La EURO Gold Medal 2024, il più alto riconoscimento a livello europeo nel settore della Ricerca Operativa, quest’anno è stata insignita a Maria Grazia Speranza, professoressa ordinaria dell’Università degli Studi di Brescia e autrice del recente saggio “Il cognome delle donne”. È la terza donna in quasi cinquant’anni di esistenza di EURO, l’Associazione Europea di Ricerca Operativa. Ce ne parla Alice Raffaele.
Primavera 2010. Frequento l’ultimo anno di un liceo scientifico a indirizzo PNI e le mie materie preferite sono matematica e fisica, però anche le varie letterature mi interessano, così come alcune tematiche sociali, specialmente quelle in merito alla parità di genere. Decido quindi il seguente argomento per la tesina della maturità: la figura della donna nella letteratura e nell’arte dalla Rivoluzione Francese in poi. Da Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft, approfondisco i personaggi di Jane Eyre nell’omonimo romanzo di Charlotte Brönte e di Nora Helmer in “Casa di bambola” di Henrik Ibsen. Mi soffermo poi su Eliza Doolittle in “Pigmalione” di George Bernard Shaw prima di passare a “Una stanza tutta per sé” di Virginia Woolf. Studio la storia fino ai giorni nostri adottando una lente femminista. Il titolo finale include la frase “Alla ricerca di una nuova identità”. Sono abbastanza soddisfatta del lavoro svolto e del testo scritto, fino a quando non arrivano i giorni degli esami e la mia docente di Scienze, la Prof.ssa Maria Lucia Di Peppe, mi chiede sibillina: “Non conoscevi nessuna donna di scienza da includere?”. Forse non sono le parole esatte, però il senso è questo. Rispondo che avevo voluto concentrarmi esclusivamente sulle materie umanistiche, all’orale comunque parlo di Marie Curie e Henrietta Leavitt, e la questione sembra risolta. Almeno, così pensavo. Invece quelle parole sono rimaste lì, persistenti nella mia testa a lungo, diventando più introspettive negli anni: perché non ho incluso donne di scienza?
Domenica 30 giugno 2024. Quattordici anni dopo, mi trovo a Copenhagen, al DTU, per partecipare a EURO 2024 – no, non gli Europei di calcio, bensì la 33esima edizione della conferenza dell’Associazione Europea di Ricerca Operativa. Siamo circa tremila persone provenienti non solo dall’Europa ma da tutto il mondo. Sono in ritardo per la cerimonia di apertura perché ho fatto tardi al check-in dell’hotel, e sono in un corridoio del Building 101 quando, alle 17:28, arriva un messaggio sul gruppo WhatsApp di EURO WISDOM, un forum dedicato alle donne della nostra comunità scientifica: è una foto, fatta da Martina Fischetti (IMUS), dell’annuncio della persona vincitrice dell’EURO Gold Medal 2024, il più alto riconoscimento europeo nel settore della Ricerca Operativa. Si tratta di Maria Grazia Speranza, professoressa ordinaria presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università degli Studi di Brescia. È la terza donna di sempre, dopo Martine Labbé nel 2019 e Ailsa Land nel 2021, a cui viene assegnato questo premio in quasi cinquant’anni di esistenza dell’associazione europea. Questo, soprattutto per noi dell’Associazione Italiana di Ricerca Operativa, è un evento simbolico.
Annuncio dell’EURO Gold Medal 2024 durante la cerimonia di apertura di EURO 2024
(foto di Martina Fischetti)
E di simboli è la stessa Maria Grazia Speranza a parlare nel suo ultimo saggio pubblicato a fine aprile, “Il cognome delle donne”. Nel libro non approfondisce problemi di instradamento dei veicoli e di gestione del portafoglio o quali siano gli ultimi trend nei settori della logistica e dei trasporti, alcuni degli ambiti di cui è esperta. Comincia invece spiegando la scelta del titolo, esponendo il desiderio di tramandare il proprio cognome da nubile. Desiderio che è stato concretizzato dalle sue figlie al compimento dei suoi sessant’anni d’età, seguendo una lunga burocrazia per aggiungere al cognome del padre, che già avevano per legge, quello della madre. Nel 2022 la legge sul passaggio del cognome ai figli è stata aggiornata, in seguito a una sentenza della Corte costituzionale e alla Circolare del Ministero dell’Interno n. 63 del 1° giugno 202 che ha reso illegittima una parte dell’art. 262 del codice civile e ha comunicato agli uffici comunali che “il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto”. Tuttavia, ancora in pochi sono a conoscenza di questa possibilità e ancor meno la applicano, anche perché sono rimasti dei buchi normativi (cosa succede, per esempio, alla seconda generazione?). Per chiudere il gap, ci vorrebbe una legge completa sul cognome.
