Giovedì 6 luglio, presso la Sala Comunicazione del MIUR, è stato presentato il Rapporto Nazionale delle prove INVALSI 2017. Pietro Di Martino è andato e ci riporta le sue impressioni.
Giovedì 6 luglio, presso la Sala Comunicazione del MIUR, è stato presentato il Rapporto Nazionale delle prove INVALSI 2017. L’appuntamento è significativo per più motivi. Dal punto di vista formale testimonia da una parte la volontà di INVALSI (rappresentato ai massimi livelli da Presidente, Responsabile area prove e Direttore Generale) di comunicare i frutti del proprio lavoro sia in termini di prove che di analisi dei risultati e dall’altra l’attenzione del Ministero (anch’esso rappresentato sia politicamente che tecnicamente ai massimi livelli) a quanto INVALSI fa e ha da dire.
Un aspetto sicuramente importante, per cui INVALSI si impegna molto, è quello di far uscire la documentazione relativa ai risultati in tempi molto brevi (anche considerando la grosse mole di lavoro che la stesura della documentazione comporta) e di renderla disponibile a tutti: si possono infatti già trovare sul sito INVALSI sia il Rapporto Tecnico che il Rapporto Risultati.
Tali documenti sono ricchi di dati elaborati e sono sicuramente interessantissimi per chi si occupa del sistema scuola nel suo complesso, ma forse per l’insegnante che vuole riflettere sulla prova che i suoi studenti hanno sostenuto, i documenti più interessanti sono le guide alla correzione e soprattutto le guide alla lettura delle prove, sempre prodotti da INVALSI. Tali guide offrono infatti la descrizione di ogni domanda accompagnata da un commento su cosa – secondo il team INVALSI – mette in gioco la domanda, il legame esplicito con obiettivi e traguardi delle Indicazioni, e le possibili strategie di azione degli studenti. Offrono quindi spunti preziosi all’insegnante, che può riflettere criticamente a partire dall’analisi proposta da INVALSI.
Dal punto di vista sostanziale, oltre a permettere di conoscere i risultati dell’anno scolastico terminato, l’appuntamento è l’occasione per conoscere le novità previste per il sistema nazionale di valutazione. Novità particolarmente interessanti quest’anno a seguito dell’uscita del decreto legislativo 62 del 13 aprile 2017 “Valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato nel primo e secondo ciclo” (decreto delega sulla valutazione alla legge 107/15 conosciuta anche come “Buona Scuola”).
Per quanto riguarda i risultati (sia per l’italiano che per la matematica) gli aspetti più rilevanti emersi sono stati riassunti da Roberto Ricci (di cui è possibile consultare la presentazione). Riporto, senza aggiungere troppi commenti, quelli che ritengo essere gli aspetti più significativi:
- Una forte riduzione delle astensioni in tutti i gradi scolastici e in tutto il Paese (nonostante in alcune Regioni il fenomeno rimanga significativo);
- Una forte riduzione del fenomeno del cheating anche in questo caso in tutto il Paese, seppur con Regioni per le quali il fenomeno è ancora (statisticamente) significativo;
- Un persistere (preoccupante) di differenze significative di risultati tra aree del nostro Paese;
- Un interessante fenomeno per cui in Matematica, a livello di scuola secondaria di secondo grado, i risultati degli Istituti Tecnici sono spesso comparabili a quelli dei Licei.
Per quanto riguarda le novità, ce ne sono diverse, molte delle quali previste nel già citato Decreto 62 del 13 aprile 2017: l’uscita della prova dall’Esame di Stato di terza secondaria di primo grado; la sua introduzione anche a livello 13 (quinta secondaria di secondo grado) con l’obbligatorietà della partecipazione alla prova per l’ammissione agli esami di terza media e di maturità; l’introduzione (per alcuni livelli) della prova INVALSI d’inglese.
Un’altra novità importantissima è il passaggio della rilevazione da cartacea a computer-based. Questa novità ha richiesto e richiederà sicuramente grossi sforzi ad INVALSI e porta con sé diversi benefici, primo tra tutti la riduzione del carico di lavoro per gli insegnanti relativo alla correzione delle prove. È però importante sottolineare come tale novità non abbia effetti solo organizzativi (positivi sicuramente), ma in qualche modo possa incidere sulle performance degli studenti. Il problema comincia ad essere studiato (recentemente all’Università degli Studi di Palermo è stata presentata una tesi di dottorato proprio su questo argomento dalla dott.ssa Lemmo) e per i ricercatori è particolarmente rilevante. Dal punto di vista della restituzione dei dati credo che, proprio per questa influenza, il prossimo anno debba essere considerato come una sorta di anno 0, prendendo con le molle confronti di risultato con gli anni precedenti.
