Pin It

Michelle Schatzman è una matematica francese, vive a Lione ed è dirigente di ricerca (di prima classe) del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique). Si interessa di equazioni differenziali lineari e non lineari, problemi di perturbazione singolare e metodi numerici (con un approccio veramente interdisciplinare che arriva a toccare la geometria algebrica). Ha avuto tanti allievi, alcuni di loro incredibilmente bravi, e ha diretto per molti anni il Laboratorio di Matematica Applicata di Lione, ricevendo pochi mesi fa la Legion d’onore. Da anni sviluppa riflessioni interessanti sul ruolo della matematica applicata, sul mestiere del matematico e sul ruolo della donna in questo settore.

Il test di Proust [math reloaded]

(la versione originale francese è disponibile qui: testo francese)

1. Il tratto principale del mio essere matematico

L’ostinazione

2. La qualità che desidero in un matematico

L’inconscienza

3. La qualità che preferisco nella matematica

L’immaginazione

4. Quel che apprezzo di più nei miei colleghi matematici

L’immaginazione (in effetti non capito la differenza tra le due domande precedenti, perché la matematica è quello che fanno i matematici, e chi sono i matematici? Beh, credo siano quelli che fanno della matematica, eh! In altri termini, c’è un problema di circolarità per definire la matematica, e io mi attengo a quello che ha detto Reuben Hersh nel suo bel libro del 1997 “What is mathematics, really”: “la matematica è una forma di vita”).

5. Il mio principale difetto come matematico

La dispersione, l’assenza di volontà di finire il lavoro

6. La mia lettura matematica preferita

La matematica che non riesco ancora a capire. Recentemente, molta geometria algebrica, ma senza molto profitto.

7. Il mio sogno come matematico

Vincere ancora qualche sfida prima di uscire di scena. In particolare, migliorare veramente l’algoritmica della risoluzione dei grandi sistemi di equazioni lineari generati dalla risoluzione di equazioni alle derivate parziali. Queste matrici hanno parecchia struttura, e la si utilizza male o troppo poco. Da ciò le mie letture in geometria algebrica.

8. Qual è la principale debolezza della matematica

Conquista molto recente della specie umana, ancora più della scrittura, e quindi difficile da imparare e insegnare.

9. Il matematico che vorrei essere

Eulero, ma non ce l’ho fatta…

10. Il paese dove vorrei vivere

Un paese immaginario in cui non facesse troppo caldo l’estate, l’aria delle città fosse pulita, la grande povertà non esistesse, la solidarietà non soffrisse della presenza di passeggeri clandestini in sovrannumero, in cui il livello medio di onestà individuale fosse più alto, e l’impegno politico non oscillasse tra il ridicolo e il dittatoriale… Un paese così non esiste, e forse non sarebbe nemmeno desiderabile.  Bisogna vivere con la realtà.

11. L’esercizio matematico che preferisco

Integrare funzioni di operatori su graziosi cammini, e dedurne delle conclusioni fini e interessanti. 

12. Il teorema che amo

Il teorema fondamentale dell’algebra lineare.

13. L’applicazione della matematica che preferisco

Mi piacciono tutte … come scegliere? Beh, forse quelle luride di grasso per motore, quelle in cui ci si sporca di più le mani.

14. I matematici che mi hanno indirizzato

Pierre Samuel era un professore della Scuola Normale Superiore femminile nel 1968-1969, ed era l’ultimo anno in cui insegnava. Gli dissi che volevo fare Analisi, e mi dette la scelta tra Jacques-Louis Lions e Yves Meyer. Il primo officiava a Parigi 6, a Jussieu, il secondo a Orsay. Da parte mia, trovavo i trasporti piutosto scomodi fino a Orsay. E scelsi Lions. Lo trovavo più applicato. Nella mia fase di ultra-sinistra dell’epoca, più era applicato e meglio era.  Ma siccome non sono andata a parlare con Yves Meyer, ho scelto evidentemente nella più perfetta ignoranza. Quando incontrai Yves Meyer, negli anni ottanta, mi domandai se avevo scelto bene nel ’69. Ma oramai era fatta…

15. I matematici che mi hanno dissuaso

Se ce ne sono stati, ho dimenticato.

16. Il nome della variabile che preferisco

x

17. Il tipo di calcolo che preferisco

Quello che farò domani. O fra un po’. E allora ci riuscirò, lo giuro!

18. Il tipo di calcolo che utilizzo di più

Quelli che non funzionano.

19. Il tipo di calcolo che mi annoia maggiormente

Quelli che funzionano.

20. I nomi che preferisco (teorema, corollario, lemma…)

teorema, corollario.

21. Quel che detesto più di tutto

La ripetizione.

22. I matematici che disprezzo di più

I matematici mediocri che fanno vincere i concorsi ai loro allievi ancora più mediocri.

23. L’impresa scientifica che ammiro di più

La biologia evoluzionista.

24. La riforma culturale che apprezzo di più

L’instaurazione della libertà di coscienza, d’opinione e d’espressione. Non solo nelle leggi, ma nella pratica sociale e politica.

25. Il dono di natura che vorrei avere

Una migliore mobilità generale. Con le mani, va bene, grazie. Ma tutto il resto è abbastanza scordinato.

26. Da matematico, come vorrei essere ricordato

Per essere riuscita a gettar luce su qualche problema difficile.

27. Stato attuale dei miei studi

Deprimente. I miei desideri algebrici non producono grandi effetti. La mia biologia personale mi tradisce, e non ho abbastanza tempo ed energia per riuscire meglio.

28. Gli errori che mi ispirano maggiore indulgenza

Più nel senso di meno. È un’espressione di Claude Bardos, che faceva un sacco di calcoli alla lavagna che seguivo con ammirazione, e gli succedeva di fare qualche errore di di segno. Ogni volta che mi capita, penso con un sorriso a Bardos.

29. Il mio motto

Anche questo passerà. Una leggenda ebraica racconta che il re Salomone aveva un anello, e che quando lo guardava lo rendeva triste se era allegro, e allegro se era triste. Su quest’anello era inciso il motto che ho citato.

Luoghi comuni, curiosità et alia

1. Perché la matematica dovrebbe descrivere l’universo?

Ogni tanto lo descrivono, ogni tanto no. È un osservazione. Non sono amante della teleologia, e non so dare un senso al “dovrebbe” della domanda. E poi l’universo è una parola che merita un’analisi. Quando uno scienziato parla dell’universo, vengono evocate l’astronomia, l’astrofisica, la cosmologia, la fisica teorica. Ma un non-scienziato metterà delle cose del tutto diverse in questa parola: universo delle idee, universo poetico o letterario, universo sociale, universo psicologico, universo spirituale. La matematica non ha niente da dire in questa storia, perché questi campi non passano sotto le forche caudine delle diverse teorie scientifiche. C’è una conoscenza che non è scientifica e fa parte del nostro universo. Non ho una competenza speciale di questo campo, ma non è una buona ragione per negarne l’esistenza.

1b. Lei ha descritto l’universo?, e cosa in particolare?

L’universo in generale, sicuramente no. Dei pezzettini, sì: modelli d’eruzione solare, modelli in neurofisiologia, modelli della meccanica del contatto e dell’impatto. Tutto molto parcellizzato.

