Il giorno giovedì 7 luglio 2016 si è tenuto a Roma nella sede del MIUR un incontro nel quale i vertici dell’INVALSI hanno presentato i risultati delle ultime prove di rilevazione delle competenze degli studenti di ogni livello scolastico. Ce ne parla Roberto Tortora, Presidente della CIIM (Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica).
All’incontro presso il MIUR hanno partecipato le più alte cariche politiche, cioè la Ministra Stefania Giannini e il Sottosegretario Davide Faraone. La loro presenza non è stata rituale, a testimonianza dell’importanza che viene attribuita dai vertici istituzionali a queste prove. L’incontro, coordinato dal Direttore Generale INVALSI Paolo Mazzoli, oltre agli interventi dei politici e di altri esponenti istituzionali di alto livello (Carmela Palumbo, Direttore Generale del MIUR per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale, e Anna Maria Ajello, Presidente INVALSI), è stato incentrato sull’ampia relazione di Roberto Ricci, Responsabile dell’Area Prove dell’INVALSI. Il folto pubblico, composto soprattutto da insegnanti coinvolti a vario titolo nelle attività dell’INVALSI e da rappresentanti di varie associazioni collegate al mondo della scuola, è apparso molto attento e interessato e ha partecipato con significativi interventi al dibattito.
Una prima questione è stata subito posta sul tappeto dal Sottosegretario, e riguarda l’intenzione del governo di escludere la prova INVALSI prevista al terzo anno della scuola secondaria inferiore dalle prove che costituiscono l’attuale “esame di licenza media”. Evidentemente ha fatto breccia nell’ambiente della politica la notevole pressione dei molti che vi avevano visto una forzatura o meglio un travisamento di scopi (rilevamento della qualità delle scuole vs. valutazione del profitto degli studenti). Certamente di una questione di principio si tratta, anche perché nella relazione di Ricci è stato osservato che nell’ultimo anno l’influenza di questa prova sul voto di licenza media degli studenti italiani è stata del tutto trascurabile: precisamente nel 91% dei casi questo voto non ha subito alcuna modifica a causa del risultato della prova INVALSI, mentre nel 5% dei casi il voto è risultato aumentato di un punto e nel restante 4% diminuito di un punto: in definitiva un ruolo irrilevante. Da notare anche che in diversi interventi del pubblico presente sono stati espressi pareri favorevoli all’uso valutativo della prova.
La questione forse più rilevante di cui si è parlato nella giornata romana, contenuta e illustrata all’interno della relazione del dott. Ricci, è stata l’individuazione di una nozione assai significativa, definita “valore aggiunto”. Occorre forse precisare, per render un po’ meglio l’idea della presentazione a cui abbiamo assistito, che in tale relazione sono state offerte al pubblico un gran numero di tabelle statistiche contenenti confronti e distinzioni assai raffinate (qualcuno, un po’ per gioco un po’ sul serio, ha parlato di “effetti speciali”). Dunque, che cosa è il valore aggiunto, che l’INVALSI dichiara di poter accuratamente misurare? Si tratta in sostanza di riuscire a separare, nella valutazione di ogni singola scuola, l’apporto proprio della scuola ai risultati ottenuti dai suoi studenti, dai fattori esogeni (individuali e sociali), sui quali la scuola può intervenire in misura assai limitata o che addirittura esulano da ogni possibile suo controllo. Questa separazione permette dunque di registrare ad esempio un valore aggiunto alto di una scuola anche in presenza di valori medi bassi degli studenti, dovuti magari a fattori ambientali. La tecnica per arrivare a questa misurazione consiste nel calcolare l’incremento dei risultati degli stessi studenti prima e dopo la frequenza in quella scuola. Indubbiamente la capacità di rilevare ed usare questi dati configura una abilità notevole, anche se qualcuno potrebbe ritenere inquietante il fatto che l’identità dei ragazzi sia rintracciabile anche col passare degli anni.
Ciò detto, appare abbastanza convincente la riclassificazione della scuole che se ne ricava, nella quale viene superato e ridimensionato il consueto divario tra scuole del sud e del nord (ad esempio, la scuola prima della classe in Italia è risultata essere una di Catania), naturalmente introducendo però altre classifiche di buoni e cattivi. C’è stato ampio consenso su questa novità introdotta dall’INVALSI e tutto lascia intendere che prevalentemente su questo dato si giocheranno i prossimi finanziamenti alle scuole.
