anche bene in questo quadro generale.
Personalmente, mi sento molto più creativo oggi a 42 anni rispetto a 10 anni fa. Ma non mi sono mai posto il problema della Medaglia Fields (che vedo piuttosto come una specie di show-business scientifico): a 20 anni ero più felice lavorando in discoteca che se avessi dovuto imparare i spazi di Hilbert. A 30 anni, un bel ricordo e’ di aver fatto l’andata-ritorno Paros-Naxos con altri surfisti durante un bel giorno ventoso di agosto 1999. Se vuoi vincere l’altissimo livello, sicuramente non puoi prendere il tempo a vivere armoniosamente. Gli esempi famosi dei atleti francesi come Laure Manaudou illustrano bene il concetto.
Che cosa può avere di interessante la matematica per un giovane moderno? Questa ultima domanda mi mette un pochino in imbarazzo perché mi chiedi un’opinione su un lavoro tipicamentemiddle class in una società che sembra aver progettato di annientare la middle class per trasformarsi in una specie di Venezia (o di Monte-Carlo) gigante, un museo all’aria aperta per ricchi happy few (il mondo dei ultimi film di Woody Allen). Oltretutto, ad un livello “macro”, la nostra professione non ha visto venire, né gli eccessi della finanza matematica, né le turpitudini che sono uscite dal Climategate(vedere comunque il libro di Benoît Rittaud). Buttarsi sulla matematica a 13 anni al giorno d’oggi significa uscire fuori dal circuito promosso dai mass media continuamente. Oltre agli aspetti di sicurezza del lavoro legati al posto statale (sebbene le difficoltà dell’Italia sui bond markets diventeranno presto un ostacolo serio per finanziare questi posti) ma non specifici alla scienza matematica (infatti vale per qualsiasi lavoro universitario), vorrei riposizionare la tua domanda in un contesto socio-economico più generale.
La parte occidentale dell’Unione Europea e’ ormai diventata una società rapidamente invecchiata, economicamente in deflazione, con dei tassi d’interesse reali positivi, ciò significa concretamente che un detentore di capitale si arricchisce non facendo NIENTE (J.-P, Chevennement, un politico francese ha dichiarato che “l’Euro e’ diventato il Mark CFA”, il Franc CFA era la moneta che l’impero Francese aveva imposto nelle sue colonie africane). Siamo esattamente nella situazione che J.-M. Keynes aveva provato al massimo di evitare, cioè una concentrazione eccessiva del capitale ai posti dove risulta inutile per la maggioranza della società, la speculazione borsista (questo aspetto e’ spiegato perfettamente da Paul Jorion) con i suoi bisogni fasulli di “liquidità” che invece crea instabilità e rischio. Intanto, gli stipendi si adeguano alla concorrenza asiatica ed ormai, il trucco dell’indebitamento eccessivo delle classi lavorative si e’ esaurito nella crisi bancaria del 2008: la ricercatrice Elisabeth Warren ha fatto delle bellissime conferenze free access su questo argomento. Un’altra parte del capitale e’ stata investita nell’immobiliare, il settore più inutile per una società volta verso l’innovazione scientifica ma percepito come critico dalla gerontocrazia e anche dai suoi giovani eredi (cf. l’esempio dellefiction tipo Gossip Girl, elaborate direttamente da agenzie di comunicazione specializzate e ben analizzate dal punto di vista sociologico da Mona Chollet).
Dunque bisogna impregnarsi dell’idea spiacevole che nella società occidentale come evolve adesso, la matematica risulta sfortunatamente ben poco utile, esattamente come le altre discipline scientifiche che non a caso vengono trascurate dai politici eletti, ben collegati alla vox populi. Delle persone del calibro di Louis Chauvel, Emmanuel Todd o Philippe Even spiegano bene che la ripartizione demografica attuale (e la ripartizione capitalistica che ne risulta) non e’ per niente quella di una società che avrebbe portato l’uomo sulla Luna! Ormai, si pensa maggiormente al corto termine (come si fa ad una certa età) e si vota per il candidato che promette di abbassare le tasse sulla seconda casa al mare!
Siamo di fronte a 2 problemi gravi: il disequilibrio demografico che introduce un bias nelle elezioni a favore dei pensionati baby-boomers (i quali hanno potuto godersi l”inflazione stipendiale dei anni ’70), ed una grossa reinterpretazione del concetto di Adam Smith. la “mano invisibile” (tra l’altro molto più marginale nella sua opera che lo pretendono certe persone). Per illustrare le ultime mie frasi di questainterview, ti allego una sua citazione ripresa dalla “Ricchezza delle nazioni”, che dimostra chiaramente quanto e’ stato falsificato il suo pensiero dagli allievi di Milton Friedman e della Scuola di Chicago: “A parità o quasi di profitti, quindi, ogni individuo è naturalmente incline a impiegare il suo capitale in modo tale che offra probabilmente il massimo sostegno all’attività produttiva interna e dia un reddito e un’occupazioneal massimo numero di persone del suo paese. […] Quando preferisceil sostegno all’attività produttiva del suo paese […] egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni” (sottolineato da me).
Ciò e’ molto diverso dai discorsi televisivi sulla cosidetta “mano invisibile” che mirano a giustificare della pauperizzazione delle nazioni sviluppate tramite delocalizzazioni esterne, dark pools, e circuiti opachi attraverso paradisi fiscali accomodanti … Noi, ricercatori, viviamo maggiormentedelle tasse pagate dai cittadini. Più c’è disoccupazione, precarietà, stipendi bassi ed evasione fiscale, meno ci saranno posti. E non posso prendermi la libertà di nascondere questa realtà ad un giovane lettore!