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Il premio Abel è uno dei massimi riconoscimenti matematici a livello mondiale e qualche giorno fa è stata annunciata la sua assegnazione, per il 2017, al matematico francese Yves Meyer, per i suoi fondamentali contributi alla teoria delle wavelets. Di questi fondamentali contributi ci parla una delle maggiori esperte italiane del settore, Silvia Bertoluzza.

Apparso originariamente il 28 marzo 2017.

È con grande piacere che apprendo che l’Accademia Norvegese di Scienze e Lettere ha deciso di assegnare il Premio Abel, generalmente considerato per la matematica come l’equivalente del premio Nobel, a Yves Meyer, professore emerito presso l’École Normale Superieure di Paris-Saclay. La motivazione recita “per il suo ruolo fondamentale nello sviluppo della teoria matematica delle wavelets”.

Nato il 19 luglio del 1939, Yves Meyer è cresciuto a Tunisi. A 18 anni è ammesso alla prestigiosa École Normale Supérieure de la rue d’Ulm, classificandosi primo al concorso di ingresso. Dopo la laurea, diventa assistente all’Università di Strasburgo, dove gli è conferito il Dottorato nel 1966. Ottiene in seguito il posto di professore inizialmente presso quella che adesso è l’Università di Paris-Sud, poi, successivamente, all’École Polytéchnique e all’Università di Paris-Dauphine. Nel 1995 si trasferisce all’École Normale Supérieure de Cachan (oggi ENS Paris-Saclay), dove ricopre attualmente la posizione di professore emerito. È membro dell’Académie des Sciences francese e membro onorario dell’americana Academy of Arts and Sciences, ed è stato insignito dei premi Salem (1970) e Gauss (2010), quest’ultimo assegnato congiuntamente dall’Unione Matematica Internazionale e dalla Società Matematica Tedesca.

La storia delle wavelets, delle quali Meyer può essere a buon titolo considerato uno dei padri, inizia in realtà più di un secolo fa con una costruzione ingegnosa, anche se elementare, di Alfred Haar. La “wavelet di Haar” ha alcune proprietà interessanti ma anche alcune caratteristiche negative, quali, ad esempio, la mancanza di regolarità, e per molto tempo resta una costruzione isolata. Verso la fine anni ’70 il sismologo Jean Morlet sviluppa una nuova tecnica per analizzare i dati ottenuti da prospezioni geologiche per la ricerca di petrolio. La tecnica di prospezione è semplice: una vibrazione è inviata nel sottosuolo e l’eco viene registrato da un sismografo. Meno semplice è analizzare il segnale risultante, per cercare di dedurre la struttura del sottosuolo. A questo scopo, Morlet introduce una classe di funzioni, a cui verrà dato il nome “ondelettes” (in inglese “wavelets”, in italiano “ondine”), dato il loro carattere oscillante e ben localizzato. Queste funzioni hanno la caratteristica peculiare di essere ottenute tutte da un’unica funzione tramite semplici operazioni di traslazione e di contrazione/dilatazione. Correlando un segnale (nella fattispecie il segnale rilevato dal sismografo) con queste funzioni, se ne ottiene una analisi che fornisce informazioni temporali molto più precise di quelle ottenute tramite la trasformata di Fourier (all’epoca uno dei principali strumenti di analisi dei segnali), la quale scompone il segnale utilizzando funzioni sinusoidali perfettamente localizzate nello spazio delle frequenze ma assolutamente non localizzate nel tempo.
L’analisi di Fourier è ben adatta per lo studio di segnali stazionari, le cui proprietà statistiche non cambiano nel tempo. Questo però succede di rado nella vita reale dove la maggior parte dei segnali ha caratteristiche più o meno localizzate nel tempo e dove proprio questa localizzazione dà informazioni importanti sui fenomeni che il segnale descrive. Su questi segnali, il nuovo approccio proposto da Morlet fornisce informazioni molto più significative.

La compagnia petrolifera a cui l’idea viene proposta, la rifiuta. I risultati vengono allora pubblicati, in collaborazione con il fisico Alex Grossmann, su una rivista scientifica e, nel 1984, mostrati a Meyer da un collega. Meyer realizza immediatamente i collegamenti che la nuova, rivoluzionaria tecnica di analisi presenta con la teoria matematica alla quale lui stesso si stava in quel periodo dedicando. Decide così di prendere il treno per Marsiglia, dove incontra Morlet, Grossmann e Ingrid Daubechies. Partendo da quell’incontro inizia il lavoro che porterà a contributi fondamentali con ricadute sia in ambito teorico che in numerosi ambiti applicati.

