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Nel numero di marzo di Archimede, il numero 1/2018 appena stampato, abbiamo ospitato un dossier sull’esame di stato con vari interventi su questo tema da parte di insegnanti ed esperti (qui trovate tutte le informazioni). A questa iniziativa è legata una giornata di riflessione proposta dall’UMI-CIIM, che si è tenuta all’Università di Roma Tre il 16 aprile scorso (i materiali sono disponibili qui). La giornata è stata aperta da un contributo di Paolo Francini, insegnante al Liceo Scientifico “Tullio Levi-Civita”di Roma e membro della Commissione Olimpiadi di Matematica dell’UMI, che ha ripreso alcuni temi in parte descritti nel suo articolo apparso nel dossier di Archimede. Di seguito pubblichiamo una versione estesa dell’articolo di Archimede, che pensiamo possa interessare molti lettori.

1. Una serie di criticità.

Sulla questione “esame di Stato”, le cose che avrei scritto una decina d’anni fa sono piuttosto differenti da quelle di adesso. Mi sarei più che altro limitato a sottolineare alcune criticità della prova di matematica per come la conosciamo nel nostro paese, che è bene richiamare in breve:

1. la mancanza di un chiaro quadro di riferimento (“syllabus”) e di chiari criteri di valutazione omogenei ed applicabili con sufficiente uniformità sul territorio nazionale; ciò, da un lato, rende il contenuto della prova relativamente imprevedibile e, dall’altro, la valutazione nel suo insieme poco attendibile, limitando l’affidabilità e qualsiasi comparabilità dei risultati (un tratto, questo, che riguarda l’esame di Stato nel suo complesso, certo non solo la prova di matematica);

2. un eccesso di opzionalità nella scelta di quali problemi e quesiti affrontare da parte del candidato, elemento che rende la prova così poco stringente da risultare poco adatta a rilevare e confrontare le conoscenze e le capacità dei candidati;

3. un impianto di prova che, per la sua stessa fisionomia, difficilmente può essere “graduata”, ossia strutturata in modo da lasciar raggiungere (come sarebbe ragionevole aspettarsi) la sufficienza a chi svolga in modo corretto almeno alcuni compiti semplici, ritenuti irrinunciabili, mentre altre parti più avanzate della prova possono servire a vagliare l’attribuzione di votazioni più elevate; di fatto, il modello di prova che abbiamo sperimentato dal 2000 in avanti tende a capovolgere questa impostazione: si tratta di una prova di base alquanto corposa, dove il livello corrispondente alla stretta sufficienza finisce per consistere, in definitiva, nel sapersi grossomodo arrangiare, magari con più di un affanno, in una serie di compiti tendenzialmente complessi;

4. l’eccessivo tempo a disposizione dei candidati sembra incoraggiare e agevolare una sorta di svolgimento “collettivo e cooperativo” del compito d’esame, lasciando ampio margine di tempo per la diffusione della prova con mezzi telematici, su siti internet, forum, social network, giornali online, etc. La relativa risoluzione “condivisa” giunge con il contributo della nazione intera, che per un giorno riscopre una mai del tutto sopita vocazione matematica, lasciando aperta per tutti i candidati la possibilità dell’arrivo miracoloso di qualche illuminazione in extremis, prima dello scadere delle 6 lunghe ore (evidentemente deve essere tutto quanto legale e permesso, o perfino tacitamente incoraggiato, giacché tutto si svolge alla luce del sole senza reali tentativi di impedire o almeno ostacolare questo processo di risoluzione “comunitaria” della prova d’esame: una sorta di staffetta generazionale da annoverarsi tra i più intensi sforzi intellettuali collettivi ai quali con cadenza annuale il paese si sottopone, e non è un’esagerazione).

Queste criticità, a ben vedere, sono state solo appena scalfite nell’ultimo decennio.

Un vero e proprio quadro di riferimento non esiste ancora, sebbene esistano dei nuovi, per così dire “programmi ministeriali” (ossia le Indicazioni Nazionali) ai quali le prove d’esame per legge sono riferite; tuttavia, il contenuto di tali indicazioni è ben poco stringente ed univoco, può prestarsi a letture notevolmente elastiche.

