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Si parte sempre dalle linee dritte. Ma, a un certo punto, c’è bisogno di curve e curvature…

Tutto parte dalle linee dritte. Un tronco di un albero, le dita delle mani… Persino quando si impara a scrivere, si inizia dalle linee dritte. Ma con una singola linea dritta non si conclude molto, e arriva il momento in cui si sente il bisogno di chiudere il cerchio. Per racchiudere un terreno, occorre cambiare direzione e, a ben vedere, basta curvare sempre nella stessa direzione.

Nascono in questo modo i cerchi, ma anche i triangoli, i quadrati, i pentagoni e così via. Tutte regioni delimitate da un confine che cambia direzione, sempre nello stesso verso, cioè, come si dice tra i matematici, regioni convesse. Il mondo è pieno di convessità sia nel senso geometrico che in un senso più generale. Le direzioni cambiano ma, in molte occasioni, cambiano sempre nello stesso verso.

Una mela che cade ha una velocità che cambia, e cambia sempre nella stessa direzione, di conseguenza in intervalli di tempo uguali, percorre distanze sempre crescenti. La sua dinamica quindi è ben lungi dall’essere un moto rettilineo uniforme (come notò Newton qualche secolo fa). I soldi depositati in un libretto di risparmi variano grazie agli interessi e variano sempre nella stessa direzione, perché più aumenta il capitale e più l’interesse maturato a fine anno aumenta.

Se non fosse che gli interessi sono in genere così bassi, ci accorgeremmo direttamente della convessità del nostro conto. La convessità supera, in qualche senso, la monotonia della linea retta, introducendo nuove forme e nuove possibili direzioni di cambiamento.

Se il concetto di convessità è davvero tanto universale, allora occorre una definizione che ne espliciti le caratteristiche. E ne esistono varie che, in un modo o nell’altro, sono equivalenti tra loro. Possiamo, ad esempio, affermare che un terreno, che immaginiamo circondato da un muro alto più di qualsiasi essere umano, è convesso se due persone che si trovano al suo interno di questo possono guardarsi negli occhi indipendentemente dal punto in cui si trovano.

In termini geometrici, si richiede che tutti i segmenti che collegano due punti dell’insieme siano interamente contenuti nell’insieme stesso. Pensate ad un poligono regolare o all’interno di un’ellisse.

Di una seconda maniera per precisare la nozione di convesso si è già detto. Immaginiamo di voler delimitare un terreno con una rete di recinzione: se per tirare tale rete ci troviamo costretti a dover ruotare sempre nella stessa direzione, il terreno è convesso. Precisare l’equivalenza tra le due formulazioni proposte è roba che richiede il rigore del linguaggio matematico.

Ci si può domandare come mai la nozione di convessità, così tipicamente geometrica, abbia invaso così tanti ambiti scientifici e tecnologici che di geometrico hanno ben poco. Uno dei motivi è nascosto dietro la proprietà di convessità di cui si diceva prima. Il fatto che negli oggetti convessi la direzione di curvatura sia sempre la stessa si traduce nella proprietà che ciò che decresce in una certa regione e cresce in un’altra deve necessariamente avere un punto di transizione tra i due comportamenti, cioè debba ammettere un minimo (o un massimo). Tutte le volte quindi che si è alla ricerca del “miglior risultato possibile” (come nel caso dell’ottimizzazione), la convessità risulta essere un elemento determinante per la soluzione del problema.

Appare così, spontaneamente, un sorriso di soddisfazione sul volto del solutore che, anche lui a suo modo, è una forma di convessità.

 

Corrado Mascia

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