C’è chi banalizza sostenendo che le vere battaglie del femminismo siano altre. Maria Grazia Speranza non è d’accordo, e decide di adoperare la propria storia per mostrare come la trasmissione del cognome sia una delle punte di un iceberg ben più grande. Nel saggio ripercorre i passaggi fondamentali della sua vita intrecciando sviluppi personali ad avanzamenti di carriera con il filo rosso della tematica della disparità di genere; un filo di un gomitolo che viene sgrovigliato, capitolo dopo capitolo, in collaborazione con altre ricercatrici internazionali. Con Rosiane De Freitas Rodrigues (Federal University of Amazonas), analizza cosa voglia dire avere il doppio cognome e riflette sugli stereotipi di genere che, per dirne uno, qui in Italia come in Brasile, associano ancora il rosa alle femmine e l’azzurro ai maschi. Con Ola Jabali (Politecnico di Milano), di origine palestinese, discute del soffitto di cristallo e delle differenze tra alcuni Paesi come Italia, Canada e Olanda sulle politiche di sostegno dato alle famiglie dagli Stati, come i servizi per l’infanzia di supporto all’occupazione femminile. Dialogando con Elena Fernández (Universidad de Cádiz), quarta donna a ricoprire il ruolo di presidente di EURO, rimarca come l’indipendenza economica sia una condizione necessaria per la libertà, richiamando le cinquecento sterline di Virginia Woolf, e discute del delicato legame tra maternità e disoccupazione femminile.
“Avere un figlio avrebbe interrotto quella condizione di parità fra me e mio marito a cui aspiravo, inesorabilmente e pesantemente. Avrei voluto pari compiti, pari responsabilità, pari opportunità di carriera, pari successo. C’ero riuscita, con fatica, nella fase della convivenza senza figli, ma la genetica rendeva l’avere un figlio un fatto troppo asimmetrico. […] Superati i trent’anni, alle riflessioni che mi avevano accompagnato fino a quel momento se n’è aggiunta una: non potevo aspettare troppo a prendere una decisione perché il tempo avrebbe deciso per me. Non decidere a un certo punto sarebbe diventato equivalente a decidere di non avere figli perché la biologia avrebbe deciso per me, per noi.” – Pag. 81-84.
Indipendentemente dalla decisione in sé, dovrebbe contare il poter decidere liberamente senza subire condizionamenti o pressioni esterne soltanto per l’appartenenza a un genere invece che a un altro. Abbiamo delle leggi per superare le discriminazioni normative, ma c’è ancora tanto da fare: mancano le loro applicazioni in larga scala e alcune di queste potrebbero essere migliorate (si pensi al congedo di paternità obbligatoria in Italia di soli dieci giorni). Ci sono stati quindi dei passi avanti negli ultimi decenni, ma siamo in una società ancora maschilista, con sia uomini sia donne che ancora perpetuano stereotipi di genere, quando invece si dovrebbe agire senza sentirsi giudicati, che si tratti di cognome, interesse verso le materie STEM, abbigliamento ed estetica, diritto all’aborto o molto altro. Nei casi dove invece è richiesto essere giudicati, come un colloquio di lavoro, un concorso per avanzare di carriera o, semplicemente, la sottomissione di un articolo scientifico, non si dovrebbe fingere di essere uomini (come fatto più volte in passato, anche non troppo lontano) e si dovrebbe essere valutati solo in base al merito. È una questione molto più grande e complessa di quello che sembra che, per essere affrontata e superata, necessita di una rete di supporto, come sottolinea anche Sunity Shrestha (Tribhuvan University): affinché tutte le persone possano ottenere e adoperare la facoltà di scegliere, o essere valutate in maniera equa e corretta, serve una collettività diversa, compatta, informata, con una collaborazione creativa simile a quella descritta in “Noi siamo tempesta” da Michela Murgia.
“Mi sono tanto interrogata sulla libertà di scelta. Da adolescente ho discusso in modo instancabile di questo concetto con gli amici, i compagni di scuola, con chiunque avesse voglia di parlare con me. Volevo capire quanto sarei stata condizionata dalla mia storia e dalla società, quanto libere avrebbero potuto essere le mie scelte.” – Pag. 39.
Nel formulare il proprio modello, per Maria Grazia Speranza alcune variabili decisionali sono state effettivamente libere, senza restrizioni nel loro dominio, mentre altre sono state impostate dall’esterno, a volte con esiti comunque positivi.
“Ho spesso ripensato alle posizioni dei miei genitori. Mia madre non è riuscita a immaginare per me un futuro diverso dal suo. Non gliene ho mai fatto una colpa. […]. Forse, anche mio padre immaginava che mi sarei sposata e mi sarei occupata della casa e della famiglia, ma credeva nello studio e nella conoscenza. Non credo abbia pensato che la laurea mi avrebbe aiutato ad avere una professione e una carriera, ma solo che studiare era bene. Laurearsi era un’opportunità che voleva offrire a tutti i suoi figli, a cominciare dalla primogenita. Come sempre, è stato mio padre a decidere. Per mia fortuna, in questo caso. E così ho potuto andare all’università. La scelta di cosa studiare è stata tutta mia. E ho scelto matematica, la mia passione.” – Pag. 44-45.