E’ vero poi che negli ultimi anni il MIUR (dapprima con iniziative sperimentali, poi in chiave ufficiale) ha diffuso delle griglie di valutazione per la prova di matematica. Ma l’uso di tali griglie è rimesso alla discrezionalità delle varie Commissioni d’esame ed inoltre si tratta di griglie a maglie piuttosto larghe (non sembrano, sul piano statistico, aver inciso sui metri di giudizio effettivamente adottati). Nella totalità degli altri paesi europei, il testo stesso della prova d’esame è corredato di punteggi per ciascun problema o quesito: la correzione si svolge attribuendo ad ogni elaborato un punteggio per ciascuna parte della prova, in base alla rispettiva correttezza e alla completezza, sommando infine i punteggi ottenuti nelle varie parti; i candidati possono stimare già da soli il risultato corrispondente allo svolgimento di ciascuna parte della prova. Questo avviene in tutti i paesi europei, eccetto l’Italia, che è l’unico nel quale la prova d’esame è sprovvista dell’indicazione di punteggi nei vari quesiti e problemi.

Anche la questione di una notevole opzionalità nella scelta di quali parti della prova affrontare resta intatta, ed è un unicum a livello internazionale. In nessun altro esame il candidato ha una simile libertà di scelta. Nella gran parte dei paesi, infatti, non vi è alcuna opzionalità: la prova deve essere svolta per intero, senza poter scegliere tra questo o quell’esercizio; per ottenere il voto massimo, la risoluzione deve essere corretta e completa in ogni parte (chi svolge solo alcuni dei quesiti proposti, otterrà il punteggio derivante dalle parti risolte). In alcuni paesi, vi è qualche possibilità di scelta, limitata però solo a una piccola parte del compito, che è in prevalenza obbligatorio. Si era parlato più volte negli anni passati (ad esempio in alcune ipotesi che furono discusse in un tavolo di lavoro istitutito presso il MIUR, poi esposte proprio in un articolo su Archimede da Lucia Ciarrapico) di proporre una parte di prova obbligatoria ed una parte con quesiti a scelta (articolati però in coppie tematicamente affini, chiedendo lo svolgimento di un quesito per ciascuna coppia). L’intento era di presentare domande per lo più di routine nella parte comune (con la quale garantirsi una valutazione di sufficienza) e domande più varie nei quesiti a scelta, organizzati in modo da coprire comunque una parte preponderante dei contenuti curricolari ed impedire la possibilità di ottenere perfino la votazione massima evitando buona parte degli argomenti curricolari. L’ipotesi naufragò però in un nulla di fatto, la fisionomia della prova d’esame è rimasta ad oggi immutata.

E così anche per la questione del tempo a disposizione, che resta di 6 ore: una situazione non paragonabile agli altri paesi, dove si attesta in genere tra le 3 e le 4 ore, a fronte di prove in molti casi ben più estese, con un maggior numero di esercizi che spaziano anche su più argomenti rispetto ai nostri. Sarebbe interessante un’analisi comparativa sui contenuti e la struttura delle prove d’esame nei vari paesi, osservandole nel dettaglio: ad esempio, nella prova dell’esame portoghese troviamo 8 quesiti e 6 problemi in 2 ore e mezza, tutti obbligatori; nella prova polacca 15 esercizi di vario genere da fare in 3 ore, sempre tutti obbligatori; la prova finlandese è paragonabile a queste come estensione e come tempo a disposizione; chiaramente per fare un paragone sensato occorrerebbe visionare queste prove (l’esercizio, il quesito o il problema non sono esattamente delle unità di misura, bisognerebbe per lo meno guardare la difficoltà, la quantità di lavoro necessario e gli strumenti a disposizione). Ma non è difficile farsi l’idea che nel compito italiano i tempi risultino notevolmente più dilatati che altrove, anche in relazione alle richieste contenute nella prova.