Dall’intervento finale di Giannini trapela infine l’intenzione di affidare nel futuro all’INVALSI nuovi incarichi che configurano poteri sempre più ampi: in particolare la Ministra ha parlato della questione della certificazione delle conoscenze di lingua straniera, che potrebbe essere affidata all’ente.
Le precedenti mi sono sembrate le più significative tra le cose ascoltate. Ma nello stesso tempo mi ha anche colpito un’assenza. Nella relazione e in tutti gli altri interventi si è fatto un gran parlare di valori sopra e sotto la media, di distribuzioni, di varianza: dove sembrava che diminuire la varianza dei dati fosse l’obiettivo massimo o forse unico, obiettivo identificato con equità, pari opportunità, ed altri simili nobili concetti. Nessuno invece m’è sembrato si occupasse e preoccupasse di capire se quel valore medio intorno al quale, inamovibile come un totem, si posizionano i diversi risultati, sia poi esso stesso adeguato, se corrisponda alle “Indicazioni Nazionali”, o agli standard internazionali o ad altri parametri identificati ad esempio dalla ricerca scientifica. E’ ben noto che la questione è complessa e controversa, ma è troppo attendersi che un ente come l’INVALSI ponga comunque questo aspetto al centro della propria attenzione? Colpisce soprattutto che nessuno citi come obiettivo quello di alzare comunque questa media, alta o bassa che sia. Forse non ci vuol molto a capire che l’obiettivo vero non può essere quello di sostituire ad una distribuzione di risultati un’altra che sia alternativa ad essa e magari più piatta, in un clima da competizione. Quello che ogni scuola, e direi ogni cittadino italiano, vorrebbe è invece il miglioramento di tutti, sia quelli che partono svantaggiati per ragioni varie, sia quelli che possono gareggiare a livelli di eccellenza.
E’ lecito sospettare che questa assenza non sia casuale. Sia perché la telenovela nord/sud, buoni/cattivi appassiona l’uditorio assai più dell’oscuro lavoro quotidiano che serve a far andar meglio l’intera baracca, sia soprattutto (ahinoi) perché correggere la varianza costa poco e alzare la media costa molto. Se allora il problema è quello della spesa, si vorrebbe almeno che la cosa fosse dichiarata apertis verbis.
A questo aspetto critico, mi sembra infine che si accompagni la circostanza che un ente come l’INVALSI venga ad ogni pié sospinto descritto come ente di ricerca. Lo fanno i suoi vertici e lo fa il Ministro. Nell’intervento di Ajello ad esempio si sottolinea molto il ruolo giocato dall’istituto e dalle sue attività nella promozione del miglioramento delle conoscenze e competenze degli studenti.
Ritengo che in questo possano adombrarsi due pericoli seri, tra loro connessi, e collegati anche alle questioni finanziarie toccate sopra. Il primo è la tendenza ad appiattire la ricerca didattica sulla docimologia, che ne è una componente, ma neppure la più importante. Come se dai risultati INVALSI e in generale da una buona capacità di valutazione ci avviassimo a far dipendere piano piano, ma sempre di più, giudizi sulla qualità dell’insegnamento e sui modi della formazione insegnanti. Il secondo pericolo consiste nella progressiva sostituzione dell’ente di ricerca per antonomasia che è l’università con agenzie improntate a tutt’altre organizzazione e finalità. Questo fenomeno è già in atto in molte forme e in molti settori (vedi ad esempio la spinosissima questione del modo come vengono distribuiti i finanziamenti alla ricerca, e vedi il potere amplissimo che viene conferito ad un’agenzia come l’ANVUR), e secondo me se ne coglie anche qui un evidente segno. Il fatto è che l’INVALSI risponde alle richieste dell’esecutivo e ne attua fedelmente le disposizioni, mentre l’università è un corpo democratico e autonomo.
Roberto Tortora
Università degli Studi di Napoli Federico II
Membro dell’UMI (Unione Matematica Italiana)
e Presidente della CIIM (Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica)