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Esplorare un modello matematico è come ascoltare il concerto di un’orchestra. Ogni strumento ha una sua forma di espressione e il miracolo sta nell’armonia con cui queste diverse sonorità si intrecciano tra loro. E come l’orecchio allenato distingue ad una ad una le voci – ad ognuno il suo spartito ed il suo timbro – così il ricercatore di teoremi fattorizza la composizione globale nelle sue unità elementari. O, almeno, ci prova.

Talvolta un sistema di equazioni genera vertigini per via delle scale (temporali e spaziali, più che musicali) che si intrecciano e si rilanciano reciprocamente. Se si discute dell’interminabile peregrinare del nostro pianeta, si devono tenere in conto le quotidiane rotazioni attorno all’asse Nord-Sud, il persistente roteare quasi-mensile della Luna, l’annuale rivoluzione attorno al Sole, senza dimenticare la nutazione dell’asse terrestre (6.798 giorni), la precessione degli equinozi (20.000 anni e passa), e così via… In secondi, questi periodi si traducono in numeri: \(8.6\times 10^4\), \(2.3\times 10^6\), \(3.2\times 10^7\), \(5.9\times 10^8\), \(1.7\times 10^9\). Ordini di grandezza diversi, scale temporali diverse. L’esito finale è il risultato della compresenza di questi effetti ciascuno con il suo timbro specifico. Trascurare alcuni effetti è possibile, ma nel commettere troppe approssimazioni si corre il rischio di lavorare con un modello semplificato che di scala ne ha una sola e di rapporto con il reale più nessuno. Occorre dunque cercare di preservare le scale, mescolate l’una con l’altra, e, tutt’al più liberarsi di una scala corta, mantenendo memoria del suo contributo cumulativo in un intervallo di tempo sufficientemente lungo.

Una persistente e laboriosa scala microscopica è in grado di determinare le caratteristiche del mondo che ci circonda, pur rimanendo nascosta nelle pieghe macroscopiche del reale. Invisibile ad occhio nudo. Saperla individuare, attraverso un microscopico di fattura prettamente matematica, aiuta a comprendere il perché dell’evoluzione delle cose. La descrizione di un fluido si basa sulla scelta di un certo numero di incognite (densità, velocità, energia interna, temperatura…) e sulle loro relazioni, determinate da ragionevoli leggi di conservazione – alla Lavoisier, “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma” – e su altre relazioni, dette costitutive, risultato di un’estrapolazione empirica della realtà. Questa scelta così euristica ha tutta l’apparenza di una scatola nera, che porta con sé l’insoddisfazione di non poter vedere il meccanismo da dentro. Si sviluppano allora modelli più precisi: un gas è una collezione di particelle, di taglia molecolare, che interagiscono tra loro secondo regole meccaniche opportune. Si spostano, urtano, rimbalzano, si trasformano… Tutto ciò avviene in una scala piccola, tanto che, misurando la piccolezza con il parametro “epsilon” e passando al limite per “epsilon” che tende a zero, si ritrova l’equazione macroscopica di cui si diceva più su. è l’arte del passaggio al limite – idrodinamico, in questo caso – che permette di riconoscere una tonalità inaudibile all’orecchio macroscopico.

In altre occasioni, le scale, seppure sovrapposte, si manifestano in maniera alternata. Alla risposta rapida di uno strumento alla destra dell’orchestra, fa eco la voce lentamente crescente di una voce da sinistra. Scompare la prima e resta la seconda, per un tempo lungo dieci volte tanto, se non di più.
Poi, d’improvviso, emerge di nuovo il meccanismo veloce dell’inizio, che riprende il sopravvento, per scomparire rapido come è emerso, soppiantato di nuovo dall’altro. E così via. E’ l’alternanza di fasi che codifica il tuo battito cardiaco, caro lettore, proprio mentre leggi queste righe. Esito finale di un complicato meccanismo di apertura/chiusura di canali ionici, collocati sulle membrane delle tue cellule cardiache. La descrizione dettagliata -manco a dirlo – è possibile solo in termini di equazioni differenziali. Le diverse fasi corrispondono a diverse scale, ciascuna corrispondente ad una scelta di parametro temporale, veloce o lenta che sia. La comprensione di questa interazione è ancora una volta una questione di limiti, regolari o singolari a seconda dei casi.

Così, mentre si ascolta con beatitudine un’orchestra che suona di fuori, da dentro un’altra batte a suo modo, ma, in definitiva, alla stessa maniera. Per entrambe, vale il principio che la bellezza di un’armonia è il risultato dell’interazione di voci diverse. E non c’è limite regolare o limite singolare che tenga: ancora una volta, uno più uno fa ben più di due.

 

Corrado Mascia

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