2. Perché la ricerca matematica è uomo?

L’essenza della ricerca matematica non è maschile. La realtà sociologica lo è in modo largamente maggioritario. Per fare ricerca in matematica serve una buona dose di incoscienza adolescenziale, di quella che spinge dei giovani ubriachi al volante di auto veloci ad ammazzarsi contro un albero. Bisogna credersi capaci di fare meglio dei nostri pur notevoli predecessori, che avevano passato molto tempo a riflettere ed erano anche eccezionalmente intelligenti. In una parola, bisogna credersi immortali, geniali e capaci di superare tutte le difficoltà con astuzia  prodigiosa. Capita che, nelle nostre società, questo stato d’animo non sia comune tra le ragazze, nel momento in cui si fanno le scelte cruciali per la carriera. Le ragazze che praticano dei comportamenti a rischio sono, molto spesso, delle persone molto poco strutturate, al limite della patologia sociale o mentale. Al contrario, il comportamento a rischio è normale tra i maschi più giovani, è valorizzato e socialmente accettato. Ci sono delle buone ragioni per scoraggiare il comportamento a rischio nelle ragazze: un padre immaturo non è una cosa simpatica per educare i figli, una madre immatura è una catastrofe, perché sono in generale le madri che si occupano dei bambini più piccoli. È il modello “ricerca scientifica=correre un rischio adolescenziale” che bisognare ridiscutere. Il rischio non è fisico, sia chiaro, ma psicologico. Quando si fa seriamente matematica, si affrontano dei problemi parecchio tosti e si rischia di farsi umiliare dai problemi che non si sa risolvere. D’altra parte, succede spesso ai matematici seri di farsi umiliare dai problemi. Ma non è piacevole, e sono pagata per testimoniarlo. La nostra società vuole in tutti i modi eliminare il rischio, e in particolare il rischio intellettuale. Pagare delle persone per correre dei rischi intellettuali, per tutto o partedel loro tempo, è diventato un rischio finanziario. È perché le cose devono “funzionare”, che la scelta di tentare cose che non funzionano è associata all’immagine del pericolo. Ora, in realtà, noi pensiamo che le nostre società occidentali siano sicure, quando non lo sono veramente. Le nostre società vogliono eliminare l’imprevisto, e fanno finta di riuscirci, ma poi falliscono, creando così un fattore di profonda scontentezza sociale. Eliminare l’imprevisto è un obiettivo che non può essere raggiunto. La realtà dell’educazione comune dei ragazzi comuni è una realtà piena di imprevisto, ed è alle ragazze che domandiamo di assumersi tutte le ansie e tutte le difficoltà di questa realtà comune. Queste ansie non sono certo minori di quelle della ricerca matematica. Smettiamola di credere che correre dei rischi intellettuali richieda delle qualità psicologiche speciali e un’incoscienza particolare, smettiamola di aspettarsi poco da queste giovani donne, con la scusa di essere gentili con loro (gentilezza mancata: sono le aspettative intellettuali che formano le intelligenze), e le vedremo dalla nostra parte.

2b. Dove sono finite le donne?

In medicina, biologia, lettere e scienze umane, in generale in ambienti che sembrano loro meno pericolosi che le scienze dure, e la matematica in particolare. Bisogna che la matematica si spogli dalle sue vesti pesanti etichettate “pericolo”, “immaturità”, “penosa solitudine”, “competizione bestiale”.

3. La matematica applicata cresce alla stessa velocità dei software matematici?

Non si fa abbastanza sul lato degli algoritmi. C’è ancora troppa matematica applicata non applicabile. Bisogna scendere nel dominio degli algoritmi, affrontando le vere difficoltà, con il loro lato interdisciplinaie: obiettivi matematici che passano per la dura legge della realtà del calcolo. 

3b. Quale funzione potrebbe modellizzare la crescita del settore della matematica di cui si occupa?

costante – non progredisce

4. Quanto conta lo studio nella risoluzione di grosse questioni matematiche?

Enormemente!

5. Quanto conta il formalismo?

La mia ammirazione per Eulero mi dice che i grandi si capiscono da soli, anche quando non dispongono di un formalismo soddisfacente ai nostri occhi moderni. I piccoli come me, hanno bisogno del formalismo per non inciampare nel bordo del tappeto. Detto questo, nella fase di elaborazione ragiono con pochissimo formalismo, cerco di immergermi nel comportamento degli oggetti matematici, faccio un sacco di calcoli fino a memoriazzare il problema nel mio hard-disk biologico, e quando è memorizzato, ragiono con il lato destro del cervello, per immagini, analogie, associazioni libere… e poi, spero che quello che ho laboriosamente costruito accetti di passare per il filtro del formalismo. Non sempre funziona. Ho dei cassetti pieni di fogli che non sono arrivati allo stadio del formalismo. Fogli senza dubbio troppo sbagliati per essere recuperabili. Quale matematico non ha delle pile di fogli di questo tipo, né finiti e né da finire?

6. Matematica e grammatica sono legate?

La grammatica della matematica è molto meno interessante della grammatica delle lingue reali. La maggior parte delle lingue reali ha un sacco di irregolarità, di eccezioni che rendono più saporita una lingua umana. Da questo punto di vista, la matematica è mortalmente noiosa!

6b. Lei parla “matematica” correttamente?

