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Come forse saprete c’è una certa preoccupazione tra insegnanti, studenti e famiglie per il fatto che quest’anno la seconda  prova scritta per la maturità dello scientifico potrebbe essere di fisica, invece che di matematica. La Commissione Italiana per l’Insegnamento della Matematica dell’Unione Matematica Italiana (CIIM) ha preso posizione con un documento che potete trovare qui e che abbiamo ripubblicato sul nostro sito. Con questa nuova sezione del sito dedicata all’Esame di Stato, intendiamo aprire un dibattito su questa questione, ascoltando diversi pareri autorevoli, sperando di trovare ascolto da parte del MIUR. Sottolineiamo il fatto che i vari pareri non sono coordinati, e che anzi vanno visti in modo dialettico, per confrontare le diverse opinioni in campo. Qui riportiamo il nono intervento, proposto da Ileana Rabuffo. Gli interventi precedenti li trovate qui.

Intervento di Ileana Rabuffo
Professore associato di Struttura della Materia, Università degli Studi di Salerno
Presidente della Commissione Didattica Permanente della Società Italiana di Fisica (SIF)
Rappresentante della SIF nella CIIM

Uno degli argomenti più discussi tra gli insegnanti di Matematica e Fisica nei Licei Scientifici, da oltre un anno, è la riforma dell’esame di maturità. Più passa il tempo e più se ne parla perché più probabile diventa la sua attuazione, e intanto cresce uno strato di timore, frustrazione e preoccupazione sia tra gli insegnanti che tra gli studenti coinvolti. In questo breve articolo ripropongo alcune osservazioni e argomenti già da me messi in evidenza (invano) diverso tempo fa, in varie occasioni ufficiali. Ribadisco tali considerazioni perché le ritengo sempre più attuali.

La comunità dei fisici accoglie come molto positiva l’alternanza della Matematica e della Fisica nella seconda prova dell’esame di maturità nei licei scientifici, tuttavia sono necessarie alcune osservazioni. Le indicazioni nazionali sulle nuove modalità per esaminare studenti al termine del loro ciclo secondario superiore, raccomandano la cosiddetta “valutazione autentica”. Come è noto, la valutazione autentica è alternativa a quella tradizionale e si distingue perché verifica non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa”. L’intento della valutazione autentica è quello di coinvolgere gli studenti in compiti che richiedono di applicare le conoscenze nelle esperienze del mondo reale. Non c’è dubbio che la valutazione autentica è un vero accertamento della prestazione, perché da essa si capisce se gli studenti sono in grado di usare in modo intelligente ciò che hanno appreso. L’ obiettivo di questo tipo di valutazione è, chiaramente, l’inserimento degli studenti nella vita reale dove non devono portare cumuli di nozioni bensì competenze ed abilità definite e finalizzate, e quindi è benvenuta questa richiesta. Tuttavia ritengo prematura la scelta di chiamare gli studenti, in un esame finale, ad affrontare quesiti formulati come “prove autentiche” senza che la loro preparazione nel corso dei cinque anni di scuola abbia esplicitamente mirato a questo. Attualmente la maggioranza degli studenti non è abituata ad un lavoro di questo tipo e, al di là del fatto che si possa o meno condividere l’impostazione formativa sottesa, non è ancora il caso di impostare in questo modo una prova finale.
Oltre a ciò, le varie simulazioni che sono state formulate dal MIUR per Matematica e Fisica (vedi qui) sono “autentiche” soltanto apparentemente: sembra infatti che si tratti di problemi pensati in modo standard, sui quali più o meno artificiosamente, e a posteriori, sia stato innestato un “contesto”. Alcune di tali simulazioni contenevano anche evidenti errori di formulazione. Per costruire problemi autentici, bisognerebbe fare tutto il contrario, e cioè partire da una situazione problematica reale e ricavarne un modello adeguatamente semplificato, sul quale impostare i quesiti da proporre.