2. Una possibile occasione.

L’occasione per ovviare, almeno in parte, alle criticità suddette potrebbe essere offerta dall’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 62 del 2017, che modifica le modalità di svolgimento dell’esame di Stato. Tale decreto contiene alcune disposizioni che riguardano anche la prova di matematica:

– l’esame prevederà due sole prove scritte (è eliminata la terza prova), ma la seconda prova potrà coinvolgere anche più discipline;

– la valutazione di ciascuna prova sarà in ventesimi, con soglia di sufficienza fissata a 12/20 (viene così superata la peculiarità della votazione in quindicesimi con soglia di sufficienza a 10, un dettaglio in certo senso di poco conto, che però in questi anni ha regolarmente costituito un ostacolo per ogni tentativo di valutazione di carattere additivo, come avviene in tutti i paesi, poiché ciò avrebbe comportato una soglia di sufficienza molto elevata, posta (ammesso che ciò significhi qualcosa) ai 2/3 del totale; di qui le ben note griglie, con scale “grezze” e tabelle di conversione di vario tenore, per rendere più accessibile la soglia di sufficienza, un escamotage che però non ha certo giovato alla trasparenza e alla chiara intellegibilità dei punteggi);

– nel testo di legge non è più presente il vincolo che esplicitamente riferisce le prove d’esame “all’accertamento delle conoscenze e delle competenze acquisite nell’ultimo anno del corso di studi in relazione agli obiettivi generali e specifici propri di ciascun indirizzo”, come è stato finora per effetto della legge n. 1 del 2007; si asserisce invece che le prove d’esame debbano verificare “i livelli di apprendimento conseguiti da ciascun candidato in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni indirizzo di studi, con riferimento alle Indicazioni nazionali per i licei”; in particolare, la seconda prova scritta “ha per oggetto una o più discipline caratterizzanti il corso di studio ed è intesa ad accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo culturale e professionale della studentessa o dello studente dello specifico indirizzo”: nessun riferimento esplicito, né tantomeno vincolante, ai contenuti dell’ultimo anno: questa formulazione lascerebbe intendere che le tracce proposte non dovranno più necessariamente limitarsi ad argomenti di analisi, di geometria cartesiana dello spazio e di probabilità (i contenuti previsti dalle Indicazioni Nazionali per l’ultimo anno di corso), ma potranno riguardare le tematiche salienti dell’intero corso di studio;

– è previsto (sebbene, al momento attuale, non si abbiano ancora notizie precise) che il MIUR predisponga per ciascuna disciplina un apposito quadro di riferimento nel quale saranno descritte le caratteristiche della relativa prova d’esame e le rispettive modalità di valutazione.

Sarebbe auspicabile che si approfittasse di questa occasione per attivare un dialogo fattivo tra il livello istituzionale, gli insegnanti impegnati nelle scuole, esponenti del mondo accademico e delle società scientifiche. L’elaborazione del suddetto quadro di riferimento sarà per forza di cose un elemento di forte impatto per l’insegnamento della matematica nelle scuole italiane, non certo un’operazione meramente tecnica o di routine. E’ immaginabile che questa occasione possa essere la sede naturale dove sciogliere una buona parte delle criticità sopra evidenziate. Ma la delicatezza di questo compito impone una responsabilità culturale di notevole rilievo.

3. Eredità da salvare.

La responsabilità risiede nel fatto che sarebbe ingeneroso ed avventato formulare un giudizio sommario e liquidatorio circa la prova che conosciamo, pur con i suoi limiti. Quella presentata all’esame di Stato, per quanto discutibili o perfino provocatorie possano essere state alcune proposte, è pur sempre una matematica concettualmente e culturalmente significativa, ricca di spunti didattici e di richiami storici (espliciti o sotto traccia), dove entrano in gioco ragionamenti e strategie non banali, dove all’alunno è lasciata la possibilità di muoversi ed argomentare con una certa autonomia e libertà di approccio. Pur nei mutamenti, evidenti, che hanno via via allontanato i compiti d’esame dai tradizionali connotati geometrici (e dall’algebra a ciò sottesa), i contenuti presentati hanno mantenuto, forse perfino accresciuto, la capacità di suscitare riflessione ed appuntare l’attenzione verso punti cruciali della matematica di base. Anche riguardo vari aspetti che hanno suscitato commenti critici (come il fatto che non sempre fosse chiara la risposta attesa o una certa complessità risolutiva ed argomentativa, secondo taluni fuori dalla portata degli alunni), va detto che è pur vero che ciò ha tenuto lontani i rischi della banalizzazione rituale e ripetitiva, sollecitando comunque pensiero e cultura matematica.

La tesi secondo cui la prova sarebbe in generale troppo difficile si scontra contro diversi dati di fatto. Intanto, la percentuale di votazioni sufficienti (e di quelle massime) è rimasta regolarmente molto elevata nell’ultimo quindicennio, anzi si è incrementata (si vorrebbe facilitare la prova per avere quasi tutti punteggi massimi?) e la distribuzione dei voti di diploma nei licei scientifici è notoriamente virata verso l’alto, rispetto agli altri indirizzi; le bocciature, poi, sono pressoché inesistenti. Il timore di una prova “punitiva” verso gli alunni del liceo scientifico è perciò statisticamente inconsistente. Peraltro, quando le prove assegnate sono apparse più prevedibili, più libresche, subito si è levata la critica che il compito fosse troppo facile, che si mirasse a livellare ed abbassare gli obiettivi, e così via.

Le tracce degli ultimi anni, con le loro richieste espositive ed argomentative e con intrecci non banali tra aspetti grafici, aspetti algebrici e richieste di carattere dimostrativo, hanno saputo rappresentare una sfida stimolante e significativa, peraltro capace di impegnare una discreta parte del tempo concesso (rendendo se non altro faticosa la risoluzione immediata e la trasmissione della prova svolta). Anche la notevole opzionalità del compito d’esame, criticabile per molti versi, ha pur avuto i suoi vantaggi. Ha infatti reso possibile la presenza, senza sollevare grandi vespai, di quesiti in qualche modo “eterodossi”, talvolta spiazzanti, riferiti ad argomenti spesso trascurati o concettualmente delicati: ad esempio le questioni legate alla cardinalità di vari insiemi numerici, la scodella di Galileo, diversi quesiti di carattere teorico o espositivo su vari problemi geometrici. Domande di un certo spessore, che hanno permesso di valorizzare gli alunni matematicamente più maturi e di portare alla luce tematiche delicate ed importanti, lontane dalla routine su derivate ed integrali. Domande impensabili se fossero state obbligatorie, considerate le prevedibili reazioni.

Fatta salva la limitata attendibilità della valutazione espressa da questo tipo di prova (che discende dalla mancanza di criteri chiari e prescrittivi, dalla composizione delle Commissioni, dall’assenza di una valutazione “terza” di controllo sugli elaborati), sarebbe ingeneroso liquidare su due piedi la prova d’esame che conosciamo disconoscendone del tutto i pregi, organicamente collocabili nella tradizione stessa degli studi liceali. Nel suo insieme, il corso di liceo scientifico si è dimostrato vivo, dinamico e nel complesso ben funzionante, difficile negarlo. E’ su di esso che in primo luogo si impernia una filiera tra vari gradi dell’istruzione e della ricerca in grado di assicurare una (non sparuta) leva annuale di giovani capaci di incamminarsi in percorsi scientifici qualificati, a partire dalle Olimpiadi di Matematica o di Fisica, fino poi a sbocchi professionali in campo scientifico-tecnologico anche di alto livello, a risultati ragguardevoli nei dottorati di ricerca, e così via. Preservando ed alimentando una tradizione che si mostra solida nel tempo, nonostante investimenti pubblici smaccatamente al risparmio (che si manifesta, ad esempio, nell’assenza di infrastrutture per l’aggiornamento dei docenti), nonostante gli sconquassi (nel complesso bene assorbiti) della transizione dalla vecchia scuola “selettiva” alla scuola “inclusiva” di massa, nonostante l’instabilità portata dai vari cantieri di riforme perennemente aperti. Una tradizione, dunque, non effimera ma persistente e radicata.

Una pluralità di soggetti vi contribuiscono (a partire da università e società scientifiche), ma sarebbe miope disconoscere l’importanza del respiro culturale che storicamente caratterizza l’impronta del nostro sistema liceale, basato non sull’accumulo di fatti, nozioni slegate, competenze spicciole, bensì dotato di organicità, ricco di nessi, che nonostante tutto si rivela duttile nel tempo, capace di adattarsi ai cambiamenti.

La connotazione culturale della prova di matematica all’esame di Stato ha saputo mantenersi ben connessa a tale complessiva organicità. Essa riflette, almeno nei suoi intenti, quell’ambizioso processo (inevitabilmente soggetto a fallimenti) di concettualizzazione e sviluppo di capacità di astrazione e di riflessione al quale mira idealmente il nostro liceo, privilegiando pensieri lunghi e riflessione piuttosto che competenze spicciole e rapidità di risposta.

Per non cedere ad atteggiamenti rinunciatari, con una progressiva riduzione degli obiettivi, la matematica proposta nei compiti d’esame dovrà mantenere un suo tratto di sfida, che metta alla prova una reale acquisizione dei concetti e dei metodi, le capacità di analisi e l’elaborazione di strategie. Affinché ciò possa avvenire, la prova dovrà mantenere una componente almeno in parte spiazzante ed il giusto connubio tra astrazione ed aspetti più concreti. Il giorno nel quale il traguardo posto a conclusione degli studi liceali si presenterà come una raccolta di esercizi da eserciziario, classificati in casistiche prevedibili e standard, che potranno essere svolti con piena riuscita anche senza una vera comprensione delle idee soggiacenti, esercizi “sterilizzati” da ogni imprevesto e da ogni sfida, quello segnerà un impoverimento del percorso e della valenza culturale dei nostri licei.

Simili considerazioni mi appaiono calzanti alla vigilia dell’attesa elaborazione dei quadri di riferimento e del probabile combiamento che seguirà nella fisionomia della prova d’esame. E’ importante che il superamento dei limiti ai quali accennavo in apertura non si risolva in una “normalizzazione”: una sequenza di esercizi di corto respiro, di anno in anno quasi identici. Con tanti saluti (tra l’altro) alla sospirata acquisizione di competenze autentiche.

4. Qualche raffronto.

Paradigmatico in questo senso è il sistema delle cosiddette Scuole Europee, una rete di scuole legata alle istituzioni dell’Unione Europea e regolata da trattati internazionali. Il parallelo con la situazione italiana è per molti versi illuminante, giacché la matematica e l’approccio culturale che vi possiamo rinvenire sono, per così dire, ortogonali alla nostra esperienza. Vi è un syllabus dettagliato che stabilisce con precisione i possibili contenuti delle prove d’esame. Quali definizioni, funzioni, equazioni, formule, integrali possono esserci e quali no. La struttura della prova è scandita in problemi o quesiti e sotto-quesiti, ciascuno con un suo punteggio indicato nel testo, ciascuno facente capo ad una parte prestabilita del syllabus, con un preciso bilanciamento tra le diverse aree. Le richieste di tipo dimostrativo sono poche e si limitano per lo più a giustificazioni alquanto lapidarie. Il numero di esercizi proposti è, per le nostre abitudini, assai elevato (orientativamente, 4 problemi e 7 quesiti, tutti obbligatori, in complessive 3 o 4 ore, a seconda del tipo di corso). La valutazione avviene in due fasi (una interna e una esterna in forma anonima), con indicazioni e criteri di correzione dettagliati, predisposti dagli estensori; il voto di ciascun elaborato si ottiene con la media dei voti delle due correzioni. Il processo è molto ben curato e porta a valutazioni di elevata attendibilità.

Eppure, la presenza di un syllabus tanto dettagliato non basta a scongiurare reclami e contenziosi. L’estrema precisione nella delimitazione del “campo di gioco” sembra, anzi, produrre da questo punto di vista effetti di segno opposto, incoraggiando una sistematica, minuziosa disamina delle tracce assegnate proprio in relazione dell’aderenza al syllabus. Ciò, com’è immaginabile, finisce per portare gli estensori a proporre compiti per lo più standard, simili di anno in anno (con rari imprevisti). La difficoltà di una prova siffatta, che risulta comunque tutt’altro che trascurabile, risiede in massima parte nella quantità di esercizi da risolvere in un tempo a disposizione assai limitato. Si enfatizzano quindi fattori come la prontezza nell’inquadrare e classificare le richieste e la rapidità nell’eseguire le operazioni previste, mettendo in secondo piano elementi quali la ricchezza delle acquisizioni concettuali o l’elaborazione di strategie risolutive autonome.

Questo sopra delineato è solo un esempio tra quelli possibili, ma è alquanto paradigmatico. Vi si possono ravvisare linee di tendenza piuttosto comuni. Sarebbe opportuno riflettere a fondo sulle conseguenze e sui comportamenti che poi si inducono nella scuola, nel prendere decisioni che possono avere un impatto molto rilevante. C’è da dubitare che un esame basato su un impianto meticolosamente “contrattuale”, dove ogni esercizio finisce per ricadere in una tipologia ben precisa, prevedibile e schematizzabile, la cui difficoltà è quasi interamente di carattere prestazionale più che concettuale, con le ricadute che poi ciò comporterebbe nei percorsi di preparazione (e nei libri di testo…) sia la strada giusta per suscitare maggiore curiosità, inventiva, passione, per sviluppare una comprensione più profonda delle idee matematiche, o la capacità di elaborare ragionamenti e strategie risolutive. Vale a dire, quelli che sono, e ancora saranno, i tratti essenziali di una formazione matematica e scientifica vivace, ricca di spessore e di connessioni, capace di rigenerarsi nel tempo.

5. Syllabus esplicito e implicito

Nel ridefinire la prova d’esame, mirando ad emendarne le debolezze, va quindi tenuto presente che qualsiasi tipo di prova ingenera, a seconda di come è strutturata, ben precisi comportamenti e conseguenze di ordine didattico e culturale, da ponderare con attenzione. Il rischio di omologare il nostro esame ad una sterile lista di quesiti da eserciziario (per quanto conformi alla matematica “utile e realistica” da più parti invocata), che oltretutto non ci avvicinerebbe ma anzi ci allontanerebbe dalle sospirate competenze autentiche, vorrebbe dire gettare a mare l’eredità culturale propria di un percorso dotato di organicità e radicato nella tradizione degli studi, che si rivela tuttora attuale e fruttuosa. Non essendovi ricette magiche, è bene essere consapevoli che non tutti gli attributi idealmente auspicabili per una prova d’esame sono simultaneamente conseguibili; vi è una dialettica reciproca, vige anche qui una sorta di “principio di indeterminazione”. Non si potrà avere, al massimo grado, sia la completa precisione e trasparenza riguardo i possibili contenuti della prova sia, al contempo, reale autenticità e significatività del compito assegnato e delle valutazioni espresse. Si tratta di fare scelte che possano risultare ragionevoli e sensate in base a quel che si intende raggiungere e verificare. E’ una scelta culturale e non puramente tecnica, che chiama in causa quale matematica si ha in mente e si vuole condividere, quali conoscenze e quali capacità si vogliono realmente raggiungere e verificare.

Accanto al syllabus esplicito, ufficiale, vi è un “syllabus implicito” altrettanto e forse più significativo, al quale contribuiscono consuetudini, saperi ed esperienze condivise. Il syllabus ufficiale può essere utile come indicazione di massima e può senz’altro agevolare il lavoro degli insegnanti, degli studenti, degli estensori delle prove, delle Commissioni d’esame. Ma non potrebbe da solo sopperire all’assenza di una condivisione più profonda del contesto, dello spirito, delle finalità in cui esso si colloca. Questo syllabus “implicito” scaturisce dalla condivisione di pratiche, di obiettivi, di riflessioni in seno alla comunità educante. E’ da tale orizzonte che può generarsi una comunanza d’intenti, una consapevolezza diffusa su cosa sia importante insegnare e imparare, su cosa e come valutare, non certo dall’adeguamento meticoloso a una serie di prescrizioni. Ad esempio, nelle Olimpiadi di Matematica, nonostante non vi sia mai stato un syllabus ufficiale circa i contenuti delle prove, né a livello nazionale né a livello internazionale, non si registrano contestazioni. Perché esse si svolgono all’interno di una comunità attiva che condivide una serie di esperienze, di conoscenze, di problemi comunemente noti, di tradizioni.

In questo senso, il ruolo del Ministero non dovrebbe esaurirsi nella redazione di documenti che forniscano un quadro di riferimento chiaro e dotato di ufficialità. Occorrerebbe costruire un’infrastruttura dedicata al sistematico consolidamento di una comunità di docenti viva, provvista di canali efficaci per la condivisione, per l’elaborazione didattica e scientifica partecipata, la diffusione di metodi, materiali, idee. Penso a scuole estive, corsi di approfondimento, seminari, scambi di esperienze, portali tematici, e così via. Un’operazione siffatta, ambiziosa e non a costo zero, sarebbe la via maestra per realizzare un vero aggiornamento professionale e per attivare un processo virtuoso di ripensamento e di miglioramento.

Paolo Francini
Liceo Scientifico “Tullio Levi-Civita”, Roma
Commissione Olimpiadi di Matematica, UMI

Roberto Natalini [coordinatore del sito] Matematico applicato. Dirigo l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo del Cnr e faccio comunicazione con MaddMaths! e Comics&Science.

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