Quando faccio una conferenza, cerco di parlare all’immaginazione dei miei ascoltatori, e devo spesso utilizzare ogni sorta di ellissi, di allusioni e di scorciatoie che sono matematicamente scorrette.      È necessario, altrimenti non si stabilisce la comunicazione. Quando scrivo, faccio tutti gli sforzi possibili perché sia corretto, perché la verifica finale di ogni risultato è di poterlo mettere per iscritto e di non lasciare buchi. Ma è un ideale inaccessibile. Quando rileggo alcuni dei miei articoli di un quarto di secolo fa, vedo ogni sorta di buchi che ho lasciato, e che non avevo visto al momento della redazione. In quei momenti lì, mi vergogno…

7. Quanto bisogna essere portati per riuscire in matematica?, per fare cosa bisogna avere meno di trenta anni?

Bisogna essere dotati E bisogna lavorare duramente, senza avere paura di scontrarsi con problemi difficili. Qualcuno di molto dotato, ma che non cerchi mai di fare meglio di ciò che sa fare, non riuscirà. Quanto ad avere meno di trent’anni, quella è una leggenda. Ciò che succede è che, fino a che si resta nel modello “ricerca matematica=correre rischi adolescenziali”, si limita effettivamente la ricerca alle persone che restano abbastanza immature, ed è difficile rimanere immaturi dopo i trent’anni. Inoltre, quando si ha l’incoscienza della giovinezza, si può riuscire, con delle idee apparentemente deliranti, a risolvere dei problemi che erano sfuggiti alle generazoni precedenti. Non si conosce ancora l’effetto che fa sul proprio Io di sbattere la faccia su di un problema troppo difficile. Dopo i trent’anni, quando uno ha già preso uno o due sberle, si può sviluppare la tendenza a non provare più a fare cose che non si sanno fare, e ci si sterilizza rapidamente. Per delle ragioni biologiche, succede che la maturità arrivi prima nelle ragazze che nei ragazzi. Credo che sia Kolmogorov ad aver dichiarato da qualche parte che l’evoluzione psicologica verso la maturità subisce un arresto nel momento in cui un giovane matematico scopre il suo talento. Dunque, secondo lui, ci sono nell’ambiente matematico delle persone che sono rimaste con un’età psicologica di dieci o dodici anni. Supponiamo per un attimo che questa teoria di Kolmogorov sia vera. Essendomi innamorata della matematica all’età di quattordici anni, avevo a quell’epoca la maturità tipica di un ragazzo di sedici o diciassette anni, a causa dello sfasamento della pubertà. Quest’idea che si faccia meglio matematica prima dei trent’anni mi ha sempre fatto ridere, ma a denti stretti. In realtà, ho fatto le mie cose migliori in matematica molto dopo quell’età… Insomma, avrò due volte trent’annialla fine del 2009, se Dio mi assiste. Ho abbastanza di fiducia in me stessa e di mancanza di rispetto per l’opinione degli altri per attaccare dei problemi pericolosi per il mio Io. Di tanto in tanto funziona, e me ne frego abbastanza della perdita di immagine che si viene a creare quando non funziona. Forse ho ancora meno di trent’anni nella mia testa da matematico, se questo può rassicurare i tifosi del “meno di trent’anni”. Ma non ci credo: è perché ho continuato a imparare nuove cose che sono ancora capace di scegliere dei problemi che mi sfidano e che sono pronta a sfidare. Credo che la vera difficoltà per un matematico che invecchia, è da una parte di saper utilizzare la maturità e l’accumulo di conoscenze e dall’altra di saper rinunciare alla sicurezza psicologica che queste cose danno per andarsi a cercare dei problemi mal coltivati, e attaccarli con l’innocenza e l’incoscienza della giovinezza.

7b. Lei è portato?, e da quando?

Euh… beh, questo mi ricorda una storia che si raccontava negli anni sessanta negli Stati Uniti. Uno scienziato, facciamo un fisico, deve testimoniare davanti ad un tribunale. Un collega gli chiede come è andata. “Il giudice mi ha fatto dichiarare nome, cognome, indirizzo, professione, mi ha fatto giurare, e poi l’avvocato che mi aveva chiesto di presentarmi, mi ha domandato chi è il miglior specialista del mondo nella mia disciplina. E gli ho detto che ero io”. “Ma non è mica tanto modesta come risposta!”. “Certamente, ma ricordati, avevo giurato!”.  E io qui non ho mica giurato…

Pin It
This website uses the awesome plugin.