Una formulazione corretta di problemi autentici non è semplice, ma farlo come è stato fatto nelle recenti simulazioni, piene di imprecisioni, rischia di produrre esattamente l’effetto opposto a quello desiderato. Infatti, anziché mettere in risalto le capacità di analisi critica e giudizio autonomo degli studenti migliori, si favoriscono gli studenti che si pongono meno interrogativi o quelli che, tentando un po’ alla cieca, riescono a indovinare che cosa passava per la mente di chi ha steso il testo.

È certamente vero che l’eccessiva astrazione fa perdere di vista “a cosa serve la Matematica”, ma è altrettanto vero che perdere la capacità di astrazione è come avere una marcia in meno per il cervello. Infatti, la svolta nella Scienza si è avuta quando Galileo ha capito che bisognava  ripulire il fenomeno e  ridurlo alla sua essenza dinamica, semplificandolo senza mutilarlo. Solo allora è cominciata la comprensione del fenomeno e si sono spalancate le porte al METODO.È il metodo che ha fatto partire i progressi della Scienza.  Il lavoro che deve fare chi deve architettare  formulazioni di un problema di Matematica di una certa complessità, che sia però agganciato alla realtà,  è ingrato ed è sempre esposto al rischio di critiche. Un compromesso potrebbe essere graduare le prove tra la tradizione (prima parte, più accessibile alla preparazione standard) e l’innovazione (seconda parte, per catturare le eccellenze).

Alla luce di tutte queste considerazioni, il cambiamento ci sembra troppo brusco per funzionare. La Fisica, che già soffre di pregiudizi storici, potrebbe risentirne, con un ulteriore calo delle vocazioni.

Infine, vorrei porre l’attenzione sul fatto che le poche ore dedicate all’insegnamento della Fisica nei licei, spesso sono ancora meno. Accade infatti che alcuni docenti laureati in Matematica, ma abilitati all’insegnamento della Fisica, considerino quest’ultima come un’ancella della Matematica e pertanto utilizzano la flessibilità dell’orario per confinare l’insegnamento della Fisica ad un tempo troppo breve e ad un modo inadeguato. La conoscenza della Fisica nei licei non può venire trasmessa solo attraverso racconti, perché la comprensione passa necessariamente attraverso l’esercizio.

Chiarisco subito che a tal proposito io penso, come Galileo, che la Fisica non si può intendere se non si conosce bene lo strumento matematico. Ciò basti per dire che la Matematica è la regina di tutte le discipline scientifiche. Tuttavia, secondo me, è impensabile che un ragazzo che scelga di frequentare un Liceo Scientifico abbia una formazione solo matematica, mentre di Fisica conosca (si fa per dire) solo la Fisica classica e ignori che tutta la tecnologia che lo circonda è partita agli inizi del novecento, quando l’osservazione di alcune incongruenze ha aperto nuove frontiere e si sono sviluppate la Fisica quantistica, relativistica e nucleare di cui non ha mai sentito parlare in classe. Comunque nemmeno è sufficiente includere questi argomenti nei programmi: devono diventare oggetto di verifica se si vuole che veramente ne venga lasciata traccia. Tali verifiche, ripeto, sono di difficile formulazione; tutta la questione è di difficile soluzione.
Le società scientifiche (Società Italiana di Fisica e Unione Matematica Italiana) sentono un responsabile coinvolgimento in questo delicato problema e perciò hanno da tempo avviato consultazioni, separate e congiunte, per poter contribuire sulla questione. Il più recente esito dei lavori di consultazione è il documento della CIIM da cui è partita questa discussione.

La speranza è che, almeno, il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca riconsideri con maggiore saggezza la svolta storica che stiamo intraprendendo e decida di avvalersi anche della consultazione con le società scientifiche nel momento della formulazione definitiva dei testi da proporre per il nuovo esame di maturità.

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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