Immaginare “futuri diversi” può essere facilitato quando si hanno degli esempi, e ciò vale per le donne come per gli uomini (“Massimo non aveva pregiudizi sui ruoli di maschi e femmine, anche perché sua madre aveva sempre lavorato”, pag. 90). Alla domanda che le ho fatto, durante la cerimonia di chiusura di EURO 2024, su quale persona sia stata per lei di riferimento, Maria Grazia Speranza ha risposto che purtroppo non è stata alcuna donna, perché non ce n’erano su cui basarsi. Si è invece ispirata alla figura di Paolo Toth (ora professore emerito dell’Università di Bologna ed EURO Gold Medal a sua volta nel 1998) e al suo operato per portare e far crescere in Italia la disciplina della Ricerca Operativa.
“Pesano certo i condizionamenti. I libri di scuola che ritraggono le donne in cucina o impegnate a lavare e stirare. I film e la pubblicità che mostrano le donne in questi ruoli. Oltre agli esempi di vita reale di donne impegnate nei lavori domestici e di uomini che, nel migliore dei casi, aiutano le donne. E anche i maschi sono condizionati. […] Ho dovuto verificare che, nonostante tutto il mio impegno per non diventare come mia madre, per evitare di imparare a fare quello che lei faceva e che le altre donne facevano, per essere libera di essere diversa, il mio istinto mi spingeva a fare quello che lei faceva, che le altre donne facevano.” – Pag. 65
L’EURO Gold Medal per lei era sempre stata un sogno; riceverla, le ha confermato che aveva fatto bene a riporre fiducia in sé stessa e nelle sue forze, a credere in quello che avrebbe potuto fare anche – e soprattutto – nei momenti della carriera in cui l’autostima era bassa. Per questo la medaglia per lei rappresenta un risultato che ora anche altre donne potranno raggiungere negli anni a venire. Perché, per quanto ne parliamo, per quanto li reputiamo realistici, formulabili, spesso abbiamo bisogno di vedere dei modelli di riferimento con i nostri occhi, per superare l’immagine stereotipata dello scienziato di cui parla nel libro anche Karen Smilowitz (Northwestern University) e per integrare davvero dentro di noi l’idea che fare ciò che ci prefiggiamo sia possibile, smettendo, come dice Kathy Kotiadis (University of Kent), di avere paura.
Consegna dell’EURO Gold Medal 2024 a Maria Grazia Speranza
da parte di Mirjam Duer (University of Augsburg).
Al giorno d’oggi, sono in grado di rispondere facilmente alla domanda lasciata in sospeso nel 2010: non ho incluso donne di scienza perché non ritenevo ce ne fossero abbastanza per una tesina di quinta superiore. E invece, semplicemente e un po’ amaramente, non riuscivo ad andare “oltre Marie” perché non ne conoscevo abbastanza, in parte per una mancanza personale di approfondimento ma soprattutto perché a scuola o nel mondo culturale in generale non era – uso un imperfetto ottimista per riconoscere i progressi fatti negli ultimi anni – dedicato loro abbastanza spazio. Recentemente le cose sono cambiate: ci sono tante attività divulgative fin dalla tenera età e si celebrano diverse giornate internazionali sulle donne e le ragazze nella scienza, per esempio l’11 febbraio e il 12 maggio (personalmente, sperando che un giorno non ce ne sia più bisogno). La strada è ancora lunga, e dovrà considerare anche le discussioni che si aprono e i rischi che si corrono proponendo, per esempio, attività esclusive per bambine, borse di studio solo per studentesse universitarie, etc. Il tema è delicato e andrebbe anche oltre questa recensione. Aggiungo quindi solo che il termine “scientist” fu coniato nel 1834 appositamente per una donna, Mary Somerville, poliedrica matematica, astronoma e scrittrice scozzese, e che questa è diventata una parola gender-neutral. Perché il modo di pensare e l’avere una persona a riferimento dovrebbero prescindere dal genere, concetto condiviso nel libro anche da Elise del Rosario, prima presidente donna dell’International Federation of Operations Research Societies. Idealmente, non dovrebbero esserci pregiudizi e ci si dovrebbe basare sul merito, senza tenere in considerazione nient’altro.
Se “Il cognome delle donne” parte dall’emblema del cognome, appunto, per offrire queste e molte altre considerazioni sulla parità di genere in ambito accademico e nella società, il cognome di una donna in particolare che vince l’EURO Gold Medal rappresenta anch’esso un segno per tutta la comunità italiana di Ricerca Operativa e non solo. Variando leggermente una celebre locuzione latina, potremmo affermare che, nel caso di Maria Grazia Speranza, “cognome omen”. Etimologicamente, infatti, la parola “speranza” deriva dal latino “spes” e ancor prima dalla radice sanscrita ”spa-”, che vuol dire “tendere verso una meta“: qualcosa che non c’è ancora, da creare con movimenti, azioni, ed energie. Più simbolico di così… Rimane perciò da identificare quali siano le nostre, di mete, personali e collettive, decidendo come instradarci in questo cammino verso il raggiungimento della parità di genere.
Il cognome delle donne
Maria Grazia Speranza
Editore: E-sordisco
Anno edizione: 2024
Pagine: 252 p.