Tutte queste novità segnalano sia l’impegno di chi lavora in INVALSI a migliorarsi (da questo punto di vista è evidente il miglioramento continuo delle prove) e rispondere ad alcune criticità emerse dal basso (come ad esempio il carico di lavoro relativo alla correzione), sia la crescente attenzione data dal MIUR alla rilevazione di sistema c(on un allargamento sia rispetto alle discipline coinvolte che ai livelli scolari oggetto di monitoraggio). Attenzione politica che è sicuramente un fatto importante sia nella direzione di creare e coltivare una cultura della valutazione nel nostro Paese, sia in quella di fare in modo che l’enorme lavoro (di qualità) a monte delle prove alimenti riflessioni educative che incidano positivamente sulla didattica.
Attenzione che però deve, a mio avviso, partire da due consapevolezze: la consapevolezza della complessità della valutazione e la consapevolezza che valutazione di sistema e individuale sono completamente distinte!
Queste due consapevolezze devono servire a delineare con chiarezza cosa possono dire i risultati di una valutazione di sistema, ma anche cosa NON possono dire. Non marcare bene questo confine e dare sempre più compiti diagnostici alle prove è secondo me un errore enorme, da evitare in tutti i modi. Da questo punto di vista confesso che la novità relativa all’introduzione della descrizione di livelli di competenza degli studenti per fasce di punteggio nelle prove mi spaventa, e non poco.
Tale novità – a dire il vero in linea con quanto fa OCSE-PISA a livello internazionale (che però ha effetti meno diretti di INVALSI sul sistema scuola) – è stata presentata con un intento certamente importante: quello di dare un feedback più significativo all’insegnante a seguito delle prove, in modo da permettergli di intervenire in maniera più efficace su eventuali criticità.
Ecco, la mia convinzione è che i risultati delle prove non possano assolvere questo compito, che il punteggio in una prova non permetta in nessun modo di descrivere nel dettaglio, e a maggior ragione individualmente, livelli particolareggiati su specifiche competenze. Faccio un esempio: i dati nazionali possono mostrare che ad un certo livello scolare ci sono difficoltà su quesiti relativi alla lettura di grafici. Questa informazione è molto rilevante ed è nelle corde di una rilevazione di sistema identificarla e evidenziarla. Non è invece nelle corde di una rilevazione di sistema descrivere la competenza specifica di un singolo studente sulla lettura di grafici, né analizzando la singola risposta sui quesiti che mettono in gioco la lettura di grafici, né a maggior ragione arrivandoci dal punteggio complessivo nella prova (con il paradosso forse statisticamente improbabile, ma possibile, di studenti con punteggi simili ottenuti rispondendo correttamente a quesiti tra loro diversi, che ottengono la stessa descrizione). Come dimostrano molti studi didattici la statistica permette di descrivere i macro-fenomeni, ma per la comprensione e la descrizione della complessità e della specificità individuale è necessario mettere in campo interpretazioni più fini, continue nel tempo e diversificate. A maggior ragione, come sottolineato dalle Linee Guida per la certificazione delle competenze al termine del primo ciclo di istruzione questo è vero per la descrizione e addirittura certificazione delle competenze individuali.
Oltre che la critica teorica (i risultati su una rilevazione di sistema NON possono dire il livello di competenza individuale sulla matematica di uno studente), avanzo una forte preoccupazione sul piano delle conseguenze: il fatto che insegnanti (e dirigenti) si convincano di poter descrivere le competenze dei propri allievi tramite i punteggi che questi ottengono nelle prove, deleghino quindi alle prove il compito di certificare e descrivere le competenze e rinuncino all’osservazione continua e diversificata, a sperimentare e ricercare rispetto al tema complesso, ma cruciale, della valutazione delle competenze.
La rinuncia alla complessità è il rischio più forte da evitare, a mio avviso, nella promozione di una cultura della valutazione che non solo accetti le prove standardizzate, ma appunto le valorizzi per ciò che possono dirci, marcando senza remore ciò che non possono dirci.
Pietro Di Martino