Quello che Meyer riconosce è la similitudine fra, da un lato, la formula di ricostruzione presentata da Grossmann e Morlet e, dall’altro, un’identità già dimostrata da Alberto Calderon (Meyer era già allora una figura di spicco nello studio della teoria cosidetta di Calderon-Zygmund). La ragione per la quale la compagnia petrolifera aveva rifiutato di adottare la tecnica proposta da Morlet era che “se fosse vero che funziona, lo si saprebbe già”, e da un certo punto di vista la compagnia petrolifera aveva ragione: era vero, funzionava, e, infatti, (da un certo punto di vista) lo si sapeva già, solo che nessuno, prima di Meyer, aveva visto il collegamento. Da questa sua intuizione nascono quindi i primi risultati e, in particolare, la costruzione di una “ondina madre” infinitamente regolare che, tramite opportune traslazioni e dilatazioni, viene a formare una base ortonormale. Questa costruzione, pur non particolarmente complicata, è all’epoca sorprendente e risponde positivamente alla domanda sull’esistenza o meno di una tale funzione.

Lo sviluppo della teoria e delle applicazioni delle basi di wavelets è rapido e va ben al di là di quello che si poteva inizialmente immaginare. Lo stesso Meyer, in collaborazione con Stephane Mallat, sviluppa il concetto di analisi multirisoluzione, un approccio generale per la costruzione di basi di wavelets a partire da qualsiasi sequenza bi-infinita di spazi contenuti ciascuno nel successivo che soddisfino opportune proprietà di invarianza. Questo prepara la strada ad Ingrid Daubechies, che in questo framework costruirà la sua classe di basi di wavelets ortonormali a supporto compatto. Le ricadute applicative sono numerose: in analisi armonica computazionale, nel trattamento di immagini mediche, di segnali sismici, in compressione di dati e immagini (lo standard JPEG2000 è basato sulle wavelets), in statistica, nel cinema digitale, nell’osservazione di onde gravitazionali. L’FBI ha da tempo adottato le wavelets per il proprio Database di impronte digitali. E le wavelets hanno persino vinto un premio Oscar: nel 2013 l’Academy of Motion Picture Arts and Science, ha premiato con lo Sci-Tech Award (l’Oscar tecnico-scientifico) il software Wavelet Turbulence, basato su wavelets, che è usato per la simulazione di fluidi turbolenti (fumo, nuvole) nella generazione di effetti speciali.

Al di la del contributo fondamentale che, come riconosciuto dall’assegnazione del Premio Abel, ha dato allo sviluppo della teoria matematica delle wavelets, Yves Meyer ha portato altri contributi fondamentali a problemi in teoria dei numeri, analisi armonica e equazioni alle derivate parziali, su argomenti quali i quasi-cristalli, gli operatori integrali singolari e l’equazione di Navier-Stokes. Più recentemente, grazie ad una analogia fra i suoi vecchi lavori su i cosiddetti “model sets”, o insiemi di Meyer – usati per costruire i quasi-cristalli – e il compressed sensing (una moderna tecnica usata per acquisire o ricostruire un segnale usando la conoscenza “a priori” che esso abbia una struttura cosiddetta sparsa) Meyer ha sviluppato un nuovo algoritmo per il trattamento di immagini, una cui versione è stata impiegata per la missione spaziale Herschel, il primo osservatorio astronomico spaziale dell’European Space Agency (ESA), per osservazioni astronomiche il cui scopo principale è indagare sulla formazione e sull’evoluzione delle galassie nell’Universo e osservare l’interno di regioni di formazione stellare.

A fianco di questa attività di ricerca estremamente prolifica e variegata, Yves Meyer si è dedicato con passione all’insegnamento ed è stato, per me e per molte altre persone, un Maestro, ispirando una generazione di matematici che hanno, a loro volta, portato contributi significativi al progresso della loro disciplina.  Agli inizi degli anni ‘90 ho avuto la grande  fortuna di seguire il corso di teoria delle wavelets che teneva nell’ambito del DEA (Diplome d’Etudes Avançées) dell’Università di Paris-Dauphine. Ricordo ancora le sue lezioni. La curiosità e l’entusiasmo che comunicava a noi studenti che iniziavamo allora la nostra attività di ricerca erano contagiosi, ed ho avuto più volte modo di apprezzare la sua grandissima generosità sia con il proprio tempo che, soprattutto, con le proprie idee, le proprie intuizioni e le proprie conoscenze.

Silvia Bertoluzza
Imati-Cnr, Pavia

Fonti:
http://www.abelprisen.no/
http://smai.emath